Sette nuove varianti di coronavirus negli USA

Articolo del 25 Febbraio 2021

L’aumentato sequenziamento del SARS-CoV-2 sta portando alla luce diverse varianti oltre a quelle già note: tutte tendenti a una direzione comune.

La maggiore sorveglianza internazionale sulle varianti di coronavirus sta facendo emergere un ritratto del SARS-CoV-2 molto più fluido di quello che avevamo. Lo sforzo di sequenziamento genetico messo in campo per tracciare la diffusione delle tre varianti più note, quella inglese, quella sudafricana e quella brasiliana (per designarle con i nomi dei Paesi che per primi le hanno scoperte) ha portato alla luce altre versioni inedite del virus, accomunate però dalle stesse caratteristiche.

LO STESSO VESTITO. In una ricerca preliminare postata su medRxiv, un gruppo di virologi della Louisiana State University ha evidenziato la presenza di sette lignaggi emergenti di coronavirus negli Stati Uniti, tutti caratterizzati da simili mutazioni sulle proteine Spike, le catene di 1200 amminoacidi (i mattoni di base delle proteine) che tappezzano la superficie del virus e che gli permettono di infettare le cellule. Le varianti di virus rintracciate, pur essendosi evolute in momenti e in luoghi diversi, condividono una mutazione genetica che modifica l’amminoacido numero 677 (la mutazione incriminata si chiama Q677P).

Le sette varianti sarebbero emerse tra agosto e novembre 2020; tra il 1 dicembre 2020 e il 19 gennaio 2021, la mutazione Q677P caratterizzava quasi il 28% dei casi di covid studiati nel dettaglio in Louisiana, e l’11% di quelli nel Nuovo Messico (la percentuale di campioni virali sequenziata rimane anche negli USA estremamente bassa, meno dell’1% del totale).

LAVORO DI FINO. Secondo gli scienziati, in tutti e sette i lignaggi che hanno una storia evolutiva differente, si sarebbe più volte affermata in modo indipendente la stessa mutazione. Una semplice coincidenza? Probabilmente no: «La spiegazione più semplice è che le mutazioni che vediamo in questo sito – la posizione 677 sulla Spike – siano una delle tante vie impercettibili con le quali il virus perfeziona la sua capacità di infettare le cellule umane» ha spiegato Jeremy Kamil, tra gli autori del lavoro.

Sarebbe insomma un esempio di evoluzione convergente, il meccanismo attraverso il quale diversi organismi evolvono in modo indipendente tratti simili per adattarsi a condizioni simili (gli uccelli, gli insetti e i pipistrelli hanno tutti le ali, pur avendo alle spalle storie evolutive molto diverse). Non è noto se la comune mutazione renda le “varianti statunitensi” anche più contagiose.

COME SI ATTIVA. Prima che il virus possa invadere le nostre cellule, la Spike deve entrare in contatto con una proteina-recettore presente sulla loro superficie (il recettore cellulare ACE2), che le permette di ruotare e di esporre le sue punte a forma di arpione. La mutazione 677 altera la Spike accanto al punto in cui le nostre proteine “sbattono” contro la Spike e potrebbe facilitare l’attivazione di questa chiave virale.

PAURA A LOS ANGELES. Notizie di nuove varianti arrivano anche dal Regno Unito, dove se ne sta diffondendo una con caratteristiche proprie della “variante inglese” B.1.1.7, più trasmissibile, ma recante anche la mutazione E484K, che potrebbe aiutare il virus a evadere le difese immunitarie del corpo umano. Questa mutazione si trova anche nelle varianti di Brasile e Sudafrica. Un’altra “ibrida”, sia più trasmissibile sia più resistente agli anticorpi, sarebbe emersa anche in California, e sarebbe all’origine di una recente ondata di casi nella città di Los Angeles.

 

Fonte: Focus

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