Il vaccino anti covid sarà superumano come per il tetano? Le ragioni di ottimismo.

Articolo del 15 Dicembre 2020

I vaccini superumani sono quelli che inducono una risposta immunitaria migliore rispetto a quella originata da una infezione. E secondo un lavoro pubblicato su Nature Medicine, quello contro il coronavirus potrebbe essere di questo tipo.

Tra le molte in attesa di risposta, c’è una domanda che avrà ripercussioni importanti dal punto di vista sia organizzativo, di sanità pubblica, sia medico: che tipo di immunità sarà garantita dai vaccini in arrivo. Ci si chiede, cioè, se l’immunizzazione durerà solo qualche mese, come accade per quella contro i virus influenzali, o qualche anno, come succede con quella antitetanica, o per tutta la vita, come si vede con la vaccinazione contro la varicella.

Al momento non ci sono dati sufficienti per capirlo, ma Dennis Burton ed Eric Topol, grandi esperti della materia dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California, hanno avanzato, su Nature Medicine, un’ipotesi: che quello contro Sars-CoV 2 sia un vaccino di quelli che tra addetti ai lavori si definiscono “superumani”, nel senso che assicurano una reazione immunitaria nettamente migliore rispetto a quella che l’organismo riesce a scatenare da solo, quando incontra lo stesso batterio o virus.

In generale, spiegano i due ricercatori, l’immunità che nasce dal contatto con un agente patogeno può essere migliore rispetto a quella che si ottiene con un vaccino. È il caso, per esempio, del morbillo: se si supera la malattia (che, è bene ricordarlo, espone al rischio di encefaliti, polmoniti e morte), non ci si riammalerà più. Ma se si fa il vaccino, che prevede due somministrazioni, non ha una protezione che dura per tutta la vita.

In altri casi, invece, il vaccino è appunto “superumano”, cioè assicura un’immunizzazione più efficiente rispetto a quella data dall’infezione naturale. Si pensi, per quanto riguarda i batteri, al tetano: la malattia può evolvere in forme gravissime proprio perché le tossine tetaniche, rilasciate dal batterio in piccole quantità, non riescono a indurre una sintesi sufficiente di anticorpi, ma sono abbastanza tossiche da diventare mortali.

Il vaccino, realizzato con le stesse tossine, ma disattivate e date in quantità massicce, protegge per almeno dieci anni (e per questo è raccomandato anche a chi ha già avuto la malattia ed è sopravvissuto). Un altro esempio è quello dell’emofilo dell’influenza B, un batterio che non causa influenza ma polmoniti, setticemie e meningiti spesso mortali, perché la sua superficie esterna è ricoperta da zuccheri che rendono la normale reazione immunitaria poco efficace.

Tuttavia la vaccinazione, costituita da un composto che unisce gli zuccheri a una proteina, è potente, e protegge per periodi molto lunghi, forse per tutta la vita. Anche nell’ambito delle infezioni virali si trovano i due tipi di situazioni.

Il virus della varicella, per esempio, non induce un’immunità molto attiva, e infatti resta latente nell’organismo per anni, e può risvegliarsi sotto forma di herpes zoster. Ma la vaccinazione protegge oltre il 90% dei vaccinati, probabilmente per tutta la vita (non ci sono ancora tutti i dati sufficienti ad affermarlo, ma di sicuro l’immunità dura molto a lungo).

Lo stesso vale per il vaccino contro i papillomavirus (HPV) di diversi ceppi, che causano tumori del collo dell’utero, del cavo orale e dei genitali esterni maschili e femminili proprio perché non sono sconfitti dal sistema immunitario, restano nell’organismo e, nel tempo, possono dare origine a lesioni che degenerano e diventano neoplastiche. Il vaccino, introdotto ormai da più di dieci anni, riesce invece a tenere lontani i diversi ceppi, e per questo sta facendo precipitare i tassi di incidenza dei tumori associati all’infezione.

Il vaccino anti HPV, che è costituito da una singola proteina del virus incapsulata in particelle che ricordano il virus (le cosiddette virus-like particles), è diventato il prototipo dei vaccini superumani e rappresenta una delle storia di maggior successo della vaccinologia più recente.

La domanda quindi è: riuscirà uno dei vaccini (o, sperabilmente, più di uno) in studio contro Sars-CoV 2 a essere superumano? Non c’è una risposta certa, per il momento: sarà necessario attendere un tempo sufficientemente lungo per avere a disposizione i dati dell’andamento dell’immunità naturale e di quella scatenata dal vaccino.

Ma secondo Topol e Burton c’è spazio per un cauto ottimismo: il fatto che i primi vaccini inducano la giusta reazione nel 90-95% dei vaccinati, e che sia già stata dimostrata l’esistenza, sempre nei vaccinati, di un’elevata produzione di anticorpi neutralizzanti, depone a favore di una situazione simile a quella dell’HPV o, quantomeno, di una protezione nei confronti delle forme più gravi.

Lo svantaggio, sottolineano ancora, è che potrebbe trattarsi di un vaccino che non mette al riparo dalla trasmissione del virus da parte dei contagiati vaccinati, come sembra suggerire il fatto che alcune persone, non producendo abbastanza anticorpi durante la prima infezione, si possano ri-ammalare.

Al tempo stesso, però, va anche detto che oltre agli anticorpi intervengono i linfociti T, cioè la cosiddetta immunità cellulare, che potrebbe dare man forte a quella anticorpale. Sul ruolo e durata dei linfociti non ci sono ancora certezze, ma è probabile che le diverse popolazioni di cellule del sistema immunitario collaborino, come sempre accade, e che possano essere più o meno stimolate a seconda del tipo di vaccinazione, del meccanismo e delle molecole che inducono la risposta (per esempio se si tratta della sola proteina spike o di più antigeni, se è presente un adiuvante, e così via).

«Siamo ottimisti» concludono Topol e Burton «perché la disponibilità di così tanti approcci e piattaforme autorizza a sperare che, anche con i dovuti aggiustamenti, nel tempo si possa giungere a un vaccino (o a più di uno) superumano».

 

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