WELFARE: La spinta demografica per una nuova economia d’argento.

Articolo del 16 Luglio 2020

L’invecchiamento della popolazione è uno dei macro-trend del futuro che interesserà indistintamente le economie più sviluppate, in particolar modo quella italiana. Su 60,359 milioni di persone residenti in Italia all’1 gennaio 2019, gli over 65 sono 13,784 milioni (7,789 milioni donne e 5,995 milioni uomini) e rappresentano il 22,8% del totale (23,1% secondo gli ultimi dati confermati a inizio 2020). Negli ultimi 18 anni il peso di questa fascia d’età è aumentato in misura costante (erano 10,7 milioni nel 2002, pari al 18,7% del totale), anche a fronte del calo della popolazione che si è registrato a partire dal 2015, momento in cui raggiungeva il massimo dell’epoca recente, 60,8 milioni. Anche la popolazione più anziana segue il trend appena descritto: gli over 80 passano da 2,498 milioni del 2002 a 4,330 milioni del 2019, con un’incidenza sul totale della popolazione che sale dal 4,48% al 7,17%. Si conferma la prevalenza della componente femminile nelle fasce più anziane, ancora più marcata al crescere dell’età anagrafica: le donne rappresentano il 57% degli over 65 e il 63% degli over 80. L’Istat stima che il fenomeno raggiungerà il suo picco nel periodo 2045-2050 per poi ridursi lievemente.

Le cause di questo fenomeno sono ben note: da un lato, la progressiva riduzione dei tassi di fecondità e, dall’altro, il costante incremento della speranza di vita. Secondo il Rapporto annuale Istat 2020, continuano a diminuire i nati: nel 2018 sono stati iscritti in anagrafe 439.747 bambini, oltre 18mila in meno nel confronto con il 2017 e quasi 140mila in meno rispetto a soli dieci anni fa; secondo le stime preliminari, le nascite nel 2019 sono calate ulteriormente arrivando a 435mila. Il numero medio di figli per donna è in costante diminuzione e si attesta a 1,29, di gran lunga inferiore al parametro di riferimento per un adeguato ricambio generazionale (2,1 figli per donna).

Le previsioni a lungo termine dell’Istituto di statistica per la stima della fecondità sono molto prudenziali e indicano che il numero medio di figli per donna al 2045 potrebbe scendere fino a 1,26 così come salire fino a 1,8; significa che attorno allo scenario mediano (pari a 1,53 figli per donna) l’intervallo di confidenza è molto ampio e di conseguenza l’incertezza risulta dominante. Come rilevato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali nell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate “Sostenibilità della spesa pubblica per pensioni in un’ipotesi alternativa di sviluppo” è, dunque, difficile prevedere cosa succederà alla fecondità italiana: citando gli autori, “potrebbe diminuire o potrebbe salire verso i valori dei Paesi europei più prolifici”.

L’invecchiamento è spiegato anche dalla maggiore longevità: per il 2018 l’Istat ha calcolato un ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita, che si attesta a 80,9 anni per gli uomini (+0,2 sul 2017) e 85,2 anni per le donne (+0,3), e un nuovo aumento anche della speranza di vita residua a 65 anni di età, pari a 19,3 anni per gli uomini (+0,3 sul 2017) – cioè una media di 84 anni e 3 mesi – e di 22,5 anni per le donne (+0,2) – cioè 87 anni e 5 mesi. In termini prospettici, l’Istituto si attende un progressivo aumento dell’aspettativa di vita: entro il 2045 la vita media alla nascita giungerebbe a 84,3 anni e 88,5 anni, rispettivamente per uomini e donne, mentre quella a 65 anni arriverebbe a 21,5 anni per gli uomini e 24,9 per le donne. A differenza delle proiezioni relative alla fecondità, le stime che riguardano l’aumento dell’aspettativa di vita e la crescita della popolazione anziana sono parte solida delle previsioni Istat, in quanto esito meccanico dello spostamento della generazione dei boomers nelle fasce d’età più avanzate.

La spinta demografica dovuta all’aumento della popolazione anziana ci porta ad affermare che nel prossimo futuro si verificherà un aumento dei destinatari della cosiddetta Silver Economy e, di conseguenza, delle opportunità economiche e sociali che possono ne possono derivare. Troppo spesso infatti il fenomeno dell’invecchiamento viene percepito esclusivamente come una criticità, soprattutto per il welfare (maggior spesa per pensioni, sanità, assistenza) quando in realtà, se ben interpretato e gestito anche alla luce dell’incremento dell’aspettativa di vita in buona salute, può generare risvolti positivi per il Paese dal punto di vista economico, occupazionale e sociale.

La definizione di Silver Economy

Cosa si intende per Silver Economy? In mancanza di una definizione condivisa, la Commissione Europea identifica la Silver Economy come “l’insieme delle attività economiche che rispondono ai bisogni delle persone con 50 o più anni di età, inclusi anche i prodotti e servizi di cui queste persone usufruiscono direttamente e l’ulteriore attività economica che questa spesa genera”. Partendo da questa definizione, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali nell’Osservatorio sulla Spesa Pubblica e sulle Entrate 2020 “Silver Economy, una nuova grande economia”, propone apre un dibattito sulla scelta della soglia anagrafica: secondo gli autori del documento, infatti, porre il limite a 50 anni non consente di cogliere un’importante distinzione, ovvero la condizione sociale e lavorativa dei soggetti considerati, in particolare la distinzione tra lavoratori attivi e pensionati. Queste due categorie sono molto diverse sia sotto il profilo dei bisogni e delle esigenze, che inevitabilmente si modificano nel passaggio dalla vita attiva alla quiescenza, sia dal punto di vista delle disponibilità economiche e delle relative abitudini di spesa. La definizione proposta allora nell’Osservatorio individua la Silver Economy come il complesso delle attività economiche rivolte specificamente alla popolazione con 65 anni o più e che offrono servizi materiali e immateriali, beni, prodotti di consumo o investimento nonché forme di assistenza psicologica, riabilitativa e sanitaria.

A sostegno di questa scelta concorrono sia l’età media di pensionamento che determina il mutamento della vita stessa dei soggetti che varcano l’età della pensione, sia la demografia con l’enorme allungamento dell’aspettativa di vita; ma anche la nuova definizione di anziani mediante suddivisione in quattro sottogruppi, “giovani anziani” (persone tra i 64 e i 74 anni), anziani (75 – 84 anni), “grandi vecchi” (85 – 99 anni) e centenari. L’età di 65 anni coincide in generale con la soglia anagrafica per il pensionamento fissata o alla quale stanno tendendo quasi tutti i Paesi dell’Area OCSE; pur considerando le specificità delle singole realtà nazionali, per rimanere in Europa si va dai 68,5 anni di età effettiva di pensionamento del Portogallo ai 60,5 del Lussemburgo.

Oggi, il differenziale tra l’età della quiescenza o della parziale o totale uscita dal mondo del lavoro e l’aspettativa di vita media di maschi e femmine, non solo alla nascita ma anche a 65 e 80 anni, è tale da consentire la realizzazione di una “economia Silver”. Considerate le dinamiche demografiche descritte, che prevedono un incremento dell’aspettativa di vita e di conseguenza dei requisiti pensionistici, l’Osservatorio sottolinea come la definizione di Silver Economy sia da considerare “dinamica”, cioè declinabile in funzione dell’età di uscita effettiva dal mondo del lavoro e conseguente ingresso nel periodo di quiescenza con le mutate esigenze che ne derivano.

L’impatto della pandemia sulla Silver Economy

L’impatto che la pandemia di COVID-19 ha avuto sulla fascia di popolazione più anziana, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non ha fatto altro che confermare le grandi opportunità che potrebbero derivare dalla Silver Economy. Secondo i dati aggiornati dall’Istituto Superiore di Sanità al 25 giugno, l’età media dei deceduti per COVID-19 in Italia è pari a 80 anni: su 33.532 vittime, ben 28.586 (oltre l’85%) avevano 70 anni o più, mentre addirittura 31.985 (il 95,38%) ne avevano più di 60; il 60% delle vittime aveva 3 o più patologie preesistenti. A questi dati se ne possono affiancare altri: considerando solo gli over 65, l’incremento percentuale dei decessi di marzo 2020 rispetto alla media di marzo 2015-2019 è molto simile a quello del resto della popolazione (49,31% contro 49,36), mentre è ben più alto per gennaio (+54,5%) e febbraio (+57,2%), indice di un sistema colto alla sprovvista. In altri termini, la pandemia ha messo in risalto le debolezze strutturale dell’attuale sistema di protezione, cura e assistenza della popolazione anziana che solo lo sviluppo di una vera e propria economa d’argento può provare a sopperire e integrare.

Fonte: IL Punto. Pensioni & Lavoro