Si affinano i test che segnalano la positività semplicemente analizzando il fiato emesso. Mentre per il long covid si pensa a un esame del sangue.
Diagnosticare la covid con un test del respiro e il long covid da un esame del sangue: mentre il mondo si vaccina contro il SARS-CoV-2, i metodi per individuare le infezioni o intuire il decorso della malattia si fanno più rapidi e meno invasivi. Ci stiamo muovendo verso un futuro in cui la prevenzione della covid farà parte dei controlli di routine all’ingresso degli stadi, delle aule scolastiche e degli aeroporti, e in cui un medico di base potrà verificare gli strascichi da coronavirus semplicemente prescrivendo un prelievo.

UN RESPIRO PROFONDO… Diverse compagnie specializzate stanno lavorando a test del respiro (breath test) portatili e veloci per rendere lo screening della covid facile come soffiare in un sacchetto. Una di queste, l’olandese Breathomix, ha impiegato il suo SpiroNose, un “naso elettronico” grande come una bottiglietta d’acqua, per analizzare i composti chimici nell’espirato dei musicisti dell’Eurovision, la competizione musicale internazionale che ha visto trionfare i Måneskin a maggio 2021.

Si respira per un po’ di volte in un tubo sterile con il naso tappato con una molletta e, se il responso è negativo, è tutto a posto: decisamente meno fastidioso di farsi prelevare il muco con un lungo cotton fioc nelle narici. Altre aziende hanno già chiesto autorizzazioni di emergenza per i loro test del respiro o li stanno già usando in ambiti ristretti. Ma come funziona questo tipo di screening?

LE TRACCE DI UN’INFEZIONE IN CORSO. Quando espiriamo, liberiamo nell’aria centinaia di composti organici volatili (Volatile organic compoundsVOCs), i sottoprodotti non solo della respirazione, ma anche della digestione, del metabolismo cellulare e di altre trasformazioni in corso nel corpo umano. Le malattie come la CoViD-19 possono alterare questi processi e far saltare gli equilibri dei VOCs in un modo riconoscibile. La sfida sta nel riconoscere in che modo, un’infezione nuova come la covid, mandi fuori registro le sostanze esalate – occorre risalire, cioè, alla “firma specifica” e indiretta (perché non si ricerca direttamente il virus) dell’infezione.

I PRECEDENTI. La ricerca in questo campo va avanti da 20 anni ed esisteva ben prima della pandemia. È noto per esempio che le persone con diabete possono avere un’emissione di fiato dolciastra, quasi fruttata, per via dei chetoni o corpi chetonici, sostanze chimiche che si formano quando le cellule non riescono a utilizzare il glucosio e si adattano a ricavare energia dai grassi.

Come spiegato in un articolo sul New York Times, negli ultimi anni si è lavorato anche per cercare nel respiro l’impronta caratteristica e riconoscibile di altre malattie come il tumore ai polmoni, patologie del fegato e dell’intestino, asma o tubercolosi. Ma l’idea che la diagnosi sia possibile analizzando l’aria espulsa dalla bocca è radicata nella medicina tradizionale di molti popoli ed era conosciuta sin nell’antica Grecia.

COVID IN CORSO. Oggi gli algoritmi di apprendimento automatico permettono di analizzare grandi quantità di dati provenienti dagli esami di molti pazienti testati, e individuare un andamento caratteristico del respiro di chi è positivo alla covid. Durante la fase iniziale della pandemia, nel marzo 2020, un gruppo di ricercatori britannici e tedeschi coordinati dalla Loughborough University (UK) ha pubblicato sulla rivista Lancet i risultati dell’analisi del respiro di 98 persone che si erano presentate in ospedale con sintomi compatibili con la covid.

Trentuno di esse sono effettivamente risultate positive, mentre le altre hanno ricevuto diagnosi diverse (asma, polmoniti batteriche, insufficienza cardiaca). Nell’aria espirata dai pazienti positivi alla covid sono stati rintracciati livelli elevati di aldeidi, composti chimici prodotti da cellule e tessuti danneggiati dalle infiammazioni, e di chetoni, un segnale e una conferma del fatto che il virus potrebbe danneggiare il pancreas e causare chetosi come nei diabetici. I positivi alla covid avevano anche livelli più bassi di metanolo, che potrebbero indicare un’infiammazione del sistema gastrointestinale da parte del virus, o una sofferenza dei batteri intestinali “buoni” che di solito producono questo composto. Tutte queste alterazioni costituiscono una “firma” tipica della malattia.

ANCORA QUALCHE LIMITE. Alcuni studi – non tutti ancora ufficialmente pubblicati – hanno rilevato un’alta efficacia in questo tipo di screening: una ricerca condotta con SpiroNose che ha coinvolto 4.510 persone ha permesso (ma i risultati sono da confermare) di individuare il 98% dei positivi, anche tra gli asintomatici. Tuttavia i test del respiro hanno anche tassi elevati di falsi positivi (persone non infette, che risultano tali) e falsi negativi (casi di covid che sfuggono). Per il momento le diagnosi dubbie vanno confermate con i classici tamponi nasali da analizzare in laboratorio.

I cibi ingeriti, l’alcol e il fumo possono incidere sull’affidabilità del responso; anche non usare correttamente i dispositivi potrebbe consegnare risultati sbagliati. Soprattutto, non esistono, al momento, livelli standard di composti volatili nel respiro di una persona in salute da usare come riferimento (a differenza, per esempio, degli intervalli corretti di globuli bianchi, zuccheri o colesterolo nel sangue). Per ottenerli occorrerebbe analizzare il fiato di decine di migliaia di persone.

PREVEDERE I DECORSI GRAVI. L’analisi del respiro potrebbe servire al di là della semplice diagnosi. I ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia hanno isolato sei composti organici volatili ricorrenti nei bambini con covid, e sperano ora di trovare la firma chimica della sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-C) che in rari casi colpisce i piccoli infettati dal coronavirus.

Un gruppo dell’Università della California, Davis si sta invece concentrando su un’altra componente, l’esalato condensato del respiro – la fase liquida dell’aria che emettiamo, una soluzione concentrata di goccioline e fluidi che contiene molecole più grandi e complesse, come proteine, anticorpi, marcatori infiammatori. L’idea in questo caso è di individuare i segnali biologici che potrebbero aiutare a distinguere i pazienti che avranno un esito peggiore della malattia, da curare tempestivamente con l’arsenale di farmaci salvavita che stiamo imparando a conoscere.

LONG COVID. E quando si guarisce dall’infezione? Se si torna totalmente in forze il peggio è passato, ma per molti pazienti resta l’incubo long covid, con i postumi della malattia che si trascinano per mesi. Nel Regno Unito già alle prese con 2 milioni di persone in questa condizione, aumentano le speranze di una diagnosi più semplice per chi ha sintomi di long covid. Entro alcuni mesi, forse sei, si potrebbe arrivare a confermare la condizione con un’analisi del sangue che cerchi, nel paziente, determinati autoanticorpi (anticorpi che si rivolgono contro l’organismo stesso), assenti in chi è guarito del tutto. Ci stanno lavorando gli immunologi di Imperial College London, mentre fioriscono le cliniche per le cure e la riabilitazione degli strascichi da covid.

 

Fonte: Focus
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