Qualche tempo fa, abbiamo letto un post in cui un cuoco proponeva una ricetta a base di bucce di patata cotte al forno.
Sembrava un normalissimo post e uno spunto culinario interessante, invece nei commenti si è letteralmente scatenato l’inferno:
“Le bucce contengono solanina, una sostanza pericolosissima”
“Le bucce non si mangiano, sono velenose”
“PERCHÉ NESSUNO PENSA AI BAMBINIII !”
E via così all’infinito…
La storia delle bucce delle patate come alimento pericolosissimo, se non mortale, è una di quelle che miscela verità (ma poca poca) a una dose abbondante di narrativa fantastica.

O meglio ancora post-apocalittica.

Oggettivamente, la questione della solanina e di altri glicoalcaloidi presenti nella parte edibile di Solanum tuberosum (la patata, insomma) è abbastanza gonfiata rispetto alla realtà.
solanina
Una molecola di solanina, non la trovate terrificante?
Anche a fronte della valutazione dei rischi per la salute condotta dall’EFSA nel 2020.
Occorre, però, partire dall’inizio e spiegare cosa sono esattamente questi glicoalcaloidi (in questo post chiamati GA) che possono essere presenti nella patata, come in altri prodotti di origine vegetale, vedi pomodori, e per quale motivo sono presenti.

La solanina e altri glicoalcaloidi

Sarà il nome, sarà perché ti fa venire voglia di estate, ma la solanina è sicuramente l’alcaloide più noto associato al consumo di patata. Ci sono, tuttavia, anche altre sostanze che appartengono allo stesso gruppo con nomi altrettanto peculiari, come la caconina (o chaconine, in inglese così come anche nel testo del report EFSA).
caconina e solanina
La molecola di caconina: sulla destra la parte “alcaloidica” e a sinistra quella “glucidica”.
Premettendo che capiamo la minore notorietà della caconina, questi GA sono tra i più noti per il loro effetto tossico nei confronti degli animali, compreso l’uomo.
La loro presenza nella parte edibile della patata è correlata alla difesa della pianta nei confronti di parassiti e altri organismi patogeni e per tale ragione la loro concentrazione, come quella di altri glicoalcaloidi, varia a seconda della parte o struttura della pianta presa in considerazione e della sua esposizione ai parassiti e patogeni, ad esempio per:
  • nei fiori le concentrazioni di GA vanno dai 2150 ai 5000 mg/kg peso fresco (peso cresco = fw);
  • nelle foglie tra 230 ai 1000 mg/kg fw;
  • il tubero, preso come intero, ha una concentrazione tra i 10 e 150 mg/kg, che è il valore medio ottenuto dai valori rilevati di 150 fino a 640 mg/kg fw per la parte più esterna (con un livello nella buccia tra 300 e 640 mg/kg fw) e le concentrazioni riscontrate nelle parti più interne, tra 0 e 100 mg/kg fw (compresa la cosiddetta polpa).

Cosa influenza la presenza di solanina e GA?

Il contenuto di questi GA nell’alimento può essere influenzato da alcuni fattori come :
  1. la varietà di patata coltivata;
  2. le modalità di stoccaggio (es. per alcune cultivar, sia chiaro per alcune cultivar e non per tutte, è stato rilevato che il contenuto tende ad aumentare quando lo stoccaggio* avviene a temperature prossime a 4 °C rispetto a 10 °C);
  3. l’esposizione alla luce, dato che è ben noto che la solanina tende ad aumentare in ragione della sintesi della clorofilla, e il livello di questo alcaloide è strettamente correlato all’inverdimento della patata. (vedi, il nostro approfondimento su Patate Verdi e Solanina).

Il tasso di formazione di solanina che si ha quando la patata viene conservata al buio è circa il 20% rispetto a quello di un tubero conservato tenendolo esposto alla luce.

I livelli normalmente riscontrati di solanina e caconina nelle patate sono compresi tra 20 e 100 mg/kg, anche se livelli più elevati possono essere rilevati a causa ad esempio di danni meccanici, germogliamento, inverdimento, fitopatologie, inadeguato stoccaggio.
*lo stoccaggio delle patate in frigorifero favorisce anche la formazione di alcuni zuccheri riducenti che incrementano il contenuto di acrilammide nel prodotto finito quando friggiamo oppure ci cimentiamo nella cottura al forno (tale accorgimento è anche ribadito all’allegato II parte A del Reg. UE 2158/2017 sul tenore di acrilammide negli alimenti, in cui è richiesto agli operatori del settore alimentare di conservare le patate a temperature superiori a 6°C).

I rischi per il consumatore

Diciamolo francamente: i rischi per il consumatore sono decisamente più ridimensionati rispetto al sentir comune, al dramma, alla tragedia di cui si sente parlare.
L’aspetto interessante della questione è che concentrazioni elevate di GA sono talvolta, se non spesso, rilevabili a livello organolettico/sensoriale (diversamente da altri contaminanti chimici, micotossine, fitofarmaci, etc.)
Ad esempio, concentrazioni elevate di GA (superiori a 100 mg/kg di prodotto) comportano variazioni percepibili nel sapore, che è decisamente più amaro, con sensazione di bruciore alla lingua e un’irritazione nella parte più interna della bocca.
Come anche detto in precedenza, livelli elevati di GA sono associati all’inverdimento (da tenere in conto anche il germogliamento) del tubero, fattore che può essere facilmente verificato tramite ispezione visiva del prodotto.
Alcuni trattamenti termici come frittura, la cottura in forno, come anche la bollitura, possono determinare una diminuzione del contenuto tra il 5 e il 65%.
Tutta questa pappardella permette quindi di comprendere che una conservazione adeguata, lontano dalla luce, unitamente a una cernita delle patate che si presentano danneggiate, malate, germogliate o soggette a inverdimento, consente di norma di consumare un prodotto con dei livelli di GA abbastanza contenuti e quindi sicuro.
In ogni caso, per una questione di completezza e trasparenza, qualche informazione sulle dosi e sulle intossicazioni ve la forniamo comunque.

Intossicazione da solanina

L’EFSA (1), sulla base delle informazioni e delle stime fornite dal JECFA, anche conosciuto come Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives, ha riportato che l’effetto tossico dei GA nei confronti dell’uomo è stato rilevato a dosi superiori a 1 mg/kg di peso corporeo (bw), come esposizione acuta, ovvero da intendersi come associata al singolo evento.
Superata quella dose, gli effetti tossici possono comprendere mal di testa, vomito, diarrea, dolore addominale e stanchezza.
1 mg/kg bw può quindi comportare generalmente un effetto tossico non severo, con una sintomatologia che spesso può presentarsi come attenuata.
Gli effetti potenzialmente letali sono associati a dosi decisamente più elevate, che state stimate tra 3 e 6 mg/kg bw, anche se su queste concentrazioni esiste una certa incertezza, a fronte dei dati raccolti nel tempo sulle intossicazioni da GA, in particolare sulla solanina.
Casi che sono proprio dell’altro ieri, come no.

Ne citiamo giusto qualcuno:

1) Siamo nel 1898 in Germania, fa abbastanza freddo e alcuni soldati si stanno rifocillando con un pasto a base di patate non proprio ben conservate.
Risultato: 56 soldati sono rimasti intossicati, con sintomi come diarrea, nausea, dolore addominale.
In base ai dati raccolti e riportati dall’EFSA nel suo report, è stato stimato un tenore di alcaloidi (solanina) tra 240 mg/kg e 380 mg/kg di patata, considerando un pasto che ha comportato un’assunzione pari a 300 mg di GA, con una dose di 3,4-5,1 mg/kg bw (siamo bel lontani dal 1 mg/kg bw di cui sopra).
2) È il 1917, anno di svolta durante la Prima Guerra Mondiale, nel mentre a Glasgow 61 persone si ritrovano intossicate mostrando la tipica sintomatologia dell’intossicazione da solanina, immediatamente e/o dopo 3 ore circa.
I sintomi sono diarrea, vomito, mal di testa, stanchezza, a eccezione di un bambino di cinque anni che purtroppo perde la vita.
Le analisi condotte sulle patate rilevano un quantitativo di 410 mg di solanina/kg di prodotto, con una dose stimata (valutata per il bambino di 5 anni, assumendo un peso pari a 18 kg e un consumo di 200 g di patate) pari a 4,5 mg/kg bw.
410 mg solanina/kg di alimento è una concentrazione parecchio elevata di GA, a testimonianza di un prodotto mal conservato (siamo comunque nel 1917, un periodo caratterizzato da una certa penuria di cibo).

Siamo ben distanti, molto distanti, dai livelli normalmente rilevati dall’EFSA per la solanina nelle patate, compresi tra i 20 e 100 mg/kg.

Per quanto riguarda gli adulti, i cui sintomi sono stati riportati come non gravi, la dose assunta è stata stimata come pari a 3,4 mg solanina/kg bw, ipotizzando un pasto pari a 500 g e un peso corporeo di circa 60 kg .
3) Ultimo caso che citiamo, fresco fresco:
2015, siamo di nuovo in Germania e una famiglia di Wurttemberg (si dovrebbe scrivere così) ha qualche problema con il vomito e il mal di stomaco dopo aver consumato un piatto a base di patate non sbucciate.
I sintomi si sono risolti in poco tempo, non è stato necessario il ricovero.
La cosa interessante è che il piatto non è stato interamente consumato poiché questa famiglia ha notato un sapore amaro abbastanza estraneo.
Le analisi condotte testimoniano un livello pari a 236 mg GA/kg di prodotto, nessuna informazione però si ha sulla dose assunta e sulla quantità di patate consumate.

Conclusione

Il consumo della buccia delle patate, anche se contiene più GA rispetto alla polpa, rappresenta un rischio minore rispetto a ciò che si sente “sul web”.
E che è possibile continuare a consumare le patate e la loro buccia a patto di fare attenzione alle basilari norme igienico-sanitarie, un’attenta conservazione e prestare attenzione al sapore e alla fase di ispezione visiva.
Naturalmente questo è essenziale anche quando le consumiamo sbucciate, sia chiaro.