La meditazione ha effetti fisiologici misurabili?

Articolo del 25 Settembre 2021

La meditazione, secondo lo psicologo americano Daniel Goleman (1996) consiste nello sforzo consapevole di mantenere l’attenzione costante su uno specifico oggetto di meditazione, che può essere sia interno al soggetto, come il proprio respiro o i propri pensieri, sia esterno, ad esempio dei suoni.

Il focus attentivo è infatti il denominatore comune di pratiche meditative afferenti a sistemi di pensiero molto distanti tra loro: sia ad antiche tradizioni come l’Induismo, il Taoismo, il Buddismo, lo Yoga, lo Zen, la Cabala ebraica, l’Esicasmo cristiano o il Sufismo mussulmano; sia a insegnamenti di maestri moderni come Georges Ivanovič Gurdjieff, Jiddu Krishnamurti, o Chandra Mohan Jain (meglio noto col nome di Osho Rajneesh); sia a tecniche conosciute col nome di Meditazione Trascendentale e Mindfulness.

Senza entrare nelle specificità di ognuna delle tradizioni che prevedono la pratica meditativa, si può distinguere tra quelle che utilizzano l’attenzione per sviluppare la concentrazione, la consapevolezza, o entrambe. La seguente tabella, tratta dal già citato lavoro di Goleman, riporta una classificazione basata sui distinti obiettivi che la pratica meditativa si propone in alcune delle principali religioni e tradizioni

La meditazione giunge a conoscenza del grande pubblico occidentale da prima tramite notizie sulle celebrità dello spettacolo e in seguito grazie alla divulgazione dei primi risultati ottenuti dai laboratori di neuroscienze.

Col diffondersi del fenomeno anche alcuni scienziati si domandano se la pratica meditativa produce dei risultati reali e misurabili. Tra i primi, l’allora studente di psicologia all’University of California, Robert Keith Wallace (1970), misura la risposta fisiologica di un gruppo di praticanti di Meditazione Trascendentale, e scrive su Science che durante la meditazione, il consumo di ossigeno e la frequenza cardiaca sono diminuiti, la resistenza cutanea è aumentata, e l’elettroencefalogramma ha mostrato cambiamenti specifici in alcune frequenze.

Nel 1979, all’University of Massachusetts Medical Center, il biologo americano Jon Kabat-Zinn, studioso di yoga e di meditazione buddista, inizia una ricerca sul controllo del dolore, tramite una tecnica di riduzione dello stress, basata sulla consapevolezza non giudicante del momento presente (Kabat-Zinn et al., 1985).

Dopo decenni di studi la psicologa americana Ruth Bear (2011) scrive che i trattamenti basati sulla mindfulness forniscono miglioramenti clinicamente significativi per le persone che soffrono di molti problemi importanti, tra cui depressione, ansia, dolore e stress.

Mentre una recente revisione sistematica (Gotink et al., 2015) afferma che le terapie basate sulla mindfulness risultano efficaci per alleviare i sintomi, sia mentali che fisici, nel trattamento coadiuvante del cancro e delle malattie cardiovascolari, nel dolore cronico, nella depressione, nei disturbi d’ansia e nella prevenzione.

 

Fonte: L’altra medicina

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