Rilevare l’ossigeno in profondità nel corpo con un minuscolo impianto wireless. Gli ingegneri della Berkeley University hanno creato un impianto millimetrico, alimentato da onde ultrasoniche, in grado di comunicare in tempo reale marcatori biochimici chiave nel corpo, fornendo ai medici metodi minimamente invasivi per il monitoraggio di organi e tessuti.

Le onde ultrasoniche hanno una frequenza troppo alta per essere rilevata dall’orecchio umano, ma possono viaggiare in modo innocuo attraverso il corpo umano anche a distanze molto più lunghe delle onde elettromagnetiche. E’ per questo che sono già alla base della tecnologia di imaging e vengono utilizzate nella chirurgia ablativa così come nella riabilitazione. Ora questo microchip, creato in collaborazione con i medici dell’University of California at San Francisco, apre la strada a un’ampia varietà di sensori miniaturizzati per la telemedicina, le terapie intensive così come per le gravidanze a rischio.

“E’ molto difficile misurare i valori in profondità all’interno del corpo”, spiega Michel Maharbiz, professore di ingegneria elettrica e informatica all’Università di Berkeley. “Il dispositivo dimostra come, utilizzando la tecnologia a ultrasuoni, sia possibile creare impianti sofisticati che vanno in profondità nei tessuti per prelevare dati direttamente dagli organi”. E’ dal 2013 che Maharbiz progetta con il suo team impianti miniaturizzati che utilizzano onde ultrasoniche per comunicare in modalità wireless con il mondo esterno. I risultati della sua ultima sperimentazione sono stati pubblicati dalla rivista “Nature Biotechnology” (www.nature.com/articles/s41587-021-00866-y ) e segnano una svolta nel settore, con applicazioni decisamente molto ampie.

“L’ossigeno è un componente chiave della capacità delle cellule di sfruttare l’energia dal cibo che mangiamo e quasi tutti i tessuti del corpo richiedono un rifornimento costante per sopravvivere. La maggior parte dei metodi per misurare l’ossigenazione dei tessuti può fornire solo informazioni su ciò che sta accadendo vicino alla superficie del corpo. Questo perché i metodi che si basano su onde elettromagnetiche, come la luce infrarossa, possono penetrare solo per pochi centimetri nella pelle o nei tessuti degli organi. Sebbene esistano tipi di risonanza magnetica in grado di mostrare l’ossigenazione dei tessuti profondi, richiedono lunghi tempi di scansione e non sono in grado di fornire dati in tempo reale”. Un problema che si può facilmente aggirare con le onde ultrasoniche.

Per farlo, il ricercatore Soner Sonmezoglu ha assemblato su un microimpianto un sensore di ossigeno e un rilevatore ottico, oltre a una serie di controlli elettronici per il trasferimento bidirezionale dei dati. Il dispositivo è stato testato su un gruppo di pecore ed è stato in grado di monitorare i livelli di ossigeno nei loro muscoli. “A differenza del saturimetro, che misura la proporzione di emoglobina nel sangue, questo nuovo dispositivo è in grado di vedere direttamente la quantità di ossigeno presente nei tessuti – spiegano i ricercatori –. Il potenziale d’applicazione va dal controllo degli organi trapiantati, su cui possono verificarsi complicazioni vascolari, alla misurazione dell’ipossia tumorale, che può aiutare i medici a guidare la radioterapia del cancro, passando per il monitoraggio dello sviluppo fetale e alla crescita dei prematuri”.

“I nati pretermine, ad esempio, hanno spesso bisogno di ossigeno supplementare ma non abbiamo una lettura affidabile della concentrazione presente nei tessuti”, spiega il pediatra Emin Maltepe, coautore dello studio. “Ulteriori versioni miniaturizzate di questo dispositivo potrebbero aiutarci a gestire meglio l’esposizione all’ossigeno nei pazienti in terapia intensiva neonatale e contribuire a ridurre al minimo alcune delle conseguenze negative di un’eccessiva esposizione, come la retinopatia o la malattia polmonare cronica”. Lo stesso vale per tutti i pazienti in ossigenoterapia, inclusi i casi gravi di Covid.

“La tecnologia potrebbe essere ulteriormente migliorata – conclude Sonmezoglu – alloggiando il sensore in modo che possa sopravvivere a lungo termine nel corpo. Un’ulteriore miniaturizzazione del dispositivo semplificherebbe anche il processo di impianto, che attualmente richiede un intervento chirurgico. Inoltre, la piattaforma ottica nel sensore potrebbe essere prontamente adattata per misurare altre biochimiche nel corpo, come il ph, il glucosio o l’anidride carbonica”. L’obiettivo, ora, è di renderlo abbastanza piccolo da poter “essere iniettato nel corpo con un ago, o inserito in laparoscopia, rendendo l’impianto semplice e veloce”.

 

Fonte: La Stampa

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