WELFARE: Nella contrattazione collettiva il fenomeno è ancora in crescita.
Articolo del 28 Settembre 2020
All’interno del nostro Quarto rapporto sul secondo welfare in Italia, intitolato “Nuove alleanze per un welfare che cambia”, è presente un capitolo interamente dedicato alle opportunità del welfare di natura occupazionale per le parti sociali. Tra i vari aspetti, il contributo si concentrava su come il welfare aziendale si stava diffondendo attraverso la contrattazione di primo livello, cioè per mezzo dei CCNL (Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro).
Il welfare nella contrattazione collettiva (fino al settembre 2019)
Attraverso un analisi del database del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, il capitolo ha infatti analizzato gli accordi collettivi stipulati dal 1° gennaio 2016 nel settore privato, allo scopo di individuare quei CCNL che hanno previsto, per ogni dipendente, una quota da spendere liberamente in prestazioni previste dalla normativa sul welfare aziendale.
Come è emerso, da gennaio 2016 a settembre 2019, gli accordi che hanno definito una quota da spendere in beni e servizi di welfare sono 13, su un totale di 457; si deve precisare inoltre che 2 di questi (Audiovisivo e Turismo) hanno previsto una quota per il welfare esclusivamente nel caso l’azienda non avesse introdotto forme premiali (attraverso accordi territoriali o di secondo livello), mentre uno (Poligrafi e Spettacolo) ha previsto il welfare solamente come forma sostitutiva dell’assistenza sanitaria integrativa (per il solo anno 2019).
In totale, è stato possibile quantificare un totale di 166.011 realtà imprenditoriali e 2.432.093 dipendenti coinvolti in tutti questi accordi. Vi è però una forte differenziazione tra i diversi CCNL: il contratto del comparto metalmeccanico, ad esempio, riguarda da solo oltre la metà degli addetti totali e circa un terzo delle imprese; anche il CCNL dei Pubblici esercizi, ristorazione e turismo e quello valido per le PMI metalmeccaniche iscritte a Confapi si rivolgono ad un bacino molto più ampio di aziende e lavoratori rispetto agli altri accordi.
Come accennato, lo studio presentato nel nostro Quarto rapporto si riferisce però esclusivamente agli accordi stipulati entro settembre 2019. Ma come si è evoluta questa situazione? Vi sono stati nuovi CCNL che hanno introdotto forme di welfare in via obbligatoria?
Il welfare nei CCNL tra il 2019 e il 2020
Nel tentativo di rispondere a queste domande, abbiamo proseguito con il nostro monitoraggio del database CNEL. Ciò che è emerso è che, da settembre 2019 a settembre 2020, altri 9 CCNL hanno introdotto quote di welfare aziendale.
Tale fenomeno sembra quindi proseguire la sua crescita. Come evidenziato dalla figura 2, però, ci sono alcuni aspetti che vanno sottolineati. In primo luogo, a differenza di quanto rilevato lo scorso anno, i CCNL stipulati negli ultimi mesi fanno riferimento a sigle sindacali e datoriali poco rappresentative: solamente uno degli accordi (quello riferito a Consorzi e Enti di sviluppo industriali) è infatti sottoscritto dalla triade sindacale Cgil, Cisl e Uil. Da questo punto di vista potrebbe presentarsi il rischio che il welfare possa essere sfruttato da quelle parti sociali che alimentano forme didumping contrattuale, andando cioè a sottoscrivere CCNL che interessano poche organizzazioni e pochi lavoratori al solo scopo di prevedere trattamenti (spesso retributivi) meno favorevoli.
In secondo luogo, come emerso anche dall’analisi dello scorso anno, i CCNL prevedono degli importi tendenzialmente bassi alla voce welfare che, tranne in un paio di casi, non superano la “soglia” dei 258,23 euro (cioè il limite definito dalla normativa fiscale per i cosiddetti fringe benefit). Considerando il fatto che la stessa normativa non pone delle differenze tra le varie “categorie” di benefit, le imprese possono così scegliere di non implementare un piano complesso e articolato e consegnare quindi ai loro dipendenti un “pacchetto” di buoni spesa e acquisto (i cosiddetti voucher welfare). Proseguire in questa direzione potrebbe alimentare il rischio è che il welfare si trasformi in un mero incentivo al consumo di servizi e beni che non sono strettamente connessi con la sfera sociale.
Verso il rinnovo del CCNL del settore metalmeccanico
Come visto dunque, seppur con alcuni limiti evidenti, il welfare sembra essere una materia contrattuale al centro del dialogo tra le parti sociali. Ad evidenziarlo è anche il dibattito che si sta sviluppando attorno al rinnovo del CCNL del settore metalmeccanico (scaduto a gennaio 2020), per il quale sembra praticamente certa la riconferma delle quote da destinare al welfare.
Quello del comparto metalmeccanico non è però l’unico sul quale le parti stanno lavorando. Secondo un recente articolo de Il Sole 24 Ore, sarebbero quasi 14 milioni i lavoratori che aspettano un accordo tra le rappresentanze sindacali e quelle datoriali per il rinnovo del CCNL. Tra questi vi sono anche addetti di comparti rilavanti per il nostro Paese, come quello tessile, della gomma e della plastica e quello chimico.
In questa direzione, l’auspicio è che le parti sociali puntino sul welfare, andando – dove possibile – oltre la quota dei 258 euro annuali (che è raddoppiata per l’anno 2020). In questo modo le imprese si troverebbero nella condizione di dover adottare forme di welfare aziendale più strutturate e non limitarsi ai semplici voucher welfare (fringe benefit). Questo permetterebbe ad aziende e lavoratori di sperimentare un paniere molto più ampio di prestazioni e servizi – ad esempio a sostegno della genitorialità, per la cura di familiari anziani o disabili, per la stipula di formule assicurative individuale, ecc. – e di conseguenza comprendere meglio le reali potenzialità del welfare aziendale, soprattutto quello di natura non monetaria.