Verso una pelle elettronica flessibile e sensibile al tatto

Articolo del 09 Aprile 2021

Una pelle artificiale da “indossare e dimenticare”, che potrà essere usata per controllare lo stato di salute (inclusi eventuali sintomi di COVID-19), creare protesi sempre più sensibili e precise, e per molte altre applicazioni. Da ipotesi fantascientifica, questo traguardo è ormai molto vicino a diventare realtà grazie ai successi delle ricerche per conciliare le caratteristiche dei circuiti elettronici con quelle dei materiali organici.

Gli scienziati che studiano nuovi materiali non sono le prime persone a cui si pensa parlando della lotta a COVID-19. Eppure è proprio ciò di cui si occupa John Rogers.

Rogers dirige un team alla Northwestern University a Evanston, in Illinois, che sviluppa materiali morbidi, flessibili, simili alla pelle, con applicazioni nel monitoraggio della salute. Uno di questi è un dispositivo wireless con connessione Bluetooth e formato da polimeri e circuiti, progettato per stare nella cavità alla base della gola, che permette di monitorare in tempo reale il modo di parlare, la respirazione, la frequenza cardiaca e altri parametri vitali: si potrebbe usare nei pazienti che hanno subito un ictus e hanno bisogno di un trattamento di logopedia.

I medici volevano sapere se fosse possibile adattare il dispositivo in modo da individuare i sintomi causati dal coronavirus SARS-CoV-2. In sintesi, la risposta è stata “sì”. Oggi a Chicago si stanno usando circa 400 di questi apparecchi per aiutare a riconoscere i primi segnali di COVID-19 fra gli operatori sanitari e per monitorare la malattia nei pazienti. Il team di Rogers ha perfezionato ulteriormente il design per valutare come cambia la frequenza della tosse nelle persone affette da COVID-19.

“Per tutto questo periodo, molti di noi, indicati come lavoratori essenziali per la nostra attività sui dispositivi anti-COVID, sono venuti in laboratorio ogni giorno”, racconta Rogers. “Non ne ho perso neanche uno.” Inoltre i membri del suo team indossano i dispositivi in laboratorio per monitorare su di sé la comparsa di sintomi: “Finora niente”, aggiunge.

Rogers è tra i più prolifici ricercatori al mondo nel campo dell’elettronica indossabile ispirata alla pelle. Questa tecnologia della “pelle elettronica” è già stata applicata a livello globale su volontari e in ambito clinico: per esempio aiuta a monitorare i parametri vitali nei neonati prematuri e l’idratazione negli atleti. Altri tipi di pelle elettronica danno ai robot un tocco più leggero, simile a quello umano. Che siano destinati a persone o a robot, questi dispositivi rappresentano una sfida impegnativa sotto l’aspetto chimico e ingegneristico: solitamente i componenti elettronici sono fragili e non flessibili, mentre la pelle umana è una struttura plastica, ma complessa.

Schermi flessibili, circuiti flessibili
I dispositivi di pelle elettronica derivano dai componenti usati nei lettori di e-book e nelle TV curve, sviluppati da scienziati che lavoravano a molecole o polimeri flessibili a base di carbonio e in grado di condurre l’elettricità. “Gli specialisti di elettronica organica stavano lavorando a LED organici per display e luci, a transistor per schede madre dei display e sistemi elettronici per grandi superfici, e a celle fotovoltaiche per raccogliere l’energia solare”, spiega George Malliaras, che studia bioelettronica all’Università di Cambridge, nel Regno Unito. “Prima o poi, tutte queste applicazioni avrebbero tratto vantaggio dai fattori di forma flessibili.” Quella flessibilità, racconta, “si è dimostrata molto utile quando è salita alla ribalta l’elettronica indossabile”.

Uno dei primi successi nel settore è arrivato nel 2004. Takao Someya, ingegnere elettrico dell’Università di Tokyo, con il suo team ha riferito di avere sviluppato un cerotto flessibile di pelle robotica da 8 × 8 centimetri, costituito da strati di poliimmide, una plastica ad alte prestazioni sensibile alla pressione, un semiconduttore organico detto pentacene e strati di elettrodi d’oro e rame. Privo di silicio, il quadrato presentava una schiera di 32 × 32 minuscoli sensori di pressione, e permetteva un flusso di corrente ininterrotto, perfino quando era avvolto intorno a una barra cilindrica spessa 4 millimetri, come un circuito stampato pieghevole.

“Il nostro team – racconta Someya – ha portato a un livello superiore una matrice attiva sviluppata come circuito pilota per un display flessibile”, riuscendo a dare ai robot qualcosa che non avevano mai avuto: il senso del tatto, grazie alla capacità di reagire alla pressione.

Someya però si è reso conto che la pelle deve essere non solo flessibile, ma anche elastica, conformabile e capace di reagire a un tocco leggero. Nel 2005 il suo team ha risolto il problema intrecciando il polimero di poliimmide, relativamente rigido, in modo da formare dei filamenti e quindi una rete. Se sottoposti a tensione, i filamenti si torcono, permettendo ai ricercatori di estendere la rete lungo la superficie di un uovo. La rete allungata è riuscita a percepire i cambiamenti di pressione sull’uovo provocati dal contatto con un blocco di gomma. E una volta aggiunti diodi a semiconduttori organici, la rete ha potuto anche misurare la temperatura.

Alla Northwestern, Rogers ha affrontato la stessa sfida con un approccio diverso. Insieme al suo team realizza strutture ultrasottili con materiali duri inorganici, spesso su scala nanometrica. Nel 2006 i ricercatori hanno ideato una tecnica per costruire nastri di silicio monocristallino, lunghi meno di un micrometro, e collegarli in modo da formare un foglio di polidimetilsilossano (PDMS) gommoso sotto tensione. Quando allentavano la tensione il silicio si deformava, creando onde che potevano appiattirsi (ma senza rompersi) nel corso della deformazione. “È per così dire un approccio ibrido tra organico e inorganico”, commenta Rogers.

Da indossare e dimenticare
Secondo Malliaras i dispositivi indossabili presentano due tipi di difficoltà: problemi di chimica che richiedono un ingegnere e problemi di ingegneria che richiedono un chimico. Non è facile mantenere il contatto tra un elettrodo e una persona perché quando ci si muove la pelle si estende, si increspa e si piega. I gel possono mantenere l’elettrodo al suo posto, ma non a lungo perché, essendo acquosi, dopo un po’ evaporano.

Una possibile soluzione viene dai liquidi ionici: dato che sono formati da sali che a temperatura ambiente sono appunto liquidi, evaporano lentamente e sono buoni conduttori elettrici. Nel 2014 Malliaras e il suo team hanno combinato un polimero con un liquido ionico detto 1-etil-3-metilimidazolo solfato di etile creando così un gel in grado di contenere un elettrodo d’oro e un polimero conduttore. Il dispositivo ottenuto ha conservato le sue proprietà elettriche per tre giorni, come hanno riferito Malliaras e il suo team.

Ma questi dispositivi, racconta Someya, possono anche trattenere il sudore e bloccare lo scambio di aria, e una volta indossati diventano irritanti. Inoltre sono fragili e quindi non si possono usare per periodi lunghi.

Per affrontare questi inconvenienti, nel 2017 Someya e il suo gruppo hanno sfruttato l’idea di un sensore poroso, usando una maglia di fibre d’oro flessibili con uno spessore di soli 300–500 nanometri. Hanno tessuto una rete di alcool polivinilico (PVA) simile a spaghetti, su cui hanno depositato una matrice di circuiti d’oro. Una volta tolto il PVA con un risciacquo, è rimasta una schiera di fili flessibile, permeabile ai gas, che non dà reazioni infiammatorie ed è quasi impercettibile da chi la indossa. L’anno scorso il team ha riferito di avere usato un design di questo tipo per misurare il battito cardiaco umano attraverso le vibrazioni che provoca nel torace – la cosiddetta “sismocardiografia” – nell’arco di dieci ore.

“Si può indossare un dispositivo per tutto il giorno e dimenticarsene”, spiega Malliaras. E i progressi nel monitoraggio della salute sono evidenti. “Il vantaggio principale di questo approccio consiste nel determinare le proprie condizioni di salute di base. Così si potrebbe rilevare subito ogni cambiamento, in modo da poter diagnosticare una malattia già nelle fasi iniziali.”

Codifica della sensibilità
Anche Zhenan Bao, chimica specialista dei polimeri alla Stanford University, in California, sta sviluppando pelli elettroniche. Ma invece di creare sensori per poi renderli compatibili con la pelle, adotta un approccio molecolare: progetta polimeri organici e componenti elettronici pensando fin dall’inizio alla flessibilità. “Li progettiamo partendo dal livello molecolare – racconta – e la somiglianza con la pelle diventa una proprietà intrinseca del nuovo materiale.”

Le applicazioni sono svariate. Bao ha sviluppato un prototipo per rilevare nel sudore i cambiamenti ormonali, in particolare i livelli di cortisolo, un indicatore importante dello stress, che potrebbe aiutare a comprendere l’ansia e la depressione. Ma la tecnologia si potrebbe usare anche per creare sistemi elettronici organici inseriti nel corpo, per aiutare a riparare i nervi danneggiati, e capaci di adattarsi ai suoi cambiamenti.

“Negli ultimi cinque o dieci anni – spiega Bao – siamo davvero riusciti a passare dall’assoluta mancanza di materiali all’attuale possibilità di costruire qualsiasi componente realizzabile con l’elettronica tradizionale inorganica, anche con ottimi materiali simili alla pelle.”

Bao crea i propri materiali usando una gamma di polimeri con diverse caratteristiche di conduzione e biodegradabilità. Nel 2010, insieme al suo team ha sviluppato, a partire dal polimero elastico PDMS, una pelle in grado di rilevare cambiamenti di pressione minimi, per imitare il senso del tatto. Un quadrato di questo materiale in cui sono modellate minuscole forme piramidali fa da condensatore. La deformazione del materiale ne modifica la capacità elettrica, e quando è attaccato a un transistor organico si possono rilevare i cambiamenti di corrente: in termini elettronici equivale a percepire un tocco o una pressione. Il team ha poi perfezionato la tecnologia, realizzando un guanto in grado di premere delicatamente un lampone senza schiacciarlo.

Da allora Bao ha sviluppato ulteriormente l’idea di realizzare sensori in grado di funzionare all’interno del corpo. In un articolo del 2019, ha descritto insieme al suo team un sensore wireless biodegradabile che si potrebbe avvolgere intorno ai vasi sanguigni per monitorare in continuo il flusso ematico dopo un intervento chirurgico. Per ricavare il segnale – rilevato sotto forma di cambiamento della capacità elettrica quando il sangue pulsa nelle arterie – il team ha aggiunto una bobina esterna, situata vicino alla pelle, che emette un segnale radio diretto a un ricevitore remoto.

Bao spiega che il suo obiettivo è una maggiore copertura del corpo con questi sensori, pur mantenendo una risoluzione cellulare. “Parliamo di una risoluzione nell’ordine delle decine di micrometri – continua – ma immaginatela su un intero corpo. È estremamente difficile da ottenere con l’elettronica ad alta densità, mentre con quella tradizionale basata sul silicio sarebbe troppo costosa”.

Ma ai fini delle applicazioni nella pelle elettronica, dice Someya, sono utili tanto l’approccio basato sul silicio quanto quello sui materiali organici. L’elettronica organica è adatta alle applicazioni usa e getta, a basso costo e su grandi superfici, che non richiedono prestazioni elettroniche di livello avanzato, mentre il silicio è l’ideale per impieghi ad alte prestazioni su superfici piccole. “L’approccio organico e quello inorganico non sono concorrenti, ma complementari”, commenta, aggiungendo che alla fine i design più riusciti potrebbero senz’altro avere un carattere ibrido, unendo i vantaggi di entrambi i tipi di materiale.

Migliore percezione del dolore
Come Rogers, anche Madhu Bhaskaran della RMIT University di Melbourne, in Australia, preferisce il metodo inorganico.

Bhaskaran è condirettrice di un gruppo che lavora su materiali funzionali e microsistemi, e con il suo team usa metalli come gli ossidi di stronzio, vanadio o titanio per sviluppare pelli artificiali in grado di percepire il dolore, utilizzabili per esempio per rivestire le protesi. Gli ossidi metallici – dice Bhaskaran – sono già molto usati nell’elettronica e hanno svariate applicazioni. Una volta scaldati però sono fragili.

Nel 2013 il suo gruppo ha miscelato rivestimenti di ossidi con gomme elastiche, come silicone o PDMS, per creare un materiale elettronico estensibile. Non è un processo semplice. Per prima cosa i ricercatori preparano un sottile strato di ossido metallico strutturato in cima a strati di platino e silicio, e lo “temprano” ad alte temperature per rendere i circuiti trasparenti e conduttivi. Quindi incorporano la struttura nel PDMS pieghevole e la staccano dalla base di platino, lasciando una pellicola trasparente di ossido metallico. Il materiale risultante può essere allungato anche del 15 per cento senza perdere le sue proprietà elettriche. E questo grazie a minuscole strutture simili a placche tettoniche nella pellicola di ossido metallico, che si spezza in piccole piastre che scivolano l’una sull’altra, permettendo alla corrente di scorrere anche quando il materiale si deforma.

L’anno scorso Bhaskaran e i suoi colleghi hanno prodotto un materiale in grado di imitare la reazione della pelle – e anche del cervello – all’eccesso di calore, pressione e dolore. Hanno unito un sensore di pressione flessibile in oro e PDMS con un sensore di temperatura in ossido di vanadio e un componente a base di ossido di stronzio, detto memristore, che “ricorda” quanta carica elettrica è passata attraverso di esso. Questi circuiti “somatosensoriali” attivano segnali sempre più forti a mano a mano che aumenta l’intensità dello stimolo. “Il dolore non è uno stimolo, ma ciò che sente il nostro corpo quando uno stimolo supera una soglia”, spiega Bhaskaran. “È il meccanismo con cui il cervello avverte il corpo di un pericolo.” Finora il team ha testato il materiale solo in laboratorio.

Trasferimento di tecnologia
Tutto questo può sembrare fantascienza, ma non lo è: alcuni tipi di pelle elettronica sono già in uso.

Per esempio il BioStamp, un cerotto con sensori, si può usare in casa per aiutare le sperimentazioni cliniche, raccogliendo dai partecipanti enormi quantità di parametri vitali. Sviluppato dalla MC10, un’azienda fondata da Rogers nel 2008 a Lexington, in Massachusetts, nel maggio del 2018, il cerotto è stato approvato dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti. (A ottobre del 2020 la MC10 è stata acquistata da Medidata, un’azienda francese che si occupa di studi clinici.)

Nel 2019 Rogers e colleghi hanno presentato un sensore wireless, grande come un cerotto, da usare nelle unità di terapia intensiva neonatale per monitorare i prematuri. Ha reso superflui i grovigli di cavi per il monitoraggio, permettendo ai genitori in ospedale di tenere in braccio più facilmente i bambini.
Rogers spiega che si stanno usando circa 1000 di questi dispositivi negli ospedali in Zambia, Ghana e Kenya, oltre che al Lurie Children’s Hospital e al Prentice Women’s Hospital, entrambi a Chicago. Inoltre, continua Rogers, gli stessi ospedali stanno impiegando versioni modificate dei monitor per valutare la salute delle madri e dei feti.

Nel 2015 il gruppo di Someya ha fondato a Tokio la Xenoma, un’azienda spin-off che usa sensori simili alla pelle in capi di abbigliamento “smart”: per esempio, un pigiama in grado di monitorare la temperatura del corpo e collegarsi a un condizionatore per regolare la temperatura dell’ambiente, o avvertire i servizi di emergenza o i familiari se chi lo indossa cade.

Malliaras non ha ancora commercializzato la sua tecnologia dei liquidi ionici, ma sta progettando di testare su volontari altre idee quando nel Regno Unito saranno finite le restrizioni per la pandemia e il suo team potrà tornare all’Addenbrooke’s Hospital di Cambridge.

Sfide
I dispositivi elettronici indossabili sono nettamente avanti rispetto ai braccialetti usati da molti di noi per contare i passi fatti in un giorno. Per un’autentica sensibilità sulla pelle è necessario mantenere un contatto prolungato e ravvicinato, che non è possibile con questi dispositivi commerciali rigidi e fragili.

Questo crea una serie interessante di sfide per gli scienziati dei materiali. Rogers chiede: “Com’è possibile fare in modo che tutti questi materiali si integrino tra loro e collaborino?”. E aggiunge che altri interrogativi riguardano il modo di gestire le differenze, in termini meccanici e di interfacce, tra i materiali duri e quelli morbidi.

Ma l’impegno di Someya, Rogers, Bao e altri per superare queste difficoltà sta dando i suoi frutti. Oltre al lavoro di Rogers su COVID-19 e assistenza neonatale, le piattaforme provenienti dal suo laboratorio sono usate in vari ambiti clinici, per esempio per dispositivi in grado di monitorare i biomarcatori nel sudore di persone affette da fibrosi cistica, controllare l’idratazione della pelle in alcune dermopatie e valutare l’esposizione ai raggi UV nei pazienti con un melanoma. Il suo laboratorio inoltre ha sviluppato sensori indossabili che monitorano la pressione e la temperatura tra la pelle e una protesi.

Bao ipotizza che la notevole produttività di Rogers sia dovuta al suo approccio ibrido, che gli permette di ricorrere a metodi di produzione già esistenti. Lei e il suo team invece hanno dovuto mettere a punto metodi nuovi. “È uno sviluppo più lungo – commenta – ma pensiamo che porterà un forte cambiamento alla nostra elettronica del futuro.”

Qualunque sia l’approccio adottato dagli scienziati, Rogers ritiene che la recente crescita dell’interesse per la ricerca sull’elettronica indossabile sia un punto di transizione che potrebbe stimolare ulteriori progressi. E osserva: “Quando iniziano ad affermarsi alcune tipologie d’uso che hanno un impatto reale e migliorano la vita dei pazienti si crea una forte motivazione per l’afflusso di ulteriori risorse nella ricerca fondamentale in corso”.

 

FonteLe Scienze

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