Nell’attuale sistema italiano di welfare è ormai accettato come ineluttabile il fatto che alcuni servizi essenziali, come la cura degli anziani e dei bambini o la cura della casa, siano a carico esclusivamente delle famiglie. La conciliazione vita-lavoro, dunque, è garantita principalmente dall’impiego dei lavoratori domestici (colf, badanti, baby sitter) assunti dalle famiglie.

Oggi però esistono nuovi strumenti di supporto alle famiglie, molti dei quali non ancora pienamente sfruttati. Uno di questi è il welfare aziendale, a cui l’Associazione DOMINA ha dedicato il Dossier 15 “Il lavoro domestico nel welfare aziendale: accesso e benefici per i datori di lavoro domestico”.

Sebbene questo strumento non possa essere integrato all’interno del CCNL del lavoro domestico, le potenzialità sono molteplici anche per questo settore. Molti datori di lavoro domestico, infatti, sono a loro volta lavoratori dipendenti, che beneficiano di una serie di fringe benefit messi a disposizione dalle aziende. Le imprese, a loro volta, possono sfruttare l’opportunità di differenziare il ventaglio di benefit offerti rispondendo ad un’esigenza di cura crescente, migliorando la conciliazione tra lavoro e famiglia.

L’evoluzione del fenomeno

Tutti gli osservatori concordano nel ritenere il welfare aziendale una misura vantaggiosa per i vari attori coinvolti. A partire dal 2016, le spese sostenute dal datore di lavoro in conformità a disposizioni di un atto liberale, di un accordo tra le parti o di un regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale, godono di deducibilità integrale ai sensi dell’art. 95 del TUIR.

Anche i lavoratori hanno un vantaggio concreto: se il premio in denaro è sostituito da servizi non costituisce reddito, né è tassato con imposta sostitutiva al 10%. Inoltre, i benefici possono essere estesi anche ai familiari del lavoratore (anche non fiscalmente a carico e non conviventi): genitori, figli, coniugi, ecc. Non sono da sottovalutare poi le ricadute positive per il territorio: i fornitori dei servizi possono infatti essere selezionati tra aziende locali, portando un beneficio concreto a queste realtà.

Ad oggi, tuttavia, il fenomeno rimane in capo soprattutto alle grandi aziende. Secondo l’indagine Welfare Index PMI 2019, “Restano avvantaggiate le imprese più grandi, con una quota di imprese molto attive del 71%, ben superiore a tutti gli altri segmenti”. Allo stesso tempo, secondo Confindustria, il 57,6% delle imprese associate mette a disposizione almeno un servizio. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, se a giugno 2017 il 28,7% degli accordi di secondo livello (aziendali o territoriali) prevedeva forme di welfare aziendale, questa percentuale è più che raddoppiata in meno di quattro anni, arrivando al 57,2% nel febbraio 2021.

Se, da un lato, i datori di lavoro domestico non possono comportarsi come le aziende tradizionali, offrendo servizi di “flexible benefit” ai dipendenti, le opportunità del secondo welfare sulle dinamiche familiari sono essenzialmente di due tipi.

Innanzitutto, molti dei “flexible benefit” erogati possono essere utilizzati anche dai familiari del lavoratore. Inoltre, alcuni di questi servizi sono strettamente legati al lavoro di cura o di assistenza (es. baby sitter). Tra i servizi messi a disposizione dal welfare aziendale rientrano, ad esempio, polizze sanitarie, previdenza complementare, servizi legati al tempo libero, buoni d’acquisto per il carburante o per la spesa al supermercato. Per quanto riguarda l’assistenza in famiglia, è prevista per il dipendente la possibilità di fruire di servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, che diventano benefit esclusi da tassazione.

La grande rivoluzione in questo caso è l’introduzione nel comma 2 lett. f-ter (art. 51 T.U.I.R), che chiarisce che non concorrono a fare reddito del dipendente “le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità di dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti indicati nell’articolo 12”. La stessa cosa riguarda i servizi di educazione e di istruzione, specificati nel comma 2 lett. f-bis: ”le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’articolo 12, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari”. (art. 51, comma 2, lett. f-bis, T.U.I.R.).

Questi cambiamenti hanno incentivato l’utilizzo del welfare aziendale anche per i servizi legati alla conciliazione dei tempi vita-lavoro o l’assistenza alle persone anziane. Secondo uno studio di Confindustria del 2018, “si ferma in media al 2,8% la diffusione di forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, voce che probabilmente prenderà peso in futuro sia per la recente estensione degli incentivi fiscali a questa forma di welfare sia per la crescente domanda a fronte dell’invecchiamento della popolazione. Tra le grandi imprese già una su 10 offre questo tipo di benefit ai dipendenti”. Più utilizzato il welfare relativo all’educazione e all’istruzione dei familiari previsto nel 6% delle imprese totali e nel 22% delle imprese con oltre cento dipendenti.

Il welfare aziendale legato all’assistenza di familiari è in crescita anche secondo l’indagine Welfare index PMI, ma è ancora in fase di sperimentazione: infatti, nel 2019 solo il 2,2% delle piccole medie imprese ha attivato iniziative legate all’assistenza. Anche in questa indagine risulta più presente la conciliazione tra vita familiare e lavoro. Il 59,2% delle imprese analizzate ha attivato iniziative in quest’area: “vi rientra un’ampia gamma di possibili azioni, essenzialmente di tipo organizzativo (come flessibilità oraria, permessi e lavoro a distanza) o nella forma di facilitazioni al lavoro. È un’area fondamentale su cui le PMI hanno rafforzato la propria offerta negli ultimi anni: nel 2016, ad esempio, il tasso di iniziativa non raggiungeva il 40% delle PMI”.

Mentre la popolazione continua ad invecchiare, sempre più persone in età da lavoro sono tenute ad affrontare le crescenti sfide della cura di chi, una volta, si prendeva cura di loro. È la cosiddetta “sandwich generation”, che comprende tutti quegli individui che si trovano “in mezzo” tra la generazione dei giovani e quella degli anziani o, per dirla in altri termini, nel mezzo tra il ruolo di cura dei figli e quello di cura dei genitori. In Italia 12,7 milioni di persone tra i 18 e i 64 anni (34,6% della popolazione) si prendono cura dei figli minori di 15 anni o di parenti malati, disabili o anziani (Istat, Report Conciliazione tra lavoro e famiglia, 2018).

Nei prossimi anni sempre più famiglie dovranno fare i conti con i costi dell’assistenza in termini economici e di tempo; le aziende, di ogni dimensione e grado, dovranno affrontare gli effetti crescenti dell’assenteismo o del declino delle performance dei dipendenti, causato dallo stress.

I datori di lavoro hanno l’opportunità di rispondere a questa esigenza e di differenziarsi fornendo benefit legati al settore dell’assistenza. Sono molti i lavoratori che si lamentano della difficoltà di armonizzare la vita lavorativa con quella personale. Portare i bambini a scuola o fare le commissioni per un familiare malato sono impegni prioritari che devono essere tenuti in considerazione. Non è un caso che il Governo, nel primo decreto adottato per far fronte all’emergenza Covid-19 (decreto “Cura Italia”), abbia inserito un congedo indennizzato per la cura di minori, il bonus baby-sitting e l’incremento del numero di giorni di permesso retribuiti (legge 104/92). Si tratta appunto di misure che servono per favorire la conciliazione vita-lavoro senza le quali la famiglia, pilastro della società nonché dell’assistenza privata, non potrebbe andare avanti.

Inoltre, incentivando i servizi legati alla conciliazione tra famiglia e lavoro e assistenza, si otterrebbe anche il risultato di far emergere molte nicchie di lavoro domestico irregolari, con un vantaggio anche per lo Stato in termini di contribuzione. L’incremento dei servizi offerti dal welfare aziendale collegati al settore del lavoro domestico è un’opportunità che comporta vantaggi per tutti gli attori in gioco: Governo, aziende, lavoratori dipendenti. Si tratta di una sfida e al contempo di un’opportunità, in grado di attivare percorsi virtuosi che non bisogna assolutamente lasciarsi sfuggire.

 

Fonte: ASSINEWS.it