Covid, arriva il data-sharing delle radiografie. Sette ospedali mettono in comune 800 lastre per capire l’efficacia reale delle terapie

Articolo del 28 Dicembre 2020

Dalla collaborazione di diversi centri di ricerca e ospedali italiani nasce la piattaforma per mettere in comune le immagini diagnostiche e accelerare la ricerca scientifica su una malattia di cui si sa ancora poco. “Consente di determinare in tempo l’opzione terapeutica migliore per il paziente e facilita l’ospedale nella programmazione dei posti letto aggiuntivi” se avessimo avuto a disposizione subito una biobanca sul Covid avremmo potuto capire molto prima l’efficacia delle terapie.

La condivisione degli esami radiologici dei pazienti Covid è stata una necessità della prima ora per tentare di assicurare diagnosi il più possibile rapide e omogenee. Ma un unico database nazionale non c’è mai stato, a parte quello attivato a febbraio dalla Società italiana di radiologia (Sirm), che oggi contiene 115 casi. E all’inizio si è perso tempo tra una sanificazione e l’altra dei macchinari, in attesa che gli ospedali creassero il doppio percorso “Covid” e “non Covid” e si dotassero di radiografi mobili. Oggi la gestione del paziente positivo a Sars-Cov2 è migliorata ma rimane l’esigenza di mettere in comune le immagini diagnostiche per accelerare la ricerca scientifica su una malattia di cui si sa ancora poco. A questo scopo è nata la piattaforma online “AlforCovid imaging archive” (disponibile al sito https://aiforcovid.radiomica.it/) da una collaborazione tra il Centro diagnostico italiano (Cdi) e alcuni Istituti di ricerca, quali il policlinico Ca’ Granda (Milano), il policlinico San Matteo (Pavia), l’azienda ospedaliero-universitaria Careggi (Firenze), il Fatebenefratelli-Sacco (Milano), l’ospedale Santi Paolo e Carlo (Milano) e l’ospedale San Gerardo (Monza).

Sulla banca dati sono stati caricati oltre 800 esami radiografici al torace a cui sono associati i dati clinici e biologici (come saturazione, temperatura, dispnea, esami del sangue) rilevati al momento del ricovero. Il materiale è stato raccolto durante la prima ondata della pandemia. “Invitiamo tutti gli istituti clinici e di ricerca nazionali e internazionali ad alimentare questo archivio per facilitare la ricerca di soluzioni innovative basate sull’intelligenza artificiale”: è l’appello di Sergio Papa, direttore della Diagnostica per immagini del Cdi. “Iniziative del genere sono già un primo traguardo. Ma con il ministero della Salute stiamo finalmente progettando delle biobanche con esami di diagnostica per immagini completi anche di referti strutturati – annuncia Roberto Grassi, presidente della Sirm -. Abbiamo perso tanto tempo prezioso, se avessimo avuto a disposizione subito una biobanca sul Covid avremmo potuto capire molto prima l’efficacia delle terapie, e invece ogni ospedale si è arrangiato come poteva – osserva-. Godiamo di unico sistema sanitario nazionale con un campione potenziale di 60 milioni di persone, che non viene conteso da enti sanitari privati come in altri Paesi, ma non lo utilizziamo perché, sebbene la diagnostica per immagini sia diventata digitale già negli anni ’80, fino ad ora non abbiamo ancora messo a regime un archivio di banche dati accessibili”.

“Il ruolo fondamentale della radiologia non è tanto la diagnosi ma la definizione della prognosi e quindi la capacità di identificare precocemente le complicanze a cui può andare incontro il paziente, come sanguinamenti a livello addominale o cerebrale” ricorda Carlo Catalano, direttore della Radiologia del policlinico Umberto I di Roma. E qui entra in gioco il supporto che può dare ai clinici l’intelligenza artificiale applicata alle immagini di diagnostica per fare previsioni più attendibili sul decorso della malattia. Il patrimonio di dati caricati sulla piattaforma di data-sharing può servire proprio per sviluppare strumenti di questo tipo.

Il Cdi insieme all’Istituto italiano di Tecnologia di Genova e all’università Campus Bio-medico di Roma ha già messo a punto degli algoritmi matematici “allo scopo di individuare in anticipo i pazienti soggetti a un peggioramento e quindi con più probabilità destinati alla terapia intensiva – spiega Papa -. Uno strumento con una doppia funzione: clinica, perché consente di determinare in tempo l’opzione terapeutica migliore per il paziente; e gestionale, perché facilita l’ospedale nella programmazione dei posti letto aggiuntivi”. Ma la quantità di immagini mediche e dati clinici messi a disposizione della comunità scientifica può essere usata per tanti altri studi, quello sulla sindrome post Covid per esempio. “In particolare i danni causati a livello polmonare – conclude Papa – e all’attuazione di misure mirate alla protezione degli individui che, data la compresenza di patologie pregresse, risultano più suscettibili di un aggravamento. E ancora, alla ricerca e alla sperimentazione di terapie e di procedure innovative per fare fronte alla malattia”.

 

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