Agli Europei è stato il turno di Leonardo Spinazzola, ma sono molti i calciatori (e non solo) che hanno dovuto fare i conti con lesioni del tendine d’Achille. Eclatante il caso di David Beckham che nel 2010 andò incontro a un’improvvisa rottura senza nemmeno aver subito un minimo trauma. Ma non c’è da stupirsi, come spiega Federico Usuelli, responsabile dell’Ortopedia della caviglia e del piede dell’Ospedale Humanitas San Pio X di Milano: «Quello d’Achille è il tendine più lungo del nostro corpo e soprattutto quello soggetto a forze maggiori. Proprio per questi motivi può andare incontro a patologie. Questo tendine si può ammalare a due livelli diversi: inserzionale, ossia dove il tendine si inserisce sul calcagno, e non-inserzionale, più in alto rispetto al calcagno. Le tendinopatie inserzionali sono le meno pericolose perché hanno un rischio molto basso di portare a rottura del tendine, mentre quelle non inserzionali (come nel caso dei due calciatori citati) espongono di più alla rottura. È comunque molto raro che il tendine si rompa per un trauma unico, in genere ciò accede perché era già malato prima».

Come si possono diagnosticare?

La diagnosi delle tendinopatie dell’achilleo passa attraverso ecografia e risonanza. Il più delle volte, in mani esperte, sono sufficienti l’attenta valutazione dei sintomi e l’esame obiettivo. In caso di tendinopatia non inserzionale in genere si vede che il profilo del polpaccio è alterato e il tendine è slargato. Nella tendinopatia inserzionale si forma una «gobbetta» dove il tendine d’Achille si inserisce sul calcagno.

A cosa sono dovute e cosa si può fare in caso di tendinopatie inserzionali?

«Sono legate essenzialmente allo stress meccanico che determina dolore e infiammazione locale. In pratica bisogna pensare al tendine che sfrega sulle strutture adiacenti, ed esse su quelle attigue (tendine, borsa retroachillea, calcagno, tessuti molli che lo circondano, calza e scarpa). Questo è uno dei motivi per cui sono più soggetti a infiammazione del tendine gli atleti che fanno sport di durata, come i maratoneti, o coloro che indossano, per lavoro o per sport, calzature che aumentano l’attrito posteriore (sciatori, calciatori, lavoratori che usano scarpe antinfortunistiche). Anche se si tratta di patologie molto fastidiose non bisogna andare nel panico perché, comunque, il rischio di andare incontro alla rottura del tendine non è maggiore rispetto a quello della popolazione generale. Di solito il trattamento è conservativo. Buoni risultati si possono ottenere con onde d’urto o tecarterapia, il cui obiettivo è aumentare l’ossigenazione dell’area per ridurre infiammazione e dolore. Quando le terapie fisiche non sono efficaci, esistono comunque terapie chirurgiche mininvasive: il più delle volte con due “buchini” si riesce a togliere questa sorta di conflitto dovuto allo sfregamento del calcagno sul tendine».

Perché il rischio di rottura è maggiore nelle non inserzionali?

«Perché quello d’Achille è il tendine più lungo del nostro corpo e può avere una vascolarizzazione precaria: in genere il tendine va “in crisi” a metà strada tra il polpaccio (fonte di vascolarizzazione) e il calcagno. La lesione tende a verificarsi infatti nel punto in cui il tendine è più lontano dall’approvvigionamento del “nutrimento”. Il tendine si può slargare con una deformità a clessidra, che nel tempo porta a una degenerazione delle sue fibre e aumenta il rischio di rottura».

Quali sono le indicazioni in questi casi?

«Nelle tendinopatie non inserzionali si stanno ottenendo risultati promettenti con la medicina rigenerativa. Il mio gruppo, per esempio, ha condotto uno studio sull’utilizzo delle cellule mesenchimali estratte dal tessuto adiposo del soggetto. I dati confermano la sicurezza e l’efficacia del trattamento nell’eliminare o ridurre il dolore, ma in alcuni casi si riduce anche l’area di tessuto patologico. Quando la terapia conservativa non è sufficiente si può considerare l’approccio chirurgico per risolvere i sintomi e prevenire la rottura achillea». Tra le procedure chirurgiche mininvasive utilizzate per prevenire la rottura del tendine d’Achille c’è la trasposizione tendinea. «Con un’incisione di un centimetro, si traspone un altro tendine, in genere il flessore lungo dell’alluce, così che possa dare un contributo vascolare, oltre che meccanico. Se, invece, il tendine si è ormai rotto si ricorre ad altre tecniche. In passato si riparava meccanicamente andando a suturare i due monconi. Oggi esistono soluzioni più innovative. Per esempio si può prendere uno di questi monconi e reinserirlo sul calcagno: è quasi come avere un tendine d’Achille “nuovo”. Non sempre è possibile, ma quando lo è, c’è un vantaggio biologico e biomeccanico che riduce il rischio di recidiva con tempi di recupero più veloci», spiega Usuelli.

 

Fonte: Corriere della Sera

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