Quanto manca davvero al vaccino anti-Covid, dietro la corsa agli annunci?

Articolo del 28 Ottobre 2020

Dopo giorni di annunci di vaccini sotto l’albero di Natale, di inondazioni di immunizzazioni nella calza della befana, di previsioni più precise del meteo, Massimo Galli, Antonella Viola e alcuni di coloro che sono impegnati nel corpo a corpo con le malattie infettive non da qualche mese, ma da tutta una vita di clinica e ricerca, sono sbottati: adesso basta.

La dura verità è un’altra: non ci sono vaccini che abbiano terminato le sperimentazioni cliniche, motivo per cui nessuno può avere, oggi, la certezza assoluta che ce ne sarà uno.

Malattie come l’epatite C, l’Aids e la dengue non hanno mai raggiunto quel traguardo, e per la stessa influenza i vaccini ci sono, ma vanno rinnovati ogni anno. Quand’anche le aziende arrivassero a sottoporre i dossier alle agenzie regolatorie prima della fine dell’anno, occorrerà del tempo per le valutazioni del caso. E qualora queste ultime fossero positive, ci vorranno mesi prima che le filiere produttive riescano a soddisfare le necessità di miliardi di persone, anche perché in molti casi di tratta di vaccinazioni mai prodotte su larga scala.

La preoccupazione per un ottimismo comprensibile, visto che non c’è mai stato uno sforzo simile e globale, e visto che i dati preliminari sono buoni, ma che è prematuro, non è solo degli esperti italiani: negli ultimi giorni è rimbalzata sulle pagine delle principali riviste scientifiche quali Nature, Science, British Medical Journal e altri, e su media quali il New York Times e il Guardian, che hanno ospitato articoli ed editoriali che si potrebbero riassumere tutti in due parole: cautela, e calma. E un gruppo di autorevoli esperti statunitensi sta dicendo alla Fda di non affrettare le procedure.

Il prezzo dell’accelerazione

Ma allora qual è la reale situazione dei vaccini, e quali i lati oscuri che trattengono chi davvero conosce il tema dall’esprimersi su una data e dal dire parole definitive? Risponde Emanuele Montomoli, ordinario di Igiene dell’Università di Siena e fondatore di Vismederi, azienda che da anni si occupa di dosare gli anticorpi nel sangue delle persone che partecipano alle sperimentazioni sui vaccini, e che è stata inclusa dal Cepi in un network di soli 5 centri in tutto il mondo autorizzati a verificare quelli dei vaccini contro il Sars-CoV 2: «Di solito per arrivare a un vaccino sono necessari in media 10 anni prima dell’immissione sul mercato, e almeno altri 5 per tutto ciò che si fa dopo. In questo caso c’è un’accelerazione straordinaria, con la compressione di alcuni passaggi. Ma ciò comporta un prezzo in sicurezza ed efficacia».

Le incognite dei vaccini genetici

Come spiega Nature in una dettagliata review, all’inizio sono state recepite alcune delle scoperte di quando si studiava il vaccino per la Sars, anche se questo coronavirus è diverso. Poi sono stati fatti i test sugli animali, che di solito si protraggono per un paio di anni, in poche settimane. Quindi sono state accorpate le fasi 1 e 2, cioè le primissime prove nell’uomo. Poi è iniziata la fase 3 (per una decina degli oltre cento in studio), insieme alla sintesi su larga scala, a tutto rischio dei produttori. Infine, ora sono già previsti iter accelerati di valutazione. In tutte queste forzature si può annidare un imprevisto, un rischio. E non è tutto. «I vaccini più avanti come quelli di Pfizer e di Moderna – sottolinea l’esperto – sono genetici, cioè introducono nell’organismo materiale genetico che serve a produrre la proteina del virus contro la quale si innesca la risposta anticorpale. Li si studia da tempo, ma non sono mai stati utilizzati nell’uomo, e ci sono ancora molti aspetti da chiarire. Anche per gli altri, più tradizionali, restano parecchie domande inevase».

Efficacia e sicurezza da testare

La prima riguarda l’efficacia. I test in corso diranno se lo stimolo provoca una sintesi sufficiente di anticorpi, ma tutto dipende anche da un numero: in che percentuale di vaccinati lo fa. «Alcuni vaccini come quello del morbillo inducono immunità circa nel 90% dei vaccinati, altri molto meno. Si considera accettabile una percentuale superiore al 50%, ma non sappiamo ancora come vada con questi vaccini».

C’è poi la sicurezza. «In passato – ricorda – ci sono stati vaccini, poi ritirati, che hanno causato patologie gravi quali la narcolessia, la sindrome di Guillain-Barré o una reazione chiamata Ade (antibody-dependent enhancemet), così come casi di gravi contaminazioni. Ma lo si è visto solo sui grandi numeri».

Infine c’è il grande capitolo di tutto ciò che, normalmente, si va definendo con studi che durano anni. «I volontari delle attuali fasi sono molto omogenei – spiega – ma il vaccino non potrà essere lo stesso per un bambino o per un anziano, per una donna incinta o per un immunodepresso: abbiamo bisogno di tempo, per non fare errori».

Un’introduzione troppo affrettata, proprio per le dimensioni della pandemia, potrebbe insomma portare a una catastrofe, e alimentare una sfiducia che renderebbe in seguito molto complicato far accettare un altro vaccino efficace e sicuro.

Sarebbe meglio non partecipare alla dissennata corsa all’annuncio infondato.

 

Fonte:  24+ de IlSole24Ore