Prima è nata la metagenomica, ovvero l’analisi dei genomi estratti da campioni ambientali complessi, anziché da un unico tipo cellulare coltivato in laboratorio. Ora è arrivata metaCRISPR. Cioè la possibilità di modificare i geni all’interno di una comunità di specie diverse. Pensate alla varietà di microrganismi che convivono nell’intestino umano o interagiscono con l’apparato radicale di una pianta. Si tratta di popolazioni che possono essere composte da centinaia o migliaia di microbi differenti. Modificandole potremmo imparare molto sulle reti di interazioni attive in seno al mondo microbico. E in futuro l’editing di comunità potrebbe trovare anche una varietà di applicazioni.

“Uccidere in modo selettivo i microbi pericolosi? Stimolare in modo selettivo il potenziale microbico per ridurre i gas serra? Spegnere selettivamente i geni per capire come i microbi si parlano l’un l’altro? Si profilano grandi cose all’orizzonte con #NewMetaCRISPR”, ha annunciato la geomicrobiologa Jill Banfield, coautrice del lavoro pubblicato su “Nature Microbiology”.

La scienziata di origini australiane lavorava a questo obiettivo da anni ed è una pioniera della metagenomica, che consiste nel frammentare il DNA presente in un campione ambientale e poi rimettere insieme i pezzi, ricostruendo i singoli genomi, in modo da scoprire anche quelli che appartengono a microbi ignoti, spesso recalcitranti alla coltura in vitro. Banfield si era già distinta nel 2016 per aver ridisegnato l’albero degli organismi viventi, individuando con questo approccio molti nuovi rami.

Scienziata da campo oltre che da laboratorio, va a caccia di biodiversità in ambienti estremi, come le miniere. Gli appassionati di editing la conoscono anche perché è stata lei la prima persona ad attirare l’attenzione di Jennifer Doudna sulle misteriose sequenze CRISPR presenti in tanti batteri, durante una chiacchierata all’Università di Berkeley. Si è accesa così la scintilla che poi ha portato la collega a vincere il Nobel insieme a Emmanuelle Charpentier. Ora Banfield guida il programma di microbiologia dell’Innovative Genomics Institute, l’istituto fondato da Doudna, e con lei ha firmato quest’ultimo lavoro.

I microrganismi sono ovunque. Sono antichi quasi quanto il nostro pianeta e svolgono funzioni essenziali per la vita sulla Terra. Sappiamo che per loro l’unione fa la forza, i super-poteri delle comunità microbiche però restano in gran parte da scoprire. In effetti è stato a lungo impossibile studiare tante specie che non si prestano a essere coltivate singolarmente in laboratorio, proprio perché amano stare in compagnia. Aggirare questo ostacolo spalancherà la porta su nuove conoscenze, importanti per capire meglio il funzionamento delle comunità complesse e l’evoluzione della vita. E probabilmente ci aiuterà a trovare nuovi stratagemmi utili per risolvere problemi di ordine pratico.

Da quando è stata inventata la tecnica CRISPR nel 2012, l’editing ha dimostrato di avere grandi potenzialità sia conoscitive che applicative. Il modo più diretto di usarlo è un approccio che potremmo chiamare “rompi e scopri”, perché si disattivano i geni, singolarmente o in combinazione, per vedere l’effetto che fa. La prospettiva ora è di allargare questo gioco a intere comunità microbiche, in condizioni più simili a quelle che si presentano in natura.

Ovviamente per editare delle sequenze di DNA bisogna prima conoscerle. Per fortuna nel corso degli ultimi vent’anni la metagenomica ha imparato a ricostruire anche i genomi dei microbi non coltivati, rendendoli visibili a CRISPR. Ora il lavoro pubblicato su “Nature Microbiology” mostra come editare i geni senza aver prima isolato i microrganismi. MetaCRISPR nasce dalla combinazione di due nuove tecniche: lo screening ET-sequencing (che usa un trasposone per individuare i microrganismi suscettibili all’editing) e il sistema DART (che utilizza CRISPR per inserire una sorta di codice a barre nei siti prescelti). La prova sperimentale è stata eseguita sulle feci di un bambino, editando diversi ceppi batterici e prendendo come bersaglio dei geni associati a malattie.

“Nel corso dei millenni l’umanità ha messo insieme esperimenti, intelligenza e serendipità, inventando il pane, la birra, lo yogurt e gli antibiotici. Ma le sfide poste dalla salute umana, dal clima, dall’agricoltura richiedono di andare oltre la barriera dei microrganismi coltivabili per imparare a sfruttare altre invenzioni della biologia”, ha scritto Banfield.

Nel 2019 il suo gruppo ha assemblato diecimila genomi appartenenti a quasi 800 specie microbiche provenienti da campioni di suolo di un prato della California. Questa operazione può essere paragonata a un censimento, che consente di sapere chi vive dove, e con quale densità abitativa, e quindi elaborare ipotesi sulle interazioni implicate in processi utili come la fissazione dell’azoto. Ma poi occorre indagare sperimentalmente i meccanismi ipotizzati, verificare se e come si compie la collaborazione metabolica tra specie diverse. Ed è per questo tipo di missioni che nasce l’editing di comunità.

 

Fonte: Le Scienze

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