Gli scienziati dell’UCL Cancer Institute di Londra e dell’IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna hanno scoperto che un’alterazione genica comunemente riscontrata negli osteosarcomi, il tipo più frequente di cancro alle ossa, potrebbe rendere questi tumori sensibili ad alcuni farmaci antitumorali recentemente autorizzati e noti con il nome di inibitori di PARP (inibitori della poli-ADP ribosio polimerasi).

L’osteosarcoma è un tumore raro, in Italia se ne riscontrano circa 100 nuovi casi all’anno, ma è la forma più frequente di cancro alle ossa. Colpisce soprattutto bambini e giovani adulti. Si tratta di un tumore estremamente aggressivo e la sopravvivenza a lungo termine nei pazienti con diagnosi di osteosarcoma è rimasta più bassa rispetto a quella per altri tumori.
Fino a un giovane su tre con diagnosi di osteosarcoma attualmente non può essere curato.

Alcuni risultati promettenti sono emersi da una ricerca di base condotta dalla prof.ssa Sibylle Mittnacht presso l’UCL Cancer Institute di Londra, in collaborazione fra gli altri con la dottoressa Katia Scotlandi, responsabile del laboratorio di Oncologia sperimentale dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, e con ricercatori inglesi del Crick Institute.

I ricercatori hanno scoperto che un sottogruppo di linee cellulari di osteosarcoma, caratterizzato dalla presenza di un’alterazione a carico del gene Rb, può essere altamente sensibile ai farmaci che prendono di mira enzimi noti come PARP. Gli inibitori di PARP sono già utilizzati per trattare una serie di tumori, compresi i cancri ovarici e del seno, portatori di mutazioni nei geni chiamati BRCA.

I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications, mostrano che le cellule derivate dall’osteosarcoma con mutazione RB1 sono particolarmente sensibili agli inibitori di PARP, che portano alla rapida morte cellulare le cellule tumorali dell’osteosarcoma.

Esperimenti di laboratorio hanno evidenziato che le cellule di osteosarcoma con tale alterazione sono ancora più sensibili delle cellule di tumori con mutazione del gene BRCA, dove gli inibitori di PARP sono di comprovato beneficio clinico.

“Poiché gli inibitori di PARP sono già autorizzati, i pazienti con osteosarcoma con mutazioni RB1 potrebbero beneficiare rapidamente di questi trattamenti”, afferma la prof.ssa Sibylle Mittnacht dell’UCL Cancer Institute e prima autrice dell’articolo. Le alterazioni RB1 si trovano in circa la metà degli osteosarcomi e tali mutazioni sono state collegate a prognosi infausta e ad alto rischio di metastasi nell’osteosarcoma.

“Il fatto che l’elevata sensibilità sia stata osservata in cellule tumorali che abbiamo derivato solo di recente da pazienti con osteosarcoma è un forte indicatore che la sensibilità osservata sia riproducibile anche nelle condizioni cliniche. Gli studi, infatti, sono stati compiuti in laboratorio, in condizioni che riproducono fedelmente le caratteristiche dei tumori originali. È quindi altamente improbabile che i dati osservati siano dovuti a cambiamenti causati dalla crescita a lungo termine delle cellule tumorali in condizioni artificiali”, afferma la dott.ssa Katia Scotlandi, coautrice dell’articolo.

“Le attuali linee guida sull’uso degli inibitori di PARP si basano su caratteristiche dei tumori che non si osservano negli osteosarcomi. L’uso della mutazione RB1 come marcatore di sensibilità a questi farmaci potrebbe aprirne l’uso in una gamma molto più ampia di tumori” afferma la prof.ssa Mittnacht.

I risultati dello studio, sostenuto da Children with Cancer UK, Cancer Research UK e da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, suggeriscono infatti che anche altri tipi di tumori, compresi quelli polmonari a piccole cellule e il glioblastoma in cui la mutazione RB1 è frequente, potrebbero rispondere agli inibitori di PARP. Inoltre nello studio sono state identificate le alterazioni di RB1 come un nuovo segno distintivo per riconoscere i tumori probabilmente sensibili a questi farmaci antitumorali. Gli inibitori di PARP potrebbero quindi essere un trattamento su misura anche per altri pazienti con tumori portatori della mutazione RB1, al di là degli osteosarcomi.

“I risultati di questo studio aprono alla possibilità di una nuova terapia per un tumore per il quale sono indispensabili trattamenti innovativi – specifica Scotlandi – Il prossimo passo sarà verificare in studi clinici la reale efficacia di questi agenti terapeutici”.

 

Fonte: In Salute News

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS