La variante Delta del Covid sta diventando dominante in Europa. Le stime per l’Italia vanno dal 7 al 26%. Più contagiosa, con sintomi come mal di testa e naso che cola, molto simili al raffreddore.
La variante Delta è stata individuata per la prima volta in India, alla fine del 2020 e si ritiene che abbia contribuito, insieme ai raduni di folla oceanici e allo scarso utilizzo delle mascherine all’aumento vertiginoso dei casi nel Paese durante la seconda ondata della pandemia di Covid-19. Secondo quanto dichiarato dall’Organizzazione mondiale della sanità la variante Delta diventerà prevalente in Europa poiché molti Paesi stanno allentando le restrizioni e sono possibili viaggi anche oltre confine.

Quanto è diffusa in Europa

Nel Regno Unito la variante Delta è diventata prevalente e rappresenta ormai quasi il 90% dei nuovi casi. Negli Stati Uniti la diffusione è arrivata al 10%. Secondo la banca dati internazionale Gisaid il ceppo indiano è molto presente anche in Europa seppur con ritmi diversi: 4% in Germania, 10% in Spagna, 5% in Belgio, 80% in Portogallo, 1,3% in Francia, 4,3% in Norvegia, 2% in Polonia. Sempre secondo Giseid l’Italia si attesta al 7,7% ma i dati sono comunque incompleti perché non tutti i laboratori che eseguono i sequenziamenti genomici condividono i risultati in tempo reale nella banca dati internazionale e per avere una fotografia della situazione italiana bisogna attendere l’elaborazione dei dati da parte dell’Istituto Superiore di Sanità che nel bollettino più recente parla di una diffusione sotto l’1%.

Un’analisi del Financial Times basata sulle sequenze genetiche del virus depositate sempre nella banca dati Gisaid uniti ad altri dati provenienti dall’istituto di ricerca belga Sciensano stima la presenza della variante Delta in Italia al 26%. Le stime indicano inoltre che la variante Delta è dominante in Gran Bretagna e Portogallo, dove la concentrazione è rispettivamente del 98% e il 96%. Seguono gli Stati Uniti con il 31%, quindi Italia (26%), Belgio (16%), Germania (15%), Francia (6,9%).

Sembra essere più trasmissibile

Nel Regno Unito, dove i primi casi sono stati registrati a febbraio, la variante Delta ha preso piede e ha rapidamente superato la variante Alfa, ex inglese per la prima volta individuata nel Kent, in Inghilterra e, secondo uno studio pubblicato su Science, dal 43 al 90% in più trasmissibile rispetto al cappo originale di Wuhan. Secondo le stime del governo britannico Delta sarebbe tra il 40 e il 60% più trasmissibile rispetto ad Alfa. Non è ancora chiaro che cosa renda Delta più trasmissibile, ma piccoli cambiamenti nella proteina spike sembrano aumentare la sua capacità di legarsi al recettore ACE2 utilizzato per entrare nelle cellule umane. Gli scienziati non sanno ancora quante particelle di Sars-CoV-2 debbano essere inalate per essere infettati, ma la soglia potrebbe essere più bassa per un virus «più bravo» ad afferrare ACE2. Un altro studio non ancora sottoposto a revisione paritaria suggerisce che una particolare mutazione potrebbe migliorare la capacità di Delta di fondersi con le cellule umane con una la capacità aumentata di infettare più cellule, particolare che renderebbe più semplice avere il sopravvento sulle nostre cellule immunitarie.

Sintomi simili al raffreddore

Anche i sintomi provocati dalla variante Delta sembrano essere diversi. Nel Regno Unito i dati dello studio Zoe Covid Symptom, in cui i partecipanti con diagnosi di Covid confermata segnalano i sintomi attraverso un’app, evidenzia che il sintomo più diffuso dall’inizio di maggio è il mal di testa, seguito dal mal di gola, naso che cola e febbre. Qualcosa che assomiglia più a un raffreddore. Tosse e perdita dell’olfatto sono quasi scomparsi. Del cambiamento dei sintomi ha parlato anche Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute durante la conferenza stampa di venerdì scorso:«La variante Delta sembra dare sintomi leggermente diversi: di più a carico dell’apparato respiratorio superiore come mal di gola, naso che cola e mal di testa e raramente anosmia». Il rischio dei sintomi lievi, scambiati magari per un raffreddore, soprattutto tra i più giovani che hanno meno probabilità di sviluppare una malattia grave, è quello di trascurare il malessere e non auto isolarsi, contribuendo invece alla maggiore diffusione della variante Delta.

Maggiori probabilità di essere ricoverati

La maggior parte dei dati scientifici sulla variante Delta provengono dal Regno Unito dove i ricercatori stanno sperimentando un metodo rapido (test del genotipo) per capire se il campione positivo al Covid-19 contiene una delle varianti che preoccupano come la Delta (in Italia sono in preparazione dei kit con questo scopo). Secondo uno studio scozzese pubblicato su Lancet il 14 giugno scorso la variante Delta è associata a un rischio doppio di ospedalizzazione rispetto all’Alfa. Lo studio ha esaminato i dati di 19.543 infezioni e 377 ricoveri segnalati in Scozia tra il 1 aprile e il 6 giugno. Tuttavia i pazienti presentavano condizioni di base che li mettevano a maggior rischio di ricovero. «Non si sa ancora se in termini di ospedalizzazione la variante Delta comporti un rischio maggiore» ha detto Gianni Rezza.

La doppia dose di vaccino efficace contro la malattia grave

Anche le indagini sull’efficacia dei vaccini provengono dal Regno Unito. Le ricerche, pur con percentuali diverse vanno tutte nella stessa direzione: i vaccini Pfizer e AstraZeneca sono, seppur con una parziale perdita di efficacia, ancora validi ed efficienti contro l’infezione della variante Delta, ma solo a ciclo vaccinale completato. Contro la malattia grave sembrano invece mantenere ancora una protezione molto alta. La maggior parte delle infezioni segnalate in tutto il mondo di persone completamente vaccinate risultate positive al Covid-19 si manifestano con sintomi lievi o sono asintomatiche. Ciò nonostante contribuiscono a mantenere viva la catena del contagio.

Lo studio già citato pubblicato su Lancet ha suggerito che le persone vaccinate avevano meno probabilità di essere ricoverate in ospedale con la variante Delta rispetto alle persone non vaccinate. L’efficacia dei vaccini contro le infezioni è stata stimata per Pfizer al 79% con la variante Delta (confrontato con il 92% sulla Alfa) e per AstraZeneca del 60% con la Delta contro il 73% verso la Alfa. Altri dati in pre stampa resi noti dal Public Health England (PHE) hanno misurato l’efficacia dei vaccini contro la Delta non sulle infezioni, ma sui casi gravi (ospedalizzazioni e decessi). Nel prevenire le ospedalizzazioni dopo il contagio con la Delta, Pfizer è risultato efficace al 94% dopo la prima dose e al 96% dopo la seconda. AstraZeneca previene i ricoveri con efficacia al 71% dopo la prima dose e 92% con la seconda. Dati precedenti pubblicati sempre dal Public Health England hanno concluso che entrambi i vaccini solo altamente efficaci contro la variante Delta, ma solo dopo la seconda dose. Un’unica dose di entrambi i prodotti fornisce invece una protezione piuttosto limitata: solo del 33% contro la variante indiana rispetto al 50% di efficacia contro la variante inglese. Per prevenire le infezioni sintomatiche della variante Delta l’efficacia del vaccino Pfizer, dopo due dosi, è invece pari all’88%, AstraZeneca al 60%.

La variante Delta è associata a più decessi?

Non sappiamo ancora se la variante Delta è associata a un maggior numero di decessi perché i dati sono ancora troppo pochi. Al 14 giugno il Regno Unito aveva riportato 42 decessi tra le persone infette dalla variante Delta. Di questi 23 erano non vaccinati, 7 avevano ricevuto una prima dose di vaccino e 12 erano completamente vaccinati. Tuttavia coloro che hanno completato il ciclo vaccinale nel Regno Unito tendono ad essere persone anziane, in genere più vulnerabili ed è difficile in questa fase calcolare l’impatto della variante Delta sui tassi di letalità.

Ci sarà bisogno del richiamo?

Non sappiamo ancora se avremo bisogno di una terza dose di vaccino per proteggerci meglio dalla variante Delta. Sarà possibile capirlo meglio quando il ceppo indiano sarà più diffuso e sempre più persone saranno vaccinate: in quel momento sarà possibile calcolare meglio i tassi di infezione tra i vaccinati e valutare il da farsi. È anche possibile che il terzo richiamo possa essere destinato solo alle persone più vulnerabili come già accade con il vaccino contro l’influenza.

Fonte: Corriere della Sera
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