Ringiovanire le cellule della retina per recuperare la vista

Articolo del 04 Dicembre 2020

Nei topi di laboratorio adulti, le cellule della retina deteriorate dall’età possono essere riprogrammate per tornare in uno stato giovanile, nel quale possono rigenerarsi e fare recuperare una capacità visiva normale. Lo ha dimostrato un nuovo studio pubblicato su  “Nature” da David Sinclair della Harvard Medical School di Boston e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale. Il risultato fa luce su alcuni meccanismi cruciali dell’invecchiamento e identifica nuovi potenziali bersagli terapeutici per le malattie legate all’età che colpiscono il nervo ottico, come il glaucoma.

Sinclair e colleghi si sono concentrati sulle cellule gangliari, che formano uno strato della retina, la membrana sul fondo dell’occhio in cui si forma l’immagine. I prolungamenti delle cellule gangliari, o assoni, formano il nervo ottico, che trasmette al cervello i segnali raccolti dalla retina. L’interesse degli autori era dovuto al fatto che queste cellule, quando sono danneggiate, hanno la capacità di rigenerarsi, ma solo nei topi giovani.

Gli studi condotti in passato hanno mostrato che in questo processo di rigenerazione hanno un ruolo cruciale i fattori di trascrizione, proteine che hanno il compito di regolare l’espressione dei geni. Sfruttando l’azione di virus innocui, Sinclair e colleghi hanno indotto le cellule gangliari di alcuni topi di laboratori a esprimere specifici fattori di trascrizione noti come fattori di Yamanaka. L’attivazione di quei fattori ha indotto una riprogrammazione delle cellule danneggiate, che sono riuscite a proiettare nuovi assoni fino alla base del cervello. Lo stesso trattamento ha anche invertito la perdita di neuroni e ripristinato la visione, sia nei topi anziani sia in quelli colpiti da una forma animale di glaucoma.

L’esperimento ha mostrato incoltre che, a livello molecolare, il danno e il recupero delle cellule sono accompagnati da cambiamenti epigenetici, in particolare da processi di metilazione, cioè di legame al DNA di molecole chiamate gruppi metilici. Nello specifico, quando le cellule dei gangli della retina erano danneggiate, sul DNA si accumulavano i gruppi metilici; quando invece le cellule recuperavano, si verificava la demetilazione.

L’invecchiamento, almeno a livello cellulare, è dunque associato un accumulo di cambiamenti epigenetici, che rappresentano in qualche modo un registro dell’invecchiamento stesso, e possono essere manipolati per riportare le cellule allo stato giovanile, ripristinandone la funzione biologica.

Resta però da verificare, come sottolinea  Andrew Huberman della Stanford  University in un articolo di commento sullo stesso numero di “Nature”, se gli stessi risultato si potranno replicare in altre specie, come lo studio di Sinclair e colleghi sembra suggerire, e soprattutto negli esseri umani. Sarebbe interessante anche capire che se la capacità rigenerativa può essere stimolata anche in altri tipi di cellule nervose, come quelle del cervello e del midollo spinale, al fine di indurre una guarigione delle lesioni.