Oggi è richiesta un’efficienza di calcolo sempre maggiore, in grado di elaborare enormi quantità di dati in tempi brevissimi. Per questo, in studi in cui si sviluppano nuovi algoritmi e modelli matematici per qualunque ramo della scienza, vengono spesso usati i supercomputer, estremamente veloci e con grande potenza di calcolo: essi elaborano simultaneamente le varie parti di un problema complesso, eseguendo quello che chiamiamo il calcolo in parallelo.

Anche l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova possiede un supercalcolatore, installato lo scorso novembre e progettato da E4 Computer Engineering Spa, azienda all’avanguardia sul panorama tecnologico, nell’ambito dell’High Performance Computing. Questa struttura atta all’elaborazione ad alte prestazioni (HPC), chiamata Franklin – in onore della ricercatrice britannica Rosalind Franklin che ebbe un ruolo fondamentale per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA –, è capace di eseguire 4 milioni di miliardi di operazioni al secondo e rappresenta uno dei più grandi calcolatori per la ricerca in Europa.

Il supercomputer Franklin è utilizzato da molti ricercatori dell’IIT impegnati in studi computazionali, che richiedono, appunto, grandi potenze di calcolo per risolvere problemi inaccessibili tramite il calcolo umano. Negli ultimi anni, le scienze computazionali sono infatti diventate un dominio di ricerca fondamentale per l’IIT, con l’obiettivo di integrare la scienza dei dati e del calcolo con le attività sperimentali svolte all’interno dell’Istituto – come le scienze della vita, quelle dei materiali e la robotica –, impiegando competenze diverse, trasversali a più gruppi di ricerca.

Nell’IIT uno degli ambiti delle scienze computazionali che sfrutta maggiormente la capacità di calcolo di Franklin riguarda la modellazione molecolare e la scoperta di nuovi farmaci. È proprio grazie al candidato farmaco, teorizzato dal gruppo del Laboratorio di Molecular Modeling and Drug Discovery dell’IIT e guidato da Marco De Vivo, che è stato scoperto, in collaborazione con un altro team di ricerca dell’IIT guidato dalla sperimentale Laura Cancedda, un nuovo composto chimico che potrà diventare un farmaco utile per il trattamento dei sintomi caratteristici di alcune condizioni neurologiche, come la sindrome di Down e l’autismo.

“Ciò che facciamo da scienziati computazionali è simulare le proteine per comprenderne il comportamento a livello atomistico o molecolare e realizzare modelli di nuove molecole che fungano da inibitori di determinate proteine” dichiara Marco De Vivo. In particolare, i ricercatori si sono concentrati sull’effetto della nuova molecola sulla proteina NKCC1, che normalmente agisce da trasportatore di ioni di cloro all’interno del cervello, regolandone la corretta concentrazione per assicurare la funzione cerebrale. In condizioni neurologiche come la sindrome di Down, l’autismo e l’epilessia, la concentrazione di questi ioni nel cervello è alterata dal malfunzionamento della proteina NKCC1. “I farmaci in generale inibiscono il funzionamento delle proteine – osserva De Vivo – ma l’idea è quella di immaginarne uno molto selettivo. Costruiamo modelli di molecole che si posizionano nelle cavità delle proteine, bloccandone il funzionamento: come se la proteina fosse una ruota dentata e inserissimo qualcosa in una delle sue cavità, impedendo alla ruota di girare”.

La nuova molecola può infatti bloccare NKCC1 in modo potente e selettivo e senza effetti collaterali indesiderati, causati invece da altri farmaci esistenti che sono inibitori non selettivi di NKCC1. “Lo scopo di noi scienziati computazionali è quindi quello di identificare la molecola più promettente dal punto di vista del design – dichiara De Vivo –. Una volta si costruivano direttamente le molecole in laboratorio e si testavano: questo richiedeva una enorme disponibilità di composti chimici, di tempo e di denaro. Oggi, grazie ai calcolatori super performanti, siamo in grado di costruire il modello di molecola con il supercomputer, prima ancora di realizzarla in laboratorio, evitando così enormi spese di tempo e materiale”. Si tratta cioè di elaborare una sorta di rendering, di progettare un design con il supercalcolatore, basandosi su dati sperimentali provenienti da osservazioni e studi di laboratorio sulle proteine.

Lo sviluppo di teorie e algoritmi per la simulazione di nuovi sistemi mediante l’utilizzo dei supercalcolatori, consente agli scienziati computazionali di rappresentare fenomeni che seguono le leggi della fisica quantistica. “Ciò che noi elaboriamo al supercalcolatore – spiega De Vivo – è sia la dinamica molecolare classica che la dinamica molecolare quantum. La prima segue le leggi della fisica classica, che comportano simulazioni meno accurate, su scala macroscopica e quindi, in un certo senso, più realistiche. La seconda richiede più tempo e ottiene simulazioni molto più accurate. Una non esclude l’altra, ma anzi sono esattamente complementari”.

La meccanica quantistica ha un impatto notevole anche sulla progettazione di nuovi materiali con determinate proprietà, la cui previsione può guidare meglio la progettazione e lo sviluppo di nuove nanostrutture. Le simulazioni mediante i supercalcolatori sono estremamente utili, inoltre, per condurre l’analisi di grandi moli di dati (Big Data), la cui elaborazione risulta fondamentale per la predizione di comportamenti o il riconoscimento di oggetti attraverso l’apprendimento automatico (un aspetto molto importante dell’Intelligenza Artificiale), oltre che per la comprensione di complessi fenomeni fisici, e soprattutto nel settore della genomica, in cui la tecnologia di sequenziamento del DNA ad alte prestazioni offre possibilità senza precedenti per la medicina personalizzata.

 

Fonte: La Stampa

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