La doppia protezione dei bambini contro SARS-CoV-2

Articolo del 28 Agosto 2021

Un meccanismo speciale protegge efficacemente i bambini dall’attacco di virus mai incontrati prima, prevenendo anche la forte reazione immunitaria che negli adulti comporta il decorso grave di COVID-19.

Una caratteristica speciale del sistema immunitario potrebbe proteggere i bambini dai virus pandemici e salvarli da un decorso grave di COVID-19, in due modi contemporaneamente. Secondo uno studio recente, il sistema immunitario innato nelle mucose delle loro vie respiratorie è molto più attivo che negli adulti e reagisce molto più in fretta ai virus che non ha mai incontrato prima. Almeno questo è ciò che suggerisce l’analisi di un gruppo di ricerca guidato da Irina Lehmann dell’Istituto della salute di Berlino alla Charité (BIH), che ha esaminato le differenze nei tipi di cellule delle membrane mucose di bambini e adolescenti.

Come riporta il gruppo in un articolo pubblicato su “Nature Biotechnology”, i bambini non solo hanno molte più cellule immunitarie nelle loro membrane mucose, ma producono anche più velocemente gli interferoni di tipo 1, che sono cruciali per combattere i virus. Di conseguenza, queste sostanze di segnalazione potrebbero anche proteggerli dalla cattiva regolazione del sistema immunitario che si verifica in molti casi di decorso grave della malattia.

Più veloci

“La difesa contro i virus funziona su due livelli. In primo luogo, si ha la risposta antivirale nelle cellule innescata da recettori che riconoscono i virus, per esempio con la produzione di interferone”, spiega Lehmann. “Il secondo livello implica l’attivazione delle cellule immunitarie come le cellule killer e i neutrofili”. Lo studio del suo gruppo di ricerca mostra che questi due livelli di risposta antivirale sono in forte allerta nei bambini. Per arrivare a questo risultato, il gruppo ha analizzato quasi 270.000 cellule da campioni di tampone della mucosa nasale di persone di età compresa tra quattro mesi e 77 anni. Circa la metà di loro è stata infettata da SARS-CoV-2.

Lo studio ha anche dimostrato che le cellule dei bambini producono maggiori quantità di recettori immunitari come MDA5, che riconoscono i virus e innescano la risposta immunitaria. Questa molecola è un sensore per l’RNA estraneo, come quello che hanno molti virus, incluso SARS-CoV-2, e dirige la produzione di interferoni di tipo I, molecole di segnalazione che sono cruciali per il sistema immunitario innato per combattere i virus, perchè attivano le cellule immunitarie e mettono le cellule del corpo in uno speciale stato di allarme, rendendo difficile la replicazione dei virus.
“Gli interferoni sono spietatamente efficienti contro le infezioni virali”, spiega Marco Binder del Centro tedesco di ricerca sul cancro di Heidelberg e coautore dello studio. Il virus, tuttavia, ha a sua volta proprie proteine che fanno da contromisura efficace, impedendo la produzione di interferoni.

“SARS-CoV-2 si moltiplica in fretta nelle cellule e, di conseguenza, anche le proteine virali si formano molto rapidamente”, dice Binder, che effettua egli stesso una ricerca sugli interferoni. “E sopprimono il sistema dell’interferone in modo così drastico che vediamo una produzione minima o nulla di interferone nelle infezioni nelle colture cellulari.”

Il doppio ruolo degli interferoni

Binder ha quindi usato queste colture di cellule epiteliali polmonari per verificare se le maggiori quantità di MDA5 nelle cellule, come quelle osservate nei bambini, possano salvaguardare la risposta dell’interferone. Gli adulti dispongono di una quantità minima di questo recettore, che viene prodotto solo in caso di infezione. La produzione richiede tempo, di cui SARS-CoV-2 approfitta per bloccare l’intero sistema di segnalazione. I bambini sembrano essere protetti da questo meccanismo grazie alla più forte attivazione di base di MDA5 e recettori simili. E infatti, gli esperimenti di Binder hanno dimostrato che nei bambini SARS-CoV-2 è troppo lento per impedire alle cellule di produrre interferoni.

Di conseguenza, i bambini sono protetti due volte contro un decorso grave di SARS-CoV-2, perché gli interferoni di tipo I non si limitano a mettere in guardia il corpo dai virus, ma regolano anche tutta una serie di processi nella risposta immunitaria generale. Se durante un’infezione da SARS-CoV-2 questi processi non si attivano, gli studi suggeriscono che il sistema di difesa dell’organismo deraglia, nel momento peggiore possibile. Il virus che si diffonde causa danni ai tessuti, che a loro volta stimolano il sistema immunitario a combattere il virus più ferocemente. Ma a causa dell’assenza di interferoni di tipo I, la reazione di difesa è già pericolosamente sbilanciata e supera il limite, divenendo dannosa per l’organismo. Di conseguenza, in un decorso grave di SARS-CoV-2, la reazione immunitaria provoca massicci danni ai tessuti dei polmoni.

Il ruolo decisivo degli interferoni in questo processo è indicato anche dai risultati di altri studi, secondo i quali le persone con difetti congeniti nella risposta all’interferone I o negli autoanticorpi contro le sostanze di segnalazione hanno un alto rischio di contrarre COVID-19 in modo molto grave.

Quando i bambini si ammalano gravemente

I bambini beneficiano quindi due volte del fatto che il loro sistema immunitario super-focalizzato produca interferone più velocemente di quanto SARS-CoV-2 riesca a bloccarne la sintesi. “Se la concentrazione di MDA5 è già elevata, si salta il primo passo in cui la proteina deve prima essere prodotta”, spiega Binder. “Ed è per questo che, non appena la cellula entra in contatto con il virus, produce immediatamente quantità misurabili di interferone, prima che SARS-CoV-2 abbia anche solo la possibilità di entrarvi.”

Se però il sistema degli interferoni di un bambino è disturbato, per esempio da un difetto ereditario, questo effetto protettivo scompare, e questo potrebbe spiegare perché anche alcuni bambini e adolescenti apparentemente sani si ammalano, dice Binder.

 

Ma perché solo i bambini hanno questa protezione altamente efficace?

Ci sono diverse ragioni, spiega Binder. “Se il corpo attivasse sempre questo meccanismo, creerebbe un’enorme pressione selettiva sugli agenti patogeni”. I virus quindi si sarebbero adattati da tempo. Inoltre, l’organismo probabilmente non potrebbe permettersi questo sistema a lungo termine. “Di tutti i sistemi di segnalazione, la risposta dell’interferone provoca uno dei cambiamenti più forti nell’attività genica della cellula”. Se dovesse rimanere acceso in modo permanente, avrebbe effetti massicci sull’equilibrio della cellula e quindi del corpo.

Non si tratta di un problema solo teorico. “È noto che le persone con un’iperattivazione congenita di questo sistema di interferone di solito soffrono di malattie infiammatorie molto gravi”, dice Binder. Quindi il prezzo della super arma antivirale dell’interferone è che deve essere tenuta accuratamente sotto chiave. Questo permette a SARS-CoV-2 di disarmarlo e quindi non solo di sfondare questa linea di difesa, ma anche di distruggere le difese dell’intero organismo. Nei primi anni di vita, però, sembriamo davvero essere un passo avanti ai virus.

 

Fonte: Le Scienze

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