SALUTE: In autunno distinguere tra influenza e Covid-19 sarà fondamentale.

Articolo del 30 Luglio 2020

La domanda che tutti avrebbero già dovuto porsi da “ieri” è cosa succederà a partire da novembre (sempre che le temperature si mantengano discrete, altrimenti si anticipa) quando l’annuale epidemia di influenza inizierà la sua stagione 2020-2021? Se dovesse colpire, come accaduto per le precedenti stagioni tra i 5 e gli 8 milioni di italiani, la popolazione penserà a una normale influenza o a una seconda ondata di COVID-19? E, siccome è normale che prevalga questa seconda ipotesi certificata da molti virologi ed epidemiologi, cosa succederà?

Sarebbe il panico totale! Tutti si sospetterebbero a vicenda, le aziende richiuderebbero i battenti (anche perché se un dipendente si ammala è colpa del datore di lavoro e, quindi, chi glielo fa fare?) e lo Stato – che si è trovato totalmente impreparato ad affrontare la pandemia di inizio anno – sarà costretto a chiudere tutto e portare l’economia al definitivo tracollo vista l’impossibilità di finanziare milioni di disoccupati con strumenti quali la Cassa Integrazione ordinaria o in deroga, la NASpI o altri sussidi vari (tutte cartucce a debito già sparate). In poche settimane avremo qualche milione di persone che ai primi sintomi di febbre e mal di testa andrà in panico: avrò COVID-19? E come lo posso sapere? Semplicemente facendo un tampone e forse, ma se si è già avuto il virus come asintomatico, con un esame sierologico.

C’è però un problema: per fare qualche milione di tamponi occorrono i tamponi appunto, ma soprattutto i reagenti e le macchine per l’analisi dei campioni. E qui viene il difficile, perché al di la della propaganda e salvo il Veneto che i reagenti se li è fatti da solo, a cinque mesi dall’inizio pandemico mancano ancora reagenti e soprattutto attrezzature che riescano a processare ben più di 500 tamponi al giorno. Del resto, se a dicembre si dovesse avere un milione di casi di influenza, considerati anche i familiari, di tamponi ne servirebbero ben più degli attuali 50-60mila al giorno. Una cronologia di eventi denota la totale impreparazione sia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che come compito primario ha quello di essere la “sentinella” delle pandemie e che, invece, non ha lanciato alcun allarme; anzi il 18 febbraio, l’OMS – i cui esperti erano in Cina per monitorare i contagi – mette in guarda il mondo contro inutili allarmismi e misure «sproporzionate». Evidenzia però anche l’abitudine del nostro governo a raccontare frottole al Paese: il 27 gennaio, Conte, dopo giorni e giorni in cui le tv di tutto il mondo mostravano le catastrofiche immagini di Wuhan, dichiara che “l’Italia è prontissima a fronteggiare l’emergenza avendo adottato misure cautelative all’avanguardia”. Quali siano queste misure e dove sia finito il piano del Ministero della Salute da adottare in caso di eventi pandemici, non è dato sapere, così come ignote sono le informazioni riservate che hanno indotto Conte a firmare il 31 gennaio il decreto che proclama lo stato di emergenza per la durata di 6 mesi.

Quel che vediamo è che ancora oggi siamo abbondanti, molto abbondanti, di protocolli su come sanificare ogni cinque minuti una sedia, sul distanziamento, sul dare le colpe a chi ha voglia di ricominciare a lavorare (lo fa a suo rischio e pericolo), mentre sul resto il Paese è carente. Ma a nessuno dei tanti, troppi organismi nazionali che si occupano di salute (Ministero, AIFA, ISS, CSS, etc) è venuto in mente di pensare: se accadesse anche da noi, saremmo pronti? Abbiamo tute per i medici e gli infermieri, mascherine, test e così via? No, persino alla dottoressa Annalisa Malara che ha di fatto scoperto COVID-19 sul “paziente 1” a Codogno, quando richiese di poter fare il tampone, la risposta fu, più o meno “a suo rischio e pericolo”. Ma da quanto tempo circola questo virus? Altro che gennaio 2020! Probabilmente era già in circolazione da mesi se nelle acque reflue di Milano e Torino sono state trovate tracce del virus già a dicembre 2019; e che dire degli ospedali di Milano, Como e Piacenza che a dicembre segnalavano un raddoppio delle “polmoniti anomale”? Ora scopriamo che ad Alzano Lombardo c’erano già a novembre. Ma non finisce qui: nel marzo 2019 l’Istat dice che sono stati oltre 15mila i decessi per malattie respiratorie, 16.220 a marzo 2018 (nel marzo 2020 per COVID-19 i decessi sono 12.352). Altri dati purtroppo, nonostante la pletora di scienziati, non ce ne sono.

Tuttavia la domanda che ora si fa sempre più pressante è: ma era tutta influenza o il sistema sanitario era in sonno, mentre un/il virus circolava allegramente? I segnali per un disastro verso fine anno ci sono tutti e diventa lecito anche chiedersi se questa volta siamo preparati, abbiamo i reagenti che sarebbe bene produrre in Italia, abbiamo i camici protettivi, abbiamo rafforzato la sanità territoriale. Il dubbio poi si fa paura: se accadesse che si scambi una normale influenza per una seconda ondata, cosa assai probabile, per l’Italia sarebbe un disastro, altro che troika! Speriamo in un ravvedimento operoso del governo.

 

Fonte: IL Punto. Pensioni e Lavoro