La corrente elettrica pulita come chiave della transizione ecologica

Articolo del 07 Novembre 2021

L’adozione di elettricità apporta benefici ambientali rilevanti. I trasporti sono il segmento che sta osservando il passaggio tecnologico più violento e rapido.

La lotta contro la CO2 corre sui fili della corrente elettrica. Le politiche energetiche e ambientali internazionali e italiane puntano tutte verso l’elettricità intesa non come energia ma come vettore di servizi.

L’elettricità non solamente accende la luce ma da più di un secolo segna il ritmo dell’evoluzione tecnologica e della liberazione dalla schiavitù della fatica fisica: le scale mobili, le lavatrici, i semafori, le frese, la tv, i radar degli aeroporti, i compressori industriali, l’ascensore, gli autoclave degli acquedotti e lo schermo sul quale si leggono queste parole.

Noi consumatori pensiamo che l’elettricità sia pulita solamente perché non fa fumo nel luogo in cui viene usata. Però può inquinare altrove, là dove l’elettricità viene prodotta, e per questo motivo ingegneri e scienziati, come al solito, dicono «dipende».

La chiave è nella produzione dell’energia elettrica

Ma dietro questo «dipende» c’è tutta la transizione ecologica, perché la pulizia e l’efficienza della corrente elettrica è legata al modo in cui viene prodotta e viene usata. In pochissimi casi estremi, l’elettricità può essere perfino meno sostenibile della tecnologia che vuole sostituire: fra un motore a carburante alimentato con biometano (cioè metano neutrale per il clima e non fossile) e un motore elettrico in una zona dove l’elettricità è prodotta da una vecchia centrale a lignite, il bilancio ambientale potrebbe essere favorevole all’idrocarburo.

Ma in generale l’adozione di elettricità apporta benefici ambientali rilevanti.

Più in generale i trasporti sono il segmento che sta osservando il passaggio tecnologico più violento e rapido, con effetti che suscitano preoccupazione nei settori produttivi e di mercato più convenzionali colpiti dalla transizione energetica.

Ormai non sono più rarità velleitarie da ricchi le auto elettriche. L’efficienza incomparabile del motore elettrico è ancora limitata dall’inadeguatezza tecnologica delle batterie attuali, che aggravano in modo rilevante il peso delle vetture e la cui ricarica impone un diverso modo di programmare i viaggi.

In settembre, secondo l’Anfia, erano elettrificate in modo integrale o in modalità ibrida il 44,5% delle auto nuove immesse sul mercato, mentre nelle città più accorte come Milano o nelle zone motorizzate di Venezia ronzano già decine di autobus elettrici. Per ora, un vincolo è la disponibilità di colonnine di ricarica veloce lungo le autostrade, ma sono insufficienti anche le prese elettriche stradali per chi non dispone di una rimessa propria e deve lasciare l’auto posteggiata all’aperto.

L’elettrificazione colpisce la motorizzazione a gas

L’elettrificazione va a colpire in termini percentuali soprattutto le motorizzazioni a gas, cioè metano e Gpl, e va a intaccare in termini di dimensioni i mercati di benzina e gasolio: nel settembre 2021 i consumi petroliferi italiani sono stati pari a poco più di 5 milioni di tonnellate, in progresso ma ancora inferiori del 3,2% rispetto a settembre 2019, l’anno pre-virus.

Mentre in Italia nasce una prima filiera industriale dell’auto elettrica — ancora debole a confronto con i concorrenti francesi, tedeschi o cinesi — con una specializzazione più mirata ai segmenti sportivi e della motocicletta di fascia alta, comincia a fatica a convertirsi alla nuova industria tutto il settore della motor valley che va dall’Emilia fino alla Romagna e al Pesarese.

Secondo il rapporto Greenitaly che Symbola ha presentato a metà ottobre, «in Italia, la produzione di auto elettriche e ibride, che nel 2019 rappresentava solo lo 0,1%, nel 2020 è salita al 17,2%, mentre nel primo trimestre 2021 è arrivata al 39,5%».

Intanto si pensa all’elettrificazione dei porti. Più facile elettrificare in modo standardizzato le marine turistiche, dove i motori elettrici sono ideali per i battelli di servizio portuale (l’ormeggio) o per la manovra delle barche a vela, ma i porti industriali e commerciali faticano a trovare potenze e standard comuni per tutte le tipologie di navi.

La Rolls Royce ha appena provato con successo soluzioni elettriche per le turbine d’aereo, ma il peso e l’efficienza delle batterie sono un limite all’adozione del motore elettrico nel volo a medio e lungo raggio; quindi si punta a sostituire i carburanti, non la tipologia di motori.

E poi i treni, spesso ancora a gasolio. L’elettrificazione delle linee ferroviarie è un processo contraddittorio perché la “catenaria”, cioè la sequenza di pali con la linea elettrica di alimentazione, è un investimento importante e ha un impatto ambientale: indispensabile sulle linee ferroviarie a forte intensità d’uso, può essere un costo insostenibile per le linee poco frequentate. E in qualche caso ci sono marce indietro, come il colosso inglese del trasporto merci ferroviario Freighliner che, visti i rincari mostruosi dell’elettricità in Inghilterra, ha fermato gli elettrotreni e ha ricominciato a usare motrici diesel.

Quanta energia serve per la domanda futura

Per questo motivo c’è anche chi frena e chi mette mille cautele al processo di elettrificazione. «Tutta l’attenzione a livello europeo è posta nell’aumentare i consumi elettrici, trascurando il vero problema: produrre in modo economicamente sostenibile energia rinnovabile e decarbonizzata», osservava Claudio Spinaci, presidente dell’Unem, l’associazione delle compagnie petrolifere. «I maggiori sforzi andrebbero quindi rivolti alla ricerca e sviluppo di nuovi processi». Spinaci allude ai combustibili di nuova generazione che consentano di usare i vecchi dispositivi (i motori a cilindri e pistoni, per esempio) apportando un beneficio ambientale immediato.

Per ora, la produzione attuale di corrente elettrica ipotizzata dal processo di elettrificazione potrebbe non essere sufficiente a soddisfare la domanda futura. In Italia oggi si usano circa 350 miliardi di chilowattora di energia elettrica, ma per alimentare le automobili del futuro, gli impianti di riscaldamento con pompa di calore, gli scaldabagno elettrici, le cucine a induzione e così via serviranno molte più centrali elettriche, meglio se alimentate con energia rinnovabile e sostenute da modi per conservare ed erogare al momento del bisogno l’elettricità prodotta. «La rete elettrica è il fattore abilitante di un sistema energetico più green», avverte Terna, la società italiana dell’alta tensione.

Secondo l’analisi World Energy Markets Observatory 2021 di Capgemini emerge come le maggiori economie d’Europa sono ancora in ritardo sui loro impegni, ad eccezione dell’Italia; i mercati spot dell’elettricità hanno prezzi da primato legati alla domanda sostenuta, ai margini di capacità di generazione più bassi, ai prezzi elevati del gas e, in Europa, ai prezzi elevati dell’anidride carbonica.

«L’offerta di elettricità a base rinnovabile è aumentata mentre i costi delle rinnovabili sono continuati a diminuire nel 2020: le capacità di generazione di energia sia solare che eolica — rilevano gli analisti di Capgemini — sono aumentate nel 2020, rappresentando il 10% del mercato. C’è un crescente slancio verso l’idrogeno verde, che ha il potenziale di decarbonizzare un ulteriore 15% dell’economia mondiale. L’idrogeno verde è costoso, circa tre volte più dell’idrogeno a base fossile; tuttavia, la diminuzione dei costi dell’elettricità rinnovabile e degli elettrolizzatori potrebbe portare alla parità entro il 2030».

Aggiunge Alessandro Kowaschutz di Capgemini in Italia che «gli sforzi per la diffusione di tecnologie a basse emissioni di carbonio, l’aumento dello stoccaggio stazionario e la crescita dell’elettrificazione devono essere moltiplicati. È importante valutare la sostenibilità della generazione di energia elettrica, dello stoccaggio delle batterie e della produzione di idrogeno lungo tutto il loro ciclo di vita. Le energie rinnovabili hanno cambiato le metriche di misurazione e ne servono di nuove».

 

Fonte: IlSole24Ore

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