Vaccino: sfida tra Pfizer e Moderna contro la pandemia.

Articolo del 21 Novembre 2020

Sono 212 i vaccini anti Sars-CoV-2 in fase di studio da parte di gruppi di ricerca in tutto il mondo: di questi, 48 sono giunti alla sperimentazione clinica ma solo 11 alla fase 3, quella finale. Due, infine, stanno tagliando il traguardo con ottimi dati di efficacia e sicurezza: sono i vaccini messi a punto da Pfizer/BioNTech e Moderna, entrambi basati sulla tecnica dell’Rna messaggero. Cerchiamo di fare chiarezza sui passi fatti e quelli ancora da fare, prendendo spunto da un documento della Società italiana di farmacologia, pubblicato dal Corriere in anteprima, intitolato «Il punto sui vaccini anti Sars-CoV-2». Gli autori sono Giuseppe Nocentini (immunofarmacologo Università di Perugia), Giorgio Racagni (presidente Società italiana di farmacologia) e Carlo Riccardi (direttore Dipartimento di Medicina, Università di Perugia). Ecco di seguito alcuni brani tratti dal documento.

Il virus

Sars-CoV-2 è costituito da un involucro lipoproteico che contiene un Rna. Sulla sua superficie ci sono della proteine, tra cui la “spike” (o proteina S). Questa è responsabile del principale meccanismo che il virus utilizza per infettare le cellule bersaglio, legandosi al recettore ACE2. Bloccare il funzionamento della “spike” vorrebbe dire impedire al virus di infettare le cellule, rendendolo quindi innocuo.

Quattro gruppi

I vaccini in sperimentazione possono essere divisi in 4 gruppi:
1) quelli che utilizzano particelle virali di Sars-CoV-2 inattivate, potenzialmente in grado di suscitare la risposta immunitaria. Sono di questo tipo un vaccino sviluppato in India (“Covaxin” della Bharat Biotech) e tre vaccini sviluppati in Cina (“BBIBP-CorV” del Bejijing Institute of Biological Products, il vaccino della Sinovach Biotech e quello messo a punto dal Wuhan Institute of Biological Products);
2) vaccini che utilizzano virus innocui, modificati geneticamente: si tratta di adenovirus che non sono in grado di replicarsi nell’essere umano e nei quali viene inserito un pezzo di Rna che codifica la proteina “spike”. L’adenovirus induce nelle cellule infettate la produzione della proteina “spike” e promuove la risposta del sistema immunitario Sono di questo tipo diversi vaccini: “ChAdOx1” di AstraZeneca, in collaborazione con l’Università di Oxford e l’italiana IRBM; “GRAd-COV2” di ReiThera in collaborazione con l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Spallanzani; “Sputnik 5” dell’Istituto russo Gamaleya; “Ad26COVs1” di Johnson & Johnson; “Ad5-nCov” della cinese CanSino Biologicals;
3) vaccini che utilizzano direttamente la proteina “spike” di Sars-CoV-2, di solito in associazione con un adiuvante. Sono di questo tipo “NVX-CoV2373” di Novavax (Usa); “COVAX19” di Vaxine (Australia);
4) vaccini che utilizzano Rna codificante per la proteina “spike”: l’Rna è protetto e portato all’interno delle cellule umane attraverso delle microvescicole lipidiche. Un importante vantaggio di questi vaccini rispetto agli altri è che si possono produrre in modo molto più veloce. Sono di questo tipo “BNT162b2” di Pfizer/BioNTech e “mRNA-1273” di Moderna, i due vaccini giunti allo stadio finale.

Risposta immunitaria

Un’infezione e qualsiasi tipo di vaccino stimolano la risposta del sistema immunitario. Ma questa risposta può essere diversa, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Il vaccino può stimolare i linfociti B che producono anticorpi, un sottotipo di linfociti T (CD4+) o un altro sottotipo di linfociti (i CD8+, chiamati anche CTL). I linfociti B posso produrre tanti tipi di anticorpi: quelli che inattivano il virus e gli impediscono di infettare le cellule (anticorpi neutralizzanti), quelli che riconoscono le cellule infettate e ne favoriscono l’uccisione da parte di altri componenti del sistema immunitario (anticorpi con funzione “effettrice”) o anticorpi che riconoscono il virus ma non agiscono. I linfociti CD4+, che riconoscono il virus, possono produrre diversi tipi di citochine (proteine che stimolano la risposta infiammatoria) e, quindi, favorire risposte diverse al virus. Una buona risposta dei CD4+ favorisce lo stimolo dei linfociti B e, dunque, ottimizza la risposta anticorpale. Ciascun vaccino può indurre una risposta dei linfociti B, dei CTL e dei linfociti T CD4+. Inoltre, ciascuna risposta può durare settimane, mesi o anni. Ancora non è chiaro quale risposta sia meglio stimolare.

Anticorpi neutralizzanti

Gli obiettivi del vaccino sono due: proteggere il soggetto dall’infezione o dalle sue complicanze; determinare un’immunità di gregge nella popolazione, bloccando la trasmissione del virus. Per proteggere dall’infezione, un vaccino deve stimolare una risposta dei linfociti B, perché producano anticorpi diretti contro il Sars-CoV-2. L’approccio più promettente, almeno n teoria, è quello di stimolare la produzione di anticorpi neutralizzanti anti-spike. Questi impediscono al virus di entrare nelle cellule dell’organismo: finché un soggetto produce anticorpi neutralizzanti, il virus che si deposita sulle mucose (per esempio quella del naso) non può entrare nelle cellule e il soggetto non ammala. Se gli anticorpi presenti nel sangue non sono neutralizzanti, o i linfociti B hanno smesso di produrli, il soggetto che viene in contatto con il virus può essere protetto dai linfociti T CD8+ o anche dai linfociti B che riprendono a produrre anticorpi neutralizzanti. È però ragionevole supporre che queste difese arrivino con diverse ore o qualche giorno di ritardo e, nel frattempo, la persona si possa ammalare. In questo caso è possibile che la persona vaccinata si ammali ma risulti protetta dalle complicanze che possono danneggiare organi o determinare la morte.

Bloccare la circolazione

L’immunità di gregge (o “immunità di comunità”) è un meccanismo fondamentale per azzerare la trasmissione di malattie infettive. Perché una persona sia in grado di contagiarne un’altra è necessario che il virus o batterio sia presente in almeno un distretto (gola-bocca-naso-bronchi, intestino, organi genitali, cute) dal quale un buon numero di microrganismi riesce ad arrivare all’altra persona attraverso goccioline, feci o contatto diretto. Il concetto di immunità di gregge è semplice: se la grande maggioranza degli individui è vaccinata (o ha avuto l’infezione) si blocca la circolazione di un microorganismo perché le persone vaccinate non ospitano il virus e rappresentano una barriera che protegge anche i non vaccinati. In definitiva un vaccino può determinare l’immunità di gregge per Sars-CoV-2 se le persone vaccinate non ospitano il virus (cioè il soggetto vaccinato non diviene un portatore sano in caso di contatto con soggetto infetto) e se l’efficacia del vaccino è superiore al 70-80%.

Quanto dura l’immunità?

Sappiamo che l’immunità acquisita dopo un raffreddore causato da un coronavirus diverso da Sars-CoV-2 dura meno di un anno. Gli studi di fase 3 ci dicono che alcuni vaccini fanno produrre un alto livello di anticorpi neutralizzanti, superiore a quello visto nei malati gravi. Dunque, da questo punto di vista i vaccini anti Sars-CoV-2 sembrano attivare meglio il sistema immunitario rispetto alla malattia. D’altra parte, gli studi sono così recenti che non sappiamo ancora per quanto tempo gli anticorpi rimangono nel corpo. Se fosse raggiunto l’obiettivo di una protezione che dura circa un anno (come l’antinfluenzale) sarebbe un buon traguardo.

Il vaccino sarà sicuro?

Alla sicurezza del vaccino viene posta un’attenzione almeno pari se non superiore a quella sull’efficacia. Gli studi clinici di fase 1, 2, e 3 permettono di vedere se un vaccino funziona e se il suo utilizzo comporta rischi. Nel caso siano rilevati effetti avversi gravi in un certo numero di volontari, la commercializzazione non viene autorizzata. Questo non significa che il vaccino non possa determinare effetti avversi, ma questi sono lievi o moderati (piccole irritazioni nel punto dell’inoculo e febbre per qualche giorno). Per quanto riguarda gli effetti avversi gravi, nessun vaccino è sicuro al 100%, a causa delle differenze genetiche all’interno della popolazione. D’altra parte, gli effetti avversi gravi sono presenti in una percentuale estremamente piccola della popolazione (normalmente uno su un milione di soggetti vaccinati, o meno).

I dubbi ancora aperti

Per quanto riguarda i vaccini di Pfizer/BioNTech e Moderna, la protezione si riferisce a soggetti appena vaccinati e, al momento, non sappiamo se durerà nel tempo (una protezione della durata di un anno sarebbe interessante ma, per saperlo, dovremo aspettare, appunto, un anno). I dati poi sono stati riferiti in conferenza stampa e non attraverso una pubblicazione scientifica. Quindi rimangono aperti numerosi interrogativi. Non sappiamo se i soggetti vaccinati che si sono ammalati hanno avuto un decorso della malattia meno grave rispetto ai soggetti non vaccinati che si sono ammalati (insomma se il vaccino protegge dalle complicanze di Covid). Non sappiamo neanche se il vaccino protegge in ugual misura anziani e giovani (i non protetti dal vaccino sono prevalentemente anziani?). Pur sapendo che la gran parte dei soggetti vaccinati è protetta dalla malattia, non sappiamo ancora se i vaccinati possono diventare portatori sani o contribuiscono all’instaurarsi dell’immunità di gregge. Pfizer ha comunicato che tutti questi dubbi verranno chiariti tramite una pubblicazione scientifica, quindi dovremo aspettare ancora qualche settimana per avere informazioni più dettagliate.

 

FonteCorriere della Sera

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