Ci sono moltissime varianti del coronavirus, ma quelle su cui converge l’attenzione degli scienziati (e delle autorità sanitarie) si chiamano VOC (Variants Of Concern): letteralmente dall’inglese «varianti di preoccupazione». Sono 4: Alfa, Beta, Gamma e Delta.
Poi ci sono le VOI (Variants Of Interest), le «varianti sotto osservazione»: Eta, Iota, Kappa e Lambda e infine alcune altre, per ora denominate solo con lettere e numeri della classificazione genetica.

I nomi

Prima di giugno le varianti prendevano il nome dal Paese dove erano state identificate la prima volta: così ci sono state l’inglese, la sudafricana, la brasiliana e l’indiana. Da giugno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha deciso di assegnare a tutte le varianti sotto esame (VOC e VOI) un nome con le lettere dell’alfabeto greco, nell’ordine cronologico in cui sono state designate come potenziali minacce, per evitare denominazioni geografiche stigmatizzanti, o numeriche difficili da utilizzare e distinguere.

Cosa le rende «vincenti»

La «variante» è il nuovo codice genetico di un virus che ha acquisito una o più mutazioni, che a loro volta sono le variazioni che cambiano le caratteristiche del virus stesso. La mutazione è la causa e la variante è l’effetto. Le varianti, nonostante le somiglianze, sembrano essere sorte in modo completamente indipendente una dall’altra, ma spesso presentano mutazioni simili, come se il virus trovasse da solo le strade «migliori» per entrare nel corpo. Le varianti più efficienti (e quindi pericolose) sono quelle che coinvolgono la proteina esterna, la spike, che si aggancia alle cellule umane. Dall’originale ceppo SARS-COV-2 di Wuhan, le varianti «vincenti» sono sempre state quelle più contagiose, rispetto a quelle maggiormente patogene, in linea con quello che è l’interesse primario del virus: replicarsi e diffondersi.

Le prime

La prima variante degna di menzione è il ceppo che in Europa si è subito distinto da quello originario Wuhan: chiamata allora «D614G», la variante è comparsa in Europa tra febbraio e marzo del 2020 ed è diventata a giugno prevalente in tutto il mondo, con capacità di trasmissione anche di dieci volte maggiore rispetto al lignaggio cinese.
Una seconda variante (chiamata «20A.EU1») è comparsa a giugno del 2020 nel Nordest della Spagna e si è rapidamente diffusa nel resto d’Europa, contribuendo alla seconda ondata (quella autunnale).

Variante Alfa

Poi sono arrivate le VOC: il 14 settembre 2020 nel Regno Unito è stata identificata la Alfa. Ora diffusa in 154 Paesi, è diventata poco a poco prevalente in Europa, Usa, Canada e Giappone. La Alfa ha soppiantato le altre varianti anche in Italia diventando dominante fino a qualche settimana fa. È ora la fonte della maggior parte di nuove infezioni in Usa.
La Alfa presenta 23 mutazioni, tra cui 8 nella proteina spike (tra cui la N501Y), che la rendono più trasmissibile, nell’ordine almeno del 50% in più rispetto al ceppo originario.
Le ricerche hanno evidenziato che la variante è associata a una carica virale più alta, ma non sembra a maggiore gravità di malattia da Covid.
L’efficacia dei vaccini in uso in Europa e Gran Bretagna (Pfizer, Moderna e AstraZeneca) non è indebolita nei confronti della Alfa.

Variante Beta

La variante Beta è emersa in Sudafrica a settembre del 2020. È rimasta sostanzialmente circoscritta in Sudafrica, anche se 102 Paesi hanno registrato almeno un caso. Lo Stato che ne ha segnalati di più dopo il Sudafrica è la Francia, con 3.048 casi.
La variante Beta condivide con la Alfa la mutazione N501Y nella proteina spike. Ha in tutto 21 mutazioni, 9 nella spike.
È meno trasmissibile dell’Alfa, ma è ancora la variante con potenzialità di evasione immunitaria dal vaccino maggiore, paragonabile alla Delta (si veda sotto il paragrafo dedicato, ndr). Questo è dovuto a una mutazione, la E484K, che conferirebbe questa caratteristica. L’effetto di riduzione della protezione vaccinale non è quantificabile con un solo numero, perché misurato diversamente a seconda degli studi e dei Paesi che hanno ospitato le ricerche. L’efficacia dei vaccini cala con la Beta nel proteggere dalle infezioni, specie dopo 1 sola dose, ma rimane alta per tutti i vaccini riguardo alle ospedalizzazioni (dopo 2 dosi).
Non sembra avere effetti più patogeni (letali).

Variante Gamma

Ad ottobre 2020 in Brasile è stata identificata la variante denominata Gamma. Diffusa in 62 Paesi, soprattutto in Sud America, è arrivata anche in Usa, Canada ed Europa, compresa l’Italia, dove è stata per un periodo la seconda variante in ordine di prevalenza (decisamente staccata dalla Alfa e sempre sotto il 10%). Al di fuori dei Paesi Sudamericani, che però utilizzano i vaccini cinesi (meno efficaci) non è stata in grado di «imporsi» su Alfa e Delta. Contiene una costellazione unica di mutazioni, tra cui la N501Y, comune alla Alfa, e la E484K, comune alla Beta, la più preoccupante per i vaccini.
La Gamma si è calcolato possa essere tra 1,4 e 2,2 volte più trasmissibile rispetto al coronavirus «arcaico», leggermente meno contagiosa della variante Alfa.
Rispetto all’efficacia dei vaccini presenta una minima riduzione: si colloca tra la Alfa (che non provoca problemi di efficacia) e la Beta, ma gli studi fatti sulla Gamma spesso non coinvolgono vaccini utilizzati in Europa o Usa.

Variante Delta

A settembre 2020 in India è stata identificata la variante inizialmente denominata B.1.617. Il lignaggio B.1.617 ha continuato ad evolversi, dividendosi in nuovi lignaggi tra cui B.1.617.1, noto come Kappa (VOI), e B.1.617.2 , noto come Delta. È quest’ultimo che si è diffuso in 105 Paesi, ma in Europa ha superato ogni altra variante diventando prevalente (prima nel Regno Unito e ora anche in Italia). Per una serie di caratteristiche, potrebbe diventare dominante anche nel resto del mondo.
Delta è stata chiamata erroneamente «doppio mutante» perché, oltre alla decina di mutazioni che presenta, contiene due mutazioni già note, E484Q e L452R, che per la prima volta compaiono insieme. La prima è comune alla variante Epsilon diffusa in California e sarebbe la causa della maggiore capacità di contagio, la seconda conferisce il potere di parziale evasione immunitaria dai vaccini.
Delta è circa il 50-70% più trasmissibile rispetto alla variante Alfa, che a sua volta era il 50% più trasmissibile del ceppo che abbiamo avuto in Europa lo scorso anno. Secondo i primi studi, il meccanismo alla base di questa contagiosità formidabile è un processo che coinvolge la riduzione del tempo di incubazione (da 6 giorni di media a 4) e l’aumento della carica virale, misurata almeno 1.000 volte più alta (rispetto al virus Wuhan) già dal primo giorno.
Secondo uno studio scozzese pubblicato su The Lancet il 14 giugno, la variante Delta è associata a circa il doppio di ricoveri rispetto alla variante Alpha, ma sono dati da confermare.
Si monitorano sintomi leggermente diversi: mal di testa, mal di gola, naso che cola e febbre (per le altre varianti non ci sono differenze con il virus arcaico). La tosse è più rara e la perdita dell’olfatto non è elencata nemmeno tra i primi dieci sintomi.
L’efficacia dei vaccini contro la Delta scende, soprattutto dopo una sola dose e soprattutto riguardo alle infezioni. I vaccini offrono buona copertura dopo due dosi e proteggono bene da ricovero o morte, tanto che, rispetto all’avanzata della Delta, si parla di «un’epidemia dei non vaccinati». In ordine crescente su una scala da 1 a 100 possiamo dire che, con la variante Delta, chi non è vaccinato ha zero di protezione, chi ha fatto una dose è protetto al 20-30%, chi è guarito al 60-70%, chi ha fatto due dosi di vaccino è al 70-80% e chi ha fatto la malattia e poi il vaccino probabilmente è al 90%.
I vaccinati possono reinfettarsi (nell’ordine di circa il 12% di possibilità) ma non svilupperanno malattia grave. Possono essere contagiosi, ma meno, soprattutto se incontrano altri vaccinati.

Le nuove varianti sotto osservazione

L’Oms classifica come VOI altre quattro varianti.
Kappa è il lignaggio da cui è venuta la Delta, sicuramente meno contagioso e meno preoccupante.
Eta è stata rilevata in Nigeria nel dicembre 2020: presenta la mutazione E484K, è arrivata in 69 Paesi senza prevalere (qualche caso anche in Italia).
Iota si è diffusa rapidamente a New York City a partire da novembre 2020. È rimasta soprattutto in Usa. Presenta la mutazione E484K.
Lambda è stata identificata per la prima volta in Perù nell’agosto 2020. Rilevata in 29 Paesi, presenta alti livelli di diffusione in America: in Cile il 33%, in Peru 23%, negli Usa il 20%. Lambda presenta tre mutazioni «rischiose»: T76I e L452Q aumenterebbero il potere di contagiosità, infatti L452R è comune alla variante che si è diffusa in California (Epsilon), nota per essere più trasmissibile. La terza mutazione sotto la lente è indicata con RSYLTPGD246-253N: si trova nella parte terminale della proteina spike e grazie ad essa la Lambda potrebbe avere il potere di sfuggire agli anticorpi creati dai vaccini, ma secondo i primi studi si tratterebbe di una resistenza «modesta», che suggerisce che i vaccini possano funzionare lo stesso.

 

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