Senza classe media non c’è futuro

Articolo del 14 Marzo 2023

I cittadini con redditi superiori a 35mila euro sono circa 5 milioni: da soli versano il 60% di tutta l’IRPEF ma, pur sostenendo il peso del nostro welfare, sono spesso penalizzati da provvedimenti iniqui, come quello sulla rivalutazione pensionistica, o esclusi da bonus e agevolazioni. Eppure, penalizzare la classe media del Paese vuol dire penalizzarne economia e sviluppo.

Un Paese senza una classe media rappresentata politicamente non ha futuro, anzi è il terreno di coltura degli –ismi: estremismi, nazionalismi, populismi, e così via.

Eppure, la piccola e media borghesia sono la parte della nazione intraprendente e produttiva che genera PIL, posti di lavoro, che crea nuove aziende, che si reinventa e che ha consentito all’Italia di diventare la seconda manifattura d’Europa, con una produttività persino superiore a quella tedesca. Ma è anche quella che consente un maggiore e più stabile equilibrio politico, economico e sociale e che non si fa attrarre da bonus e superbonus, dalle promesse di Quota 100 (le persone della classe media lavorano oltre i 70 anni), dal reddito di cittadinanza, dagli sconti fiscali. È la parte sana, che però in questi 20 anni si è molto ridotta, mentre si è ingigantito, vivendo sulle spalle dei volonterosi, l’esercito dei poveri. E sono spariti letteralmente due valori fondanti e tipici della middle class: il merito e il dovere

Al loro posto si è tracciata una linea di demarcazione utilizzata da tutti i governi che si sono succeduti in questo periodo: una linea che, tradotta in “reddito dichiarato”, è stata fissata a 35mila euro lordi l’anno. Oltre questo livello di reddito si è esclusi da tutto. In primis, dalla rappresentanza politica e sindacale, perché questa parte di italiani, ormai ridottasi, sotto il profilo elettorale non interessa a nessuno: sono solo cittadini da “spremere” quando serve. Una riprova? La dimostrazione plastica la si ricava dall’indicizzazione delle pensioni all’inflazione che ha massacrato, ma ciò accade da tempo, le pensioni della classe media. Non troverete nessun politico, dico nessuno, che critichi il “bancomat delle pensioni” ma li troverete tutti, a partire dal leader di Forza Italia – che dovrebbe essere un tutore della classe media da cui proviene – e dai neo-liberaldemocratici che, su un argomento che tiene banco come le accise sulla benzina, dicono che ridurle sarebbe sbagliato perché ne beneficiano anche i ricchi. Una ex ministra della salute diceva: “tutti quelli che hanno redditi alti si dovrebbero pagare la sanità che dovrebbe essere gratis per i poveri”; oggi la politica aggiunge altri vocaboli, i fragili, gli esclusi, gli ultimi, e così via.

Domanda: perché paghiamo le tasse? Per beneficenza? Il problema, e poi torniamo al bancomat pensioni, è che in Italia secondo le ultime dichiarazioni dei redditi, il 60% della popolazione paga meno del 10% di IRPEF e quasi nulla delle altre imposte, salvo poca IVA (al Nord l’IVA media pro capite è intorno a 2.900 euro l’anno, al Sud è circa 600 euro: consumano 5 volte meno?), e delle accise. Per garantire a questa maggioranza di cittadini la sola sanità, che da noi – non lo dice nessun politico – è gratis, occorre che qualche altro contribuente, guarda caso con redditi sopra i 35mila euro, versi 58 miliardi l’anno quale differenza tra l’IRPEF pagata e il costo medio pro capite della sanità (2-070 euro nel 2021); il resto per questi cittadini è tutto gratis: scuola, servizi sociali, viabilità ecc.

Ma non troverete un politico che abbia il coraggio di dire questa scomoda verità nei vari talk-show o in Parlamento. Anzi, sul modello pauperistico del Movimento 5 Stelle, fanno a gara a chi offre di più: meno si dichiara e più alto è l’Assegno Unico Universale per i Figli, sempre a carico dei dichiaranti oltre 35mila euro. E quando a 67 anni una persona sconosciuta a INPS e fisco, perché in tutta la vita non hai mai versato un euro di tasse e contributi e chiede una pensione sociale, con tanto di quattordicesima mensilità, importo aggiuntivo e maggiorazione sociale, nessun ente di Stato fa domande: paga su semplice richiesta. Non contento, Berlusconi voleva portare tutte le pensioni dei circa 7 milioni di pensionati totalmente o parzialmente assistiti a 600 euro subito e a mille euro il prima possibile: costo per la seconda opzione altri 27 miliardi l’anno, oltre i 145 miliardi di assistenza sociale (compresi gli 8 dell’AUUF e i 9 del RdC) a carico dei soliti noti o a debito.

E così, in questi ultimi 15 anni, la spesa assistenziale a carico della fiscalità generale (dei soliti) è balzata da 73 a 145 miliardi e i poveri assoluti anziché ridursi sono passati da 2,1 milioni a 5,6 milioni (da 6 a 8,5 quelli in povertà relativa). Più poveri, più possibilità di promettere: Majorino ha iniziato la sua campagna elettorale con “mezzi pubblici gratis per tutti quelli fino a 25 anni”; e i settantenni che magari hanno fatto grande Milano? No, per la politica italiana i maestri del consenso sono ancora gli imperatori romani, panem et circenses. E i risultati si vedono: Renzi in 3 anni dal 40% a meno del 20% di consensi; Grillo, dal 34% alla metà, nonostante Conte abbia girato in lungo e in largo il Sud promettendo reddito per tutti; Salvini dal 37% al 7/8%. Un elettorato liquido, scontento, arrabbiato, deluso sempre alla ricerca di qualche beneficio, qualche pasto gratis, inconsapevoli  – e questo è il peccato originale della politica – che noi italiani siamo tra i più fortunati: su 8 miliardi di abitanti della Terra noi italici siamo nel ristretto novero dei circa 700 milioni che hanno tutto ma proprio tutto: democrazia, libertà, stato sociale, assistenza, oltre a tutti i servizi quali acqua potabile, energia elettrica, servizi sociali e sanitari, di cui non beneficia invece la stragrande maggioranza delle popolazioni mondiali.

E torniamo al bancomat. Secondo la nostra ultima indagine, la classe media, quella dai 35mila euro in su –  compresi i pensionati con una rendita pari o oltre 5 volte il minimo (cioè 2.580 euro lordi al mese, 36.500 lordi e 27mila netti) –  è rappresentata da circa 5 milioni di soggetti che pagano il 60% di tutte le imposte ma sono esclusi  dalla totalità di bonus, agevolazioni e così via. Tra loro, i pensionati – che rappresentano solo l’11% del totale dei 16 milioni di pensionati italiani – si sono visti tagliare la rivalutazione dei trattamenti pensionistici all’inflazione: anziché vedersi rivalutare la pensione del 10%, si dovranno accontentare tra il 3,86% e il 2,33%, dopo aver già perso negli ultimi 13 anni quasi il 20% di potere d’acquisto. Lo stesso capita per i salari: quelli dei lavoratori a basso reddito sono nella media UE, mentre quelli alti sono più bassi di un 20% e continuano a perdere potere d’acquisto, esattamente come le pensioni, penalizzando la sola classe media e con essa l’economia e lo sviluppo. E quando non il nostro Paese non riuscirà più a distribuire bonus e pagare il debito, che succederà? Prenderanno soldi e case dalla classe media?

 

Fonte: Itinerari previdenziali

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