La più estesa analisi genetica finora condotta ha individuato diverse aree del genoma che contribuiscono a determinare l’età della menopausa negli esseri umani, e una sperimentazione sui topi ha mostrato come sia possibile influire sulla fertilità femminile manipolando specifici geni.

L’età della menopausa negli esseri umani è influenzata da circa 300 varianti genetiche: è quanto emerso dalla più estesa ricerca genetica effettuata finora su questo tema, illustrata su “Nature” da John Perry, dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, e colleghi. La ricerca, oltre ad ampliare notevolmente le conoscenze su alcuni processi fisiologici dell’invecchiamento umano, potrebbe aprire anche interessanti prospettive terapeutiche, poiché ha dimostrato in una sperimentazione come diversi geni cruciali associati a queste varianti possano essere manipolati per estendere la vita riproduttiva.

Lo studio s’inserisce nell’ampio campo di ricerca che riguarda la salute riproduttiva. A livello globale, le statistiche mostrano che la menopausa, la cessazione permanente dei cicli mestruali in seguito alla perdita della funzione ovarica, si verifica in media tra i 47 e i 52 anni di età. Ma circa il quattro per cento delle donne va incontro alla menopausa prima dei 45 anni (menopausa precoce) o addirittura prima dei 40 (insufficienza ovarica primaria): in questi casi, un plausibile metodo per prevedere l’età della menopausa aiuterebbe a programmare consapevolmente la procreazione.

Le ricerche sull’argomento hanno chiarito che a determinare l’età della menopausa concorrono fattori genetici e ambientali in egual misura, anche se ci sono probabili effetti d’interazione tra i due ambiti. I dati epidemiologici mostrano infatti che la denutrizione in età infantile e il fumo di sigaretta anticipano l’età della menopausa, mentre il sovrappeso la ritarda.

Gli studi genetici hanno chiamato in causa la risposta al danno del DNA, un meccanismo di riparazione genetica cruciale per la corretta replicazione cellulare e quindi anche per la costituzione della riserva ovarica, l’insieme delle cellule uovo che si determina una volta per tutte nella vita neonatale.

Nella prima fase dello studio, Perry e colleghi hanno considerato i dati di circa 200.000 donne di ascendenza europea, in cui la menopausa è iniziata tra i 40 e 60 anni, testando milioni di varianti genetiche comuni su tutto il genoma. Gli autori hanno così scoperto 290 aree genomiche tra loro indipendenti che contenevano varianti correlate con l’età della menopausa, con un aumento di cinque volte rispetto ai risultati precedenti. L’influenza di ogni variante sull’età della menopausa variava da 3,5 settimane a 1,5 anni.

I dati emersi dall’analisi erano coerenti con quelli di una seconda coorte di 300.000 donne e anche di una terza di 100.000: si stima che queste varianti spieghino il 10-12 per cento della variabilità della lunghezza della vita riproduttiva delle donne.

Complessivamente, i risultati fanno pensare che i geni che controllano meccanismi di riparazione del DNA abbiano un ruolo più importante di quanto ritenuto in passato. Nella seconda parte dello studio, i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione in particolare su due geni, con esperimenti su topi: il gene CHEK1, cruciale per lo sviluppo embrionale e direttamente coinvolto nel meccanismo di riparazione del DNA, e CHEK2, coinvolto invece nel processi di distruzione delle cellule uovo compromesse dal danno al DNA.

Nella sperimentazione si è visto che inattivare CHEK1 nelle cellule uovo portava all’infertilità femminile, mentre l’aggiunta di una sua copia in più determinava un incremento della riserva ovarica nei topi più anziani. L’inattivazione di CHEK2 riduceva la degenerazione ovarica e, negli animali che erano vicini all’età corrispondente a quella della menopausa umana, incrementavano la risposta alla stimolazione ormonale.

Quindi, limitare la distruzione degli ovociti o aumentare il processo di riparazione del DNA potrebbe estendere la durata della vita riproduttiva nei topi. Gli autori fanno però notare che ridurre l’espressione di CHEK2 potrebbe avere effetti avversi perché si tratta di un soppressore di tumori e alcune sue mutazioni aumentano il rischio di vari tipi di cancro.

È presto per prevedere come i risultati di questo studio possano ricadere sulla salute umana. In ogni caso, come sottolinea Krina T. Zondervan dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, in un articolo di commento sullo stesso numero di “Nature” un’eventuale possibilità di ritardare artificialmente l’età della menopausa dovrà fare i conti con la necessità di bilanciare capacità riproduttiva e salute della donna, come già avviene nel caso della terapia ormonale sostitutiva.

Fonte: Le Scienze

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