Troppi antibiotici e presi anche se non servono. E con Covid è andata peggio

Articolo del 30 Dicembre 2020

Il report di Aifa racconta di un marzo da record. Il caso dell’azitromicina, consigliata all’inizio per pazienti con coronavirus. Italia nella fascia peggiore in Europa. Con lo spettro della resistenza ai farmaci.

Appropriatezza. Sembra essere una sorta di Araba Fenice il corretto impiego degli antibiotici in Italia, nonostante i ripetuti richiami e il timore della progressiva resistenza a questi farmaci. In più di un quarto dei casi, purtroppo, i medicinali che hanno il compito di combattere le infezioni batteriche sarebbero ancora assunti senza un’indicazione corretta. E nel nostro Paese si rimane sopra alla media europea per il consumo di questi farmaci. Il giudizio, inappellabile, viene dal rapporto “Osmed – L’uso degli antibiotici in Italia” 2019 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), che rivela come lo scorso anno l’impiego inappropriato di antibiotici abbia oltrepassato il 25 per cento in tutte le condizioni cliniche studiate (influenza, raffreddore comune, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite non complicata ). Fa eccezione, in questo senso, solo la bronchite acuta.

Al Sud va peggio

Dall’indagine si evince anche come esista ancora una sorta di differenza tra nord e sud della penisola nelle abitudini. Il rapporto rivela infatti come “tutti gli usi inappropriati degli antibiotici per le infezioni delle vie respiratorie siano stati registrati in maggioranza al Sud, nella popolazione femminile (a eccezione della bronchite acuta) e negli individui di età avanzata”. Insomma, certe tendenze culturali e sociali appaiono dure a morire. Sempre dal rapporto si evince che “le attitudini prescrittive dei medici e le differenze socio-demografiche e culturali dei diversi contesti geografici incidono in maniera significativa sui consumi, rivelando margini di miglioramento nell’uso appropriato di questi farmaci. L’uso inappropriato degli antibiotici concorre ad aggravare il problema della resistenza batterica agli antibiotici, rendendo sempre meno efficaci farmaci che in molte situazioni rappresentano dei veri e propri salvavita.

L’uso nell’influenza

A colpire, ancora una volta e nonostante gli appelli, è la tendenza ad impiegare comunque gli antibiotici anche nei periodi di epidemia influenzale. Si tratta di un atteggiamento del tutto irrazionale, visto che l’influenza e le numerose infezioni di questo tipo sono dovute appunto a virus, nei confronti dei quali gli antibiotici non hanno alcuna azione. Solo il medico può prescrivere questi farmaci se sospetta una sovrainfezione batterica. Così dice la scienza. Ma se si passa alla pratica, dal rapporto emerge che ancora una volta l’utilizzo più frequente di antibiotici nei mesi invernali è correlato con i picchi di sindromi influenzali osservati nei diversi anni. Ma attenzione: il report report ricorda che “non richiedono nella maggior parte dei casi l’impiego di antibiotici per la loro origine di natura virale (salvo casi clinici particolari e eventuali complicanze batteriche), l’aumento così significativo delle prescrizioni di antibiotici in coincidenza con i picchi influenzali è spia di inappropriatezza nei consumi”.

Le cifre che preoccupano

Il Rapporto Osmed segnala che nel 2019 il consumo totale di antibiotici (comprensivo dell’acquisto privato) è stato di 21,4 dosi ogni mille abitanti: il 73 per cento erogate da parte delle farmacie territoriali a carico del Sistema sanitario nazionale (prescritte prevalentemente dai medici di medicina generale e dai pediatri, l’8,9 per cento erogate dalle strutture sanitarie pubbliche; il 18,2 per cento acquistate privatamente. A preoccupare particolarmente è anche la situazione in età infantile. Secondo quanto segnala l’analisi, gli antibiotici “sono i farmaci più prescritti nella popolazione pediatrica“: “il 40,9% della popolazione pediatrica (0-13 anni) ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici nel corso dell’anno. Il maggior livello di esposizione si evidenzia nella fascia compresa tra 2 e 6 anni. Oltre il 40% delle prescrizioni nella popolazione pediatrica non ha riguardato un antibiotico di prima scelta in base alla classificazione dell’Oms”.  “Un utilizzo così frequente è in parte dovuto all’elevata incidenza delle malattie infettive in questa fascia d’età – spiega l’Aifa – diversi possono essere i fattori che contribuiscono a un uso eccessivo e spesso inappropriato degli antibiotici nella popolazione pediatrica, tra questi la difficoltà a effettuare una diagnosi microbiologica dell’infezione, la preoccupazione da parte dei pediatri di una scarsa compliance per antibiotici che richiedono 2 o 3 somministrazioni giornaliere e infine le pressioni da parte dei genitori, che inducono spesso il pediatra a una scarsa aderenza alle raccomandazioni delle linee guida esistenti”.

Il rischio dell’antibiotico-resistenza

In tutte queste dinamiche, oltre all’inappropriatezza d’impiego, è l’emergere di ceppi resistenti alle terapie che può rivelarsi drammatico per la sanità. La Review on Antimicrobial Resistance ha stimato che nel mondo, nel 2050, le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando ampiamente i decessi per tumore (8,2 milioni), diabete (1,5 milioni) o incidenti stradali (1,2 milioni) con una previsione di costi che supera i 100 trilioni di dollari. In questo quadro si è inserita la pandemia da Covid-19, che pure ha mostrato nei primi mesi un’impennata nei consumi di un particolare antibiotico, l’azitromicina, a fronte di un calo del consumo di questi farmaci. A marzo (rispetto a marzo 2019) si è osservato un +160% nel consumo di questo medicinale. In generale, comunque la pandemia ha portato a un calo del consumo di antibiotici in Italia, tranne quelli appartenenti alla classe dei macrolidi, di cui appunto fa parte anche l’azitromicina, usata per pazienti con infezione da Sars-CoV-2. In generale, secondo il nuovo report, il consumo di antibiotici registrato nel primo semestre 2020 nell’ambito dell’assistenza convenzionata è stato comunque più basso del 26,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. “L’antibiotico resistenza è una grande emergenza globale, soprattutto oggi che siamo alle prese con una pandemia. L’Italia è nella fascia peggiore in termini in resistenza agli antibiotici, sia a livello ospedaliero che nelle terapie intensive dove i livelli di utilizzo sono medio alti. L’uso degli antibiotici va rivisto perché per avere un impatto sul fenomeno servono drastiche riduzione dell’uso dell’ordine del 50% e non del 3-4%. A segnalarlo è Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa. “Pensiamo ad un gruppo ‘ad hoc’ all’interno dell’Unità di crisi di Aifa per valutare nuove misure su questo fenomeno”.

Proprio  Covid-19, peraltro, a partire dal sovraffollamento degli ospedali, ha provocato infatti un aumento della circolazione dei germi resistenti, come emerso in occasione del congresso Simit (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali). “Durante la pandemia abbiamo notato un aumento di germi multiresistenti soprattutto nei pazienti ricoverati nelle terapie intensive – ha sottolineato Pierluigi Viale, Direttore Unità Operativa IRCCS Policlinico Sant’Orsola, Bologna, e Presidente del Congresso Simit. Questo incremento ci riporta alla tematica più urgente dell’infettivologia prima della pandemia, i batteri multiresistenti. A metà novembre sono usciti i dati europei del 2019, che ancora non risentono dell’effetto Covid: l’evidenza scientifica illustra che il problema è tendenzialmente stabile per quanto riguarda i pazienti gram negativi, in lieve diminuzione per quanto riguarda lo stafilococco aureo e in aumento per l’enterococco resistente alla vancomicina. I dati sono dunque molto simili al 2018: in Europa vi sono quasi 700mila casi di infezioni di germi multiresistenti ogni anno, con oltre 33mila decessi; una quota rilevante, pari a circa 10-11mila casi avviene in Italia. Il nostro è tra i Paesi in cui il fenomeno è più acuto: una spiegazione razionale di una delle incidenze più alte risiede nel fatto che il nostro Sistema Sanitario è tra i più etici al mondo, senza rinunciare mai a dare una chance a ogni paziente, sebbene ciò implichi un costo in termini di elevata ospedalizzazione e di complicanze infettive. In altri termini, possiamo dire che le resistenze dei germi sono un effetto collaterale di un sistema efficiente”.

 

Fonte:  La Repubblica

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