In occasione dell’evento di chiusura dell’Health&BioTech Accelerator Summit di Deloitte, Msd Italia e Intesa Sanpaolo Rbm Salute, sono state selezionate le start-up più promettenti e si è parlato di ricerca, sviluppo, trasferimento della conoscenza e collaborazioni tra enti pubblici e settore privato.
Ricerca, salute, innovazione, tecnologia, ma anche economia, sostenibilità e gestione dei rischi sono stati i temi dominanti dell’evento finale della prima edizione dell’Health&BioTech Accelerator Summit, il progetto organizzato e coordinato da Deloitte – Officine Innovazione, insieme a Msd Italia, Intesa Sanpaolo Rbm Salute e con il contributo di tanti partner scientifici e accademici.

Un evento speciale, che nel suo momento finale ha presentato le start-up selezionate nel lungo processo di incubazione, iniziato alla fine dell’anno scorso, tra le oltre 350 che hanno aderito al programma di Deloitte. Quattro le start-up italiane premiate, una norvegese e una finlandese, tutte nate all’insegna dell’innovazione e della tecnologia a sostegno della salute e della prevenzione, in campi anche molto diversi.

ROBOT, VACCINI, NUOVE CURE E MONITORAGGIO A DISTANZA

Wearable Robotics, ad esempio, nata nel 2014 come spin-off della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, produce esoscheletri robotici: l’anno scorso ha fatto segnare un fatturato di un milione di euro e per il 2021 ha commesse per oltre 1,8 milioni. Tra i competitor del proprio settore, anche aziende importanti e quotate, è pressoché l’unica con un’Ebitda positivo.
Ci sono poi Vaxxit, start-up biofarmaceutica di Roma, che sta studiando vaccini contro Hiv, Herpes simplex e tubercolosi, con risultati incoraggianti; Kither Biotech, alle prese con lo studio di nuove terapie per disturbi polmonari gravi, come la fibrosi cistica; e MicroMesh, progetto dell’Istituto italiano di tecnologia, impegnato con la cura del glioblastoma multiforme, attraverso un impianto polimerico da loro brevettato (uMesh).
Dal nord Europa, arrivano infine gli altri due progetti che si occupano entrambi di monitoraggio cardiaco a distanza: si tratta della start-up finlandese Cardiolyse e l’omologa norvegese Ecg247: i device e le piattaforme progettate dalle due imprese innovative hanno il compito di individuare e segnalare le fibrillazioni atriali e le altre aritmie pericolose.

L’INNOVAZIONE DEV’ESSERE PER TUTTI, ALTRIMENTI NON È

L’innovazione, quindi, corre soprattutto nel campo delle bioscienze e del settore salute, anche sulla scorta dell’accelerazione richiesta dalla pandemia che stiamo vivendo. “Nel 2020, in Italia, la gestione dei pazienti da remoto è aumentata di sei volte; mentre il 60% delle aziende farmaceutiche ricorre già oggi alla telemedicina nei trial clinici”, ha sottolineato Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato di Msd Italia, durante un momento dell’evento.
“Ma nell’innovazione – ha continuato – non possiamo lasciare indietro nessuno, perché altrimenti non si può parlare di vera innovazione”.
Proprio grazie alla telemedicina e all’assistenza a distanza, si è riusciti in molti casi (in altri purtroppo no, come sappiamo) a non lasciare indietro gli altri pazienti non Covid. In un’ottica più olistica si sta muovendo, come noto, Intesa Sanpaolo Rbm Salute, che è impegnata nel fornire insieme alla componente assicurativa anche i servizi di monitoraggio e assistenza, grazie proprio all’innovazione e alla digitalizzazione. Secondo Marco Vecchietti, ad della società, per Intesa Sanpaolo è “importante avere un modello funzionate end-to-end” che comunichi con tutte le parti della filiera della salute pubblica e che sia “capace di integrare i livelli di copertura del Sistema sanitario nazionale”.

CONDIVIDERE IL RISCHIO PER REINVENTARE LA RICERCA

Il tema della collaborazione tra pubblico e privato nella salute si arricchisce anche di nuove opportunità date proprio dalla crescita delle start-up in questo ambito. Ma il compito del pubblico non si può limitare alla concessioni di bonus una tantum, sperando poi nella buona volontà e nell’inventiva dei singoli ricercatori e imprenditori. Come ha sottolineato Giovanni Tria, a capo di Enea Biomedical Tech, ente che si occupa del trasferimento della conoscenza dalla teoria accademica alla pratica, “non si tratta solo di aiutare una start-up o uno spin-off a emergere, perché è la fase successiva, il finanziamento delle sperimentazioni, quella più complessa”.
“Bisogna condividere il rischio con il settore pubblico – ha ribadito – reinventare il percorso che va dalla ricerca all’ingresso sul mercato dei prodotti; occorre una strategia per aiutare a costruire infrastrutture”.
Se il settore biomedicale è davvero strategico, ed evidentemente lo è, secondo l’ex ministro dell’Economia, occorre “cambiare il modo di operare e avere strumenti più articolati, ovvero accorciare i tempi per lavorare con i privati e comprendere più a fondo le dinamiche di mercato”, ha chiosato.

UN’ACCADEMIA AL CENTRO DEL SISTEMA

L’università, per esempio, deve avere un ruolo di aggregatore per favorire un circuito virtuoso che vada oltre le start-up. Il compito del mondo accademico dovrà evolvere, per essere sempre più permeabile e ricettivo alle esigenze concrete dei settori industriali. È la posizione di Maria Pia Abbracchio, Pro-Rettore vicario dell’Università degli Studi di Milano, docente, ricercatrice e farmacologa nel campo biochimico e biomedicale.
“L’università – ha detto – è stata sempre guardata come produttrice di conoscenza e ricerca pura di altissimo livello ma spesso incapace di portare queste conoscenze sul territorio. Anche se è sempre più labile il confine tra la ricerca di base e quella applicata, questo dialogo dev’essere biunivoco: ci vuole uno scambio continuo di conoscenze ed esperienze – ha precisato –, con un coinvolgimento attivo e la co-progettazione con tutti i partner, i portatori d’interesse, le fondazioni pubbliche e private. In Italia, abbiamo bisogno di connettere le energie per mettere a sistema le conoscenze”.
Secondo Abbracchio, la riprova che l’accademia al centro del sistema funziona è stata la stessa pandemia: “non saremmo mai arrivati ad avere vaccini anti-Covid così presto se non ci fosse stato un legame profondo tra ricerca di base, università e territorio”, ha concluso.

LA SFIDA DELLA POLITICA

Se non c’è innovazione, ci troviamo disarmati di fronte agli eventi. L’irruzione del nuovo coronavirus sulla scena mondiale ci ha trovati tutto sommato attrezzati, soprattutto ai livelli più alti. Se è vero che i Sistemi sanitari nazionali sono stati travolti dall’emergenza, e hanno tenuto grazie alla resistenza dei singoli operatori sanitari, è altrettanto vero che la ricerca ha sviluppato vaccini a tempo di record e gli enti regolatori e di certificazione sono stati rapidi.
“Occorre mostrare in modo più evidente che un euro investito in ricerca da parte dello Stato innesca un moltiplicatore nel settore privato che ha ritorni importanti”, ha commentato Ettore Rosato, deputato di Italia Viva e vice presidente della Camera. Rosato pensa a una “regia statale” tra le imprese che vogliono investire, i centri di ricerca e sviluppo e l’alta formazione pubblica: “fateci un elenco non delle leggi da fare, ma della norme da abrogare per rendere più semplice la ricerca in Italia”, ha chiesto alla platea (reale e virtuale), agli addetti ai lavori, alle start-up, alle imprese.
È una sfida, l’ennesima, per una sanità che stia al passo con le esigenze delle persone.

 

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