Bambini che non vogliono svegliarsi più. La sindrome della rassegnazione è tornata con la pandemia

Articolo del 25 Maggio 2021

La sindrome della rassegnazione (o della Bella addormentata) colpisce bambini e ragazzi dopo una situazione traumatica. Si diventa apatici, distratti, si smette di parlare e mangiare, si dorme per tante ore. Ne parliamo con Maria Pontillo (psicoterapeuta Bambino Gesù) che ha visto molti ragazzi che ne soffrono, anche con la pandemia.

Si comincia parlando sempre meno, sorridendo ancora meno. Si prosegue rifiutandosi di uscire, poi di mangiare e infine di alzarsi dal letto. Alla fine si comincia a dormire in continuazione, nutriti da un sondino. Oltre 12 ore di un sonno che sembra più un incantesimo che un bisogno. Forse per questo alcuni la chiamano “sindrome della Bella addormentata“, come quella delle favole che i tanti bambini e ragazzi che ne sono vittima non riescono più a godersi. Gli esperti l’hanno rinominata sindrome della rassegnazione, scoperta nei primi Duemila. Si è tornati a parlarne perché i casi sembrano aumentare.

Cos’è la sindrome della rassegnazione

Segnalata inizialmente in Svezia, circa dieci anni fa, la sindrome della rassegnazione mostrava un insieme di sintomi allarmanti in soggetti dagli 8 ai 18 anni di età (poi è stata riscontrata anche dai 6 anni in su). Tutti accomunati dalla stessa caratteristica: lo stato di rifugiato. In fuga dal proprio paese di origine, Siria o ex Jugoslavia, questi bambini erano arrivati in Svezia e non si erano sentiti accolti dalla nuova comunità. Il continuo rimbalzo e le difficoltà nell’ottenere un permesso di soggiorno teneva le famiglie costantemente in allerta e trasformava i loro bambini spaventati in soggetti privi di qualsiasi reazione. Rassegnati, appunto.

Ora la pandemia di Covid-19 sta dando segni che somigliano molto a questi nei più piccoli, che da due anni subiscono questa situazione senza precedenti. Anche in Italia ci sono bambini e ragazzi in cura con questa diagnosi. Sanità Informazione ha incontrato la dottoressa Maria Pontillo, psicoterapeuta dell’età evolutiva dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che ne ha incontrati molti.

«Sono bambini che cadono in uno stato di torpore – ci spiega subito -. Sono incapaci di rispondere a qualsiasi stimolo: sia esterno, come suoni o contatto fisico, che emotivo. I ragazzi non riescono a percepire emozioni né a trasmetterle. Tra i sintomi e nei casi più complessi si manifesta anche l’ipersonnia, una tendenza a un sonno eccessivo in uno stato che supera anche le 12 ore». La sindrome della rassegnazione segnala, continua Pontillo, «una tendenza a ritirarsi dal mondo da parte dei soggetti».

Dormire per non vivere, il dramma dei bambini rifugiati

Dormire per non vivere, estraniarsi per non avere paura. Pensare che possano esserci bambini e ragazzi così spaventati da chiudersi alla vita è troppo doloroso da accettare, spesso anche per i professionisti. La fuga dal paese d’origine è motivata da guerre, condizioni di vita indecorose, pericoli continui.

Al Bambino Gesù negli ultimi due anni sono arrivati circa 800 bambini e ragazzi che davano questi segnali. Pontillo cita Samir, un bambino arrivato dalla Siria e seguito da vicino in ospedale. Non andava più a scuola, non parlava, tendeva all’ipersonnia e non rispondeva agli stimoli. Nel viaggio verso l’Italia aveva letteralmente attraversato le bombe in caduta. Ed erano, le bombe, l’unica cosa che riusciva a disegnare. Una linea di confine che separava lui e la sua famiglia, volti sconvolti dalla paura, dagli ordigni pericolosi. «Samir porta ancora le cicatrici addosso – racconta la dottoressa -. Fa ancora fatica a separarsi dai genitori, nel timore di qualcosa di tragico, è diffidente verso gli altri e reagisce con uno stato di estrema allerta anche verso suoni non significativi».

La soluzione degli svedesi: il permesso di soggiorno

«C’è una condizione di trauma alla base – chiarisce la dottoressa – un distacco iniziale e una mancata integrazione al luogo d’arrivo. L’intervento proposto dagli svedesi riguarda il riconoscimento di un permesso di soggiorno ai genitori dei ragazzini e favorire integrazione nella nuova comunità. In un tempo di sei mesi, segnalano i colleghi, si vedono dei miglioramenti».

Tornando alla metafora della favola della Bella addormentata, il permesso di soggiorno sembrerebbe essere quell’oggetto risolutivo che annulla l’incantesimo. Nella realtà, non funziona così facilmente purtroppo. «Ovviamente questa sintomatologia non si cura né si esaurisce con questo atto – analizza Pontillo -. Di certo è una misura necessaria, ma dentro un approccio integrato. Serve supporto psicologico a 360 gradi, con componente psicosociale che cura i rapporti nelle comunità di appartenenza per favorire l’inserimento a scuola e, nei casi più gravi, anche un intervento farmacologico».

Pandemia e sindrome della rassegnazione, un evento traumatico

I miglioramenti che si ottengono con la terapia sono sudati e complessi e, in molti casi, la pandemia ha dato una potente battuta d’arresto. «Sono condizioni a lunga ripresa e a lungo termine, da seguire e monitorare – ricorda la psicoterapeuta -. Per alcuni bambini la fase pandemica e quella di lockdown sono state un momento di regressione dai miglioramenti. La sindrome di rassegnazione si basa su uno shock e una difficoltà ad accogliere un cambiamento radicale. Molti genitori ci hanno parlato di regressione durante gli ultimi due anni, anche per soggetti che avevano raggiunto risultati positivi».

La dottoressa Pontillo ammette di aver osservato quadri simili alla sindrome della rassegnazione anche in bambini che non sono rifugiati e non hanno affrontato quella esperienza. «Sintomi simili – concorda – come apatia, isolamento e perdita di appetito, fino a passare l’intera giornata a letto. Non si tratta di situazioni estreme con sonno così lungo, ma sicuramente simili. Scatenate da abusi intrafamiliari o da una particolare sofferenza durante la fase di lockdown che abbiamo subito. La sindrome della rassegnazione è l’estremo di un continuum, ma quadri simili possono occorrere in soggetti che hanno subito traumi o che hanno alle spalle una sofferenza legata a una specifica fase di vita».

Tenere sotto controllo i sintomi

Una fase incerta e imprevedibile come quella che stiamo vivendo, che spaventa i genitori e fa chiudere i più piccoli in sé stessi. «Indipendentemente dalla causa o dalla storia – conclude – bisognerebbe tenere sotto controllo alcuni sintomi importanti: il mutismo, l’isolamento e il rifiuto di uscire dalla propria camera, l’impassibilità di fronte a stimoli esterni come attività piacevoli o cibi graditi. Fare attenzione a tutte le situazioni in cui il ragazzino mostra un mutamento radicale rispetto al suo comportamento precedente in termini di regressione. Segnalano un episodio traumatico, che come massima espressione arriva alla sindrome della rassegnazione».

 

Fonte: Sanità Informazione