Agricoltura idroponica, come funziona?

Articolo del 24 Ottobre 2022

Alcuni lettori avranno sentito menzionare questa tecnica almeno una volta nella propria vita. Per “idroponica”, termine composto dalle parole greche per “acqua” e “lavoro“, si intende la coltivazione di piante in un substrato inerte, oppure in un mezzo acquoso, nel quale sono somministrate (o disciolte) tutte le sostanze nutritive necessarie alla loro crescita.

Sebbene questa tecnologia risalga all’epoca Assiro-Babilonese, ha ricevuto le attenzioni della comunità scientifica soltanto negli ultimi decenni, accompagnata da un crescente investimento tecnologico e scientifico. Perché risulta oggi così interessante?

L’agricoltura tradizionale contribuisce all’emissione di circa un quinto dei gas serra totali (21%), a cui si aggiunge un abbondante 11% dovuto alle deforestazioni necessarie per espandere i terreni di coltura. L’impiego di fertilizzanti, pesticidi e diserbanti rappresentano un massiccio fattore antropico di alterazione dell’ecosistema, che prende infatti il nome di agrosistema.

In un’ottica di surriscaldamento climatico, l’agricoltura tradizionale partecipa attivamente all’inasprimento delle condizioni ambientali che cerca di contrastare: siccità, cuneo salino, acidificazione del suolo, sono solo alcuni dei principali agenti che minano l’efficienza produttiva di questo settore.

Come funziona l’agricoltura idroponica

Come regola generale, il terreno svolge tre ruoli fondamentali per la crescita di una pianta:

  • Fisico-meccanico: il terreno contribuisce sia al fissaggio dell’apparato radicale garantendone lo sviluppo aereo, sia alla protezione dello stesso da agenti ambientali esterni.
  • Trofico: fatta eccezione per carbonio e ossigeno prelevati dall’ambiente attraverso l’apparato fogliare, il terreno fornisce alle radici tutte le sostanze nutritive necessarie sotto forma di elementi minerali.
  • Ecologico: l’area di contatto tra terreno e apparato radicale prende il nome di rizosfera. Oltre, dunque, alle radici e ai minerali contenuti nel terreno, nella rizosfera troviamo microorganismi simbionti, patogeni e funghi.

L’obiettivo dell’agricoltura idroponica è quello di fornire alla pianta tutto ciò di cui avrebbe naturalmente bisogno, sostituendone l’elemento chiave: il terreno.

Per fare questo, un ramo dell’idroponica si prefissa di sostituire il substrato convenzionale, che possiede per sua natura una moltitudine di fattori che possono interferire o complicare lo sviluppo della pianta in un ambiente controllato, con un substrato inerte: sabbia, argilla espansa, perlite.

Per substrato inerte si intende un preparato solido e asettico incapace di produrre interazioni indesiderate con gli elementi nutritivi, ma soltanto a fornire un luogo fisico in cui la pianta possa sviluppare le proprie radici.

Vi è poi un altro grande ramo dell’idroponica che rimuove completamente il substrato, esponendo l’apparato radicale alla soluzione nutritiva.

Il sostegno meccanico, qualora fosse necessario, è fornito attraverso fissaggi della parte aerea. La protezione dell’apparato radicale dagli agenti esterni, essendo la crescita in ambiente controllato, è del tutto superflua.

Nella coltura idroponica, sia essa svolta con l’impiego o meno di un substrato inerte, sarà dunque l’acqua a veicolare gli ioni minerali necessari, assieme a qualunque altro elemento fisiologicamente necessario per la sua crescita. È importante assicurarsi che l’acqua sia ricca di ossigeno, poiché anche le radici necessitano di respirare.

I numeri della coltura idroponica: costi e benefici

Proprio grazie alle caratteristiche esposte in precedenza diviene facile intuire i vantaggi dell’agricoltura idroponica.

L’abbandono di un terreno convenzionale per un substrato inerte permette di coltivare non necessariamente in orizzontale, ma anche in verticale. Ciò significa ridurre considerevolmente il terreno calpestabile “sacrificato” alla coltivazione, magari in aree urbane densamente abitate oppure in assenza di gravità nelle future stazioni spaziali.

Vi è anche una questione prettamente numerica: a parità di biomassa prodotta, la coltivazione idroponica richiede appena un decimo dell’acqua necessaria per la coltivazione tradizionale. Inoltre, essendo svolta in ambienti strettamente controllati, essa permette una produzione costante tutto l’anno.

A differenza della coltura tradizionale, l’impiego di antiparassitari e fertilizzanti è ridotto al minimo, poiché si va ad annullare il rischio di dispersione di questi ultimi nel terreno. I diserbanti sono del tutto innecessari.

Rimane un punto critico il consumo energetico. Uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research ha evidenziato come a parità di kJ su chilogrammo di prodotto in un anno (kJ/kg/y), la coltura idroponica richieda oltre ottanta volte l’energia necessaria nella coltura tradizionale.

Il futuro spaziale dell’agricoltura idroponica

Secondo le Nazioni Unite, entro il 12.050 EU (2050 d.C.) la popolazione umana aumenterà di quasi due miliardi e mezzo di abitanti. Ciò significa che la necessità di sviluppare tecnologie di agricoltura all’avanguardia che sappiano sfruttare al meglio il ridotto spazio disponibile si fa sempre più impellente.

Negli ultimi anni, NASA ha collaborato con promettenti realtà statunitensi per la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni agricole, tra cui Plenty Unlimited. Questa società è stata in grado di produrre l’equivalente di un campo di 720 acri (2,9 km2) in appena 2 acri (0,008 km2), impiegando l’1% dell’acqua. La ricerca non si ferma qui.

NASA mira alla creazione di cosiddetti sistemi biorigenerativi di supporto vitale, ovvero sistemi in cui vi sia lo smaltimento e riciclo del materiale vegetale, la produzione di ossigeno e cibo e l’eliminazione dell’anidride carbonica. In altre parole, un sistema chiuso che permetta la totale sopravvivenza dei suoi occupanti.

I continui sforzi della NASA, e delle numerose aziende specializzate nel settore, nel perfezionare le tecniche idroponiche potrebbe condurre a immensi benefici non solo per il nostro Pianeta, ma anche per le future missioni di colonizzazione di Luna e Marte.

 

Fonte: Missione Scienza

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