Vaccino: per Vaia dello Spallanzani, arrivare primi non è tutto, serve sinergia fra le aziende.

Articolo del 17 Novembre 2020

Per la pronta somministrazione possibile il coinvolgimento delle Uscar. «Nel frattempo dovremmo rivedere i tempi della vita e delle città riorientando la mobilità in base alle mutate condizioni imposte dalla pandemia»

Per l’Economist un giorno che andrà nei manuali di storia c’è già in questa pandemia da coronavirus e coincide con l’annuncio dei risultati di Pfizer e BioNTech sul vaccino che concorre per essere il più rapido della storia umana. Metaforicamente è come la cavalleria in un esercito. «Sappiate che sta arrivando», dice mai con così tanto trasporto Anthony Fauci, senza però deporre le armi. «Vorrei ribadire che il vaccino è il punto esclamativo al “the end” ma al “the end” ci dobbiamo arrivare. Significa che noi dobbiamo essere in grado, sia con azioni personali che di sistema, di giungere a quel punto nelle migliori condizioni possibili». Stesso concetto se a parlare è Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto Spallanzani di Roma che è dai primi casi registrati nel nostro Paese sulla linea più avanzata di combattimento. «Oggi come ieri e ancora di più come domani serve mantenere un comportamento corretto ovvero lavaggio delle mani, mascherina e distanziamento. Da seguire con rigore, seppure nella serena prospettiva della certezza della fine».

Auspicabile la sinergia tra le aziende

L’ottimismo è «giustificato» secondo Vaia, «soprattutto se quanto affermato dall’azienda produttrice dell’efficacia del 90% si confermerà. Per il resto abbiamo tanti altri vaccini candidati e quindi aspettiamo con interesse i risultati». La sessantina scarsa che si trova allo stato in fase clinica utilizza tecnologie differenziate per indurre una risposta immunitaria capace di annichilire l’assalto. In alcuni preparati viene usato direttamente il virus dopo attenuazione o inattivazione (come per morbillo e poliomielite); altri si basano su acidi nucleici (Dna o Rna), utilizzando le informazioni genetiche di una proteina del virus, di solito la proteina spike che si trova sulle “punte” della corona; e ancora vengono studiati vaccini a vettore virale, ovvero con un virus innocuo per l’uomo, geneticamente ingegnerizzato in modo tale da trasportare le proteine del virus contro il quale si vuole sviluppare l’immunità. «Il vaccino non è una corsa a chi vince, tutti possono partecipare. Importanti sono sicurezza, efficacia e messa a disposizione su larghissima scala, parliamo di miliardi di persone nel mondo. L’essenziale è arrivarci, poi le aziende possono anche consorziarsi facendo proprio un atteggiamento di bene comune che tutti i cittadini richiedono. Insomma una sinergia tra tutte quelle impegnate sarebbe auspicabile», suggerisce Vaia.

Per il vaccino “italiano” andamento incoraggiante

I primi test del vaccino GRAd-COV2 prodotto da ReiThera con la collaborazione dello Spallanzani sono iniziati ad agosto. «Al momento non sono state registrate reazioni avverse ma soprattutto c’è un elemento molto confortante e cioè che alcuni vaccinati sono stati esposti naturalmente a condizioni di grande rischio non risultando infetti, una prospettiva molto buona. Traguarderemo la primavera e allora faremo i conti finali».

Nella somministrazione possibile ruolo per le Uscar

Intanto in Italia l’orizzonte è posto a fine gennaio per un milione e settecentomila italiani. Si lavora a un piano in cui sarebbero coinvolti, tra gli altri, anche esperti della Difesa per curare gli aspetti logistici comprendenti anche l’allestimento dei punti vaccinali. «Stiamo immaginando anche qui quali possono essere delle soluzioni», racconta Vaia. «Per la somministrazione un apporto potrebbe essere garantito dalle unità speciali di continuità assistenziale regionali, le cosiddette Uscar, equipe di medici e infermieri che in questo momento stanno sopperendo a tante criticità del territorio cui si è aggiunto meritoriamente anche l’esercito. Gli stessi drive-in che oggi servono per fare i tamponi potrebbero essere tenuti in piedi e utilizzati per questo scopo».

Rivedere i tempi della vita e riorientare la mobilità

Prima che quel momento arrivi, il messaggio su cui insiste il direttore sanitario dello Spallanzani va nel senso di non lasciare soli i cittadini dentro un clima di spaesamento. «Oggi abbiamo una letalità di gran lunga inferiore a quella di marzo, ma guai a quell’esercito che si dimostra da un lato depresso alla base e diviso dall’altro nei suoi generali, che sono in questo caso la politica e ma anche la comunità scientifica che determina indirizzi e previsioni spesso in contraddizione fra loro». Vaia invoca «respiro lungo e prospettiva». Occorre dunque «agire sulle fonti del contagio, mi riferisco ai luoghi della socialità, al trasporto, alle scuole, alle fabbriche, alla grande distribuzione. Evitare il sovraffollamento con maggiore fisicità degli spazi e lo scaglionamento degli accessi. Dovremo in sostanza rivedere i tempi della vita e delle città e riorientare la mobilità in base alle mutate condizioni imposte dalla pandemia».

 

Fonte: IlSole24Ore

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