Convivere con il virus vuol dire ripensare la sanità. E non solo.

Articolo del 13 Ottobre 2020

I ricercatori avevano già messo in allarme le istituzioni internazionali e la comunità scientifica su possibili “zoonosi”, ovvero salto di specie da animali a uomo sul tipo della SARS, quelli che si chiamano gli “spillover”.
Studi e ricerche già nel 2018 e 2019 paventavano, per i gravi cambiamenti climatici dell’ambiente, la creazione di condizioni perfette per lo sviluppo della zoonosi.

Alla fine è arrivato il SARS – COV2 che è mutante, ha già avuto 38 mutazioni dal suo insorgere e altre ne avrà probabilmente, è ormai pandemico e suo malgrado dovremo conviverci a lungo. Saranno probabilmente più cicli intramezzati da probabili “lockdown” totali o parziali.  I dati più recenti in Europa e in Italia lo confermano.

Il virus, secondo studi recentissimi, esiste in natura da decenni e si è palesato solo per le dinamiche legate al rapidissimo cambiamento del clima che ne ha facilitato la diffusione. Dobbiamo finire di conoscerlo e imparare come curarlo. Sul campo stiamo imparando a come trattarlo, adesso a fronte di un’altra ondata, probabilmente siamo in grado di affrontarla in maniera più efficace ed appropriata, anche se in realtà ci sono ancora molte zone d’ombra su questo virus.

Noi come gruppo di soci ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale, abbiamo cercato di lavorare su questi temi, abbiamo pubblicato degli articoli sul “Quotidiano Sanità”, sull’impatto del Covid-19, sui servizi delle ASL e delle Aziende Ospedaliere, sui nuovi modelli di assistenza, appropriatezza ed efficacia e ovviamente sull’analisi delle curve pandemiche.

Abbiamo lanciato una Survey sull’impatto della Covid 19 sui modelli organizzativi delle aziende sanitarie sia ASL che aziende ospedaliere (AO, AOP, IRCCS, etc.). I risultati della Survey saranno oggetto di un webinar e saranno portati al nostro prossimo Congresso Nazionale e a quello internazionale di ISQUA, entrambi nel 2021 nel nostro Paese. La Survey è in collaborazione con il Politecnico delle Marche, l’Università Cattolica e la “Sapienza” di Roma.

Stiamo pubblicando una Newsletter – giornalmente durante il lockdown, successivamente settimanalmente e ora quindicinale – titolata «Covid-19 Review». E’ una rassegna di stampa scientifica, di studi e ricerche, trial clinici, realizzata in collaborazione con il DiSSE, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, della Università «Sapienza».

Abbiamo editato anche alcune monografie, una dedicata totalmente a Thomas Pueyo, collega della Berkeley University, che ha messo a punto sin dall’inizio della pandemia un modello predittivo che si è rivelato cogente e operativo. Subito dopo ne abbiamo editata un’altra su “Pandemia Data”, sulle fonti dati sulla pandemia e sui modelli predittivi, e infine un’altra su “Ethics and Equity”, che è uno dei grandi temi sorti nelle scelte di assistenza e cura.

«Un modello predittivo dello sviluppo del COVID-19», di Agostino Banchi, Andrea De Maria, Flavio Tonelli, 17 Marzo, 2020 Politecnico di Milano e Università di Torino e Genova ha dato un contributo importante per capire quello che stava succedendo e quello che poteva succedere in Italia.

Il modello prevede più ipotesi che sono circolate nei documenti ufficiali del Governo e della Ragioneria di Stato, ed sono state assunte come scenario “base”, da cui sono stati elaborati altri dei scenari riassumibili in uno Scenario Peggiorativo – inosservanza parziale delle misure fino al 24 marzo 2020 poi incremento dell’osservanza ‘dettata da controlli e nuove misure’ e aumento delle UTI destinate al COVID-19 fino a 2.500 – definito fase1; uno Scenario Migliorativo – misure pienamente rispettate dal 12 marzo 2020 e incremento di controlli e misure il 20 marzo, con aumento delle UTI COVID-19 a 2500 – definito Fase 2.

Avevano anche fatto un calcolo dei livelli di mortalità possibile, prevedevano una «forbice» tra i 32.000 e i 37.000 decessi e abbiamo avuto esattamente una cifra simile, quindi questo modello predittivo si è dimostrato, secondo molti di noi che ci occupiamo di questa materia, molto sensibile.

Ora sappiamo che la pandemia è diventata planetaria, coinvolge tutti i paesi. Abbiamo superato un milione di morti “diretti” e forse anche di più di morti “indiretti” (cronici e acuti che non hanno ricevuto le cure necessarie in tempo). I paesi maggiormente coinvolti sono gli Stati Uniti e Brasile, poi viene Inghilterra, Messico, al ventesimo posto ci siamo noi, anche se siamo calanti e altri paesi a seguire.

Abbiamo ancora più di 3.000 focolai attivi in Italia ad oggi e quindi è bene non abbassare la guardia. Non è finita, il virus è ancora presente nel nostro paese e sappiamo che c’è una recrudescenza del virus in molti paesi che circondano l’Italia, quindi dai Balcani alla Francia, alla Spagna, alla stessa Germania che in questi giorni hanno avuto una ripresa delle infezioni virali. Quindi il virus non è stagionale, è un virus che continua a svilupparsi e a mutare.

L’OMS l’Organizzazione Mondiale della Sanità è arrivata ad affermare che probabilmente sarà un’ondata unica grande ed estesa nel tempo, con alti e bassi, che è esattamente quello che era previsto nell’altro modello predittivo fatto dall’Imperial College di Londra (Prof. Fergusson), che ha individuato altri elementi caratteristici del virus.

Cosa sappiamo ad oggi e cosa non conosciamo ancora del virus?

– E’ fondamentale una presenza di sistemi sanitari pubblici. Dove esistono hanno fatto la differenza nel contrasto al virus;

– Il virus, come tutti i suoi simili, è mutante. Ad oggi ha subito 38 mutazioni verificate. Inoltre mantiene nel tempo la sua carica infettiva, contrastata dalle misure di prevenzione adottate[8];

– Non sappiamo ancora se chi è stato contagiato ed è guarito diventa immune. Abbiamo i primi casi di recidive[9];

– Non sappiamo tutti gli organi del corpo umano che aggredisce. Ora sappiamo che oltre ai polmoni, al cuore e ai vasi, aggredisce anche altri organi e sistemi, come fegato, reni, cervello ed altro.

– Non lo sappiamo perché non sono stati fatte in maniera sistematica autopsie sui deceduti per studiare i comportamenti del virus. Pochissimi studi in tal senso…;

– Non sappiamo quando avremo un vaccino “sicuro”, non sappiamo se immunizzerà definitivamente o solo per un periodo di tempo, né come verrà distribuito se come “bene comune” o a “pagamento” per i cittadini del mondo ..;

– Sappiamo che le misure di distanziamento fisico e di protezione contengono il virus e ne riducono la carica infettiva;

– Sappiamo che ci sono farmaci che aiutano la cura ma, ora, cominciamo ad avere anche dei “protocolli di cura” da usare nei casi critici ed esistono dei set di indicatori predittivi utili ad individuare la migliore terapia per quel paziente[10];

– Sappiamo che tutta la popolazione è a rischio e in particolare over 65, ma anche i giovani sono infettati e non esenti da sviluppare forme gravi di malattia da Covid 19;

– Sappiamo che oltre alle misure di prevenzione (PPI, distanziamento fisico servono il tracciamento e i test (tamponi e/o sierologici) per individuare i focolai e circoscriverli;

– In alcune occasioni ed in alcuni territori le ragioni dell’economia hanno prevalso su quelle della salute e si sono viste le conseguenze, anche se potrebbe essere utile, ora, eseguire studi oggettivi di costo/efficacia per dare un valore ed una dimensione meno “soggettiva” al bene salute.

Inoltre riteniamo che – in base anche ad una pubblicistica specifica che si è sviluppata in questi mesi – vanno tenuti in considerazione in maniera più “sistemica” gli aspetti psicologici, non solo legati alla malattia e agli effetti sulla popolazione e sulla tenuta degli operatori sanitari (e di conseguenza sull’efficacia dei servizi e sul risk management), ma anche sul rispetto delle regole sociali per una convivenza adeguata con il virus.

Laddove il benessere non è sempre un segno di salute vanno consapevolizzati i termini di “sickness”, “illness” e “disease” e le loro differenze. “Sickness”, ovvero, come la malattia è percepita dalla società, “illness”, quale è il vissuto personale della malattia, e “disease” cioè la malattia dal punto di vista clinico. I tre termini non si escludono a vicenda ma si combinano. Per altro in letteratura scientifica la “piramide del rischio” e la “Piramide di Maslow”, possono leggersi come due facce della stessa medaglia.

Questo comporta una serie di misure di carattere sociopsicologico, di comunicazione e strategiche che sono necessarie nel governo degli interventi di salute pubblica in permanenza di pandemie come il Covid19.

In Italia e in molti Paesi sviluppati ormai un quarto della popolazione è over 65 anni e circa la metà ha almeno una malattia cronica. Una popolazione fragile quindi, che è a maggior rischio infezione da Covid19. I giovani sono spesso “veicoli” dell’infezione verso gli anziani e i fragili. I dati di questi gironi lo dimostrano (47% dei contagi in ambito familiare). Occorre una grande assunzione di responsabilità collettiva e la consapevolezza del pericolo in essere[11][12].

Quanto detto impatta sulla società, sull’economia e sui sistemi sanitari dei diversi Paesi. Tutto cambia e cambierà perché dobbiamo abituarci a convivere con il virus e, diremmo, con i virus che seguiranno.

Occorre ripensare i modelli organizzativi e assistenziali della sanità pubblica:
– Fondamentali sono le attività di prevenzione, iltesting e il tracciamento dei contagi e il loro isolamento;

– E’ necessario non mischiare i pazienti “normali” (acuti e cronici) con i pazienti “virali”;

– E’ necessario prevedere reti assistenziali dedicate, ovvero, una per l’emergenza e urgenza, una per la cronicità e una per i pazienti “virali”,

– Gli ospedali devono specializzarsi verso gli acuti e i “virali”, con reti separate;

– Le reti territoriali devono essere diversificate analogamente, e integrate tra servizi sanitari e sociali, ripensando i modelli operativi, favorendo quelli di assistenza domiciliare, prossimità e comunità, che anche con la pandemia hanno fatto la differenza;

– Le strutture residenziali e semiresidenziali devono essere integrate in reti “dedicate” e devono essere cambiati i requisiti di “accreditamento”, non più per singole patologie, ma per aree assistenziali e per filiere;

– I modelli di reti territoriali devono evolvere in un approccio di “ospedale diffuso” nei territori, integrando e valorizzando le presenze sanitarie e sociali, pubbliche e private “accreditate”, la cooperazione, l’associazionismo e il volontariato;

– “Ospedale diffuso” in quanto anche alternativa strutturata all’ospedalizzazione tradizionale e spesso “impropria” e come strumento di coordinamento e integrazione dei servizi;

– La remunerazione delle prestazioni svolte non deve essere solo legata ai DRG, ma piuttosto ai PDTA, ai PAC e ai PAI, ovvero ai percorsi di cura e assistenza che vengono implementati in una logica di “presa in carico” e di “continuità assistenziale” dei pazienti;

– Le competenze tecniche e relazionali degli operatori devono essere implementate in base alle esigenze assistenziali nuove che si sono verificate;

– I sistemi di monitoraggio e valutazione delle performance devono supportare il tutto;

– La telemedicina deve rinforzare le prassi cliniche ed assistenziali e può essere normata, retribuita e finanche ricompresa nei LEA

La decisione presa dalla Conferenza Stato Regioni e dal Governo di costituire delle «Unità Speciali di Continuità Assistenziale», una ogni 50.000 abitanti, le cosiddette USCA, va inserita in un ripensamento/riorganizzazione della sanità.

Attualmente solo il 49% della popolazione risulta coperta[13].  Le USCA sono state deliberate dalle Regioni e dalle singole ASL, ma non tutte sono attive, quindi ancora c’è ancora un ritardo che va risolto molto velocemente.

Il Recovery Found e il MES sono due occasioni fondamentali da non perdere, ma non devono giustapporre all’esistente “altro” senza cambiare la visione complessiva della sanità pubblica.

Servono risorse professionali e tecnologiche nuove e nuovi modelli operativi, ma non servono più i vecchi modelli organizzativi e operativi che anche con il virus hanno dimostrato e dimostrano tutta la loro farraginosità burocratica e inefficienza operativa.

Occorre avere una nuova “visione” del ruolo della sanità, della sanità pubblica in particolare, nel sistema paese che cambia. Se le imprese vanno verso modelli in rete, se i servizi possono essere attivati via web, se serve un nuovo asse produttivo basato su una economia circolare, fonti energetiche rinnovabili e green economy, occorre definire bene il ruolo del sistema sanitario come driver di sviluppo e di cambiamento con i settori a monte e a valle e la sua grande concentrazione di professionalità come nessun altro settore del sistema paese. Il tutto in un approccio in cui “una popolazione sana” è una “popolazione produttiva”. Basta con le polemiche politiche sulla non produttività degli investimenti in sanità.

Occorre continuare una rivoluzione di tutto il modello operativo sul territorio a cui le ASL d’Italia devono far fronte insieme alle Regioni di riferimento, sapendo che la battaglia contro questo virus e i virus futuri si combatte soprattutto nel territorio.  Gli ospedali ad alta specialità e le terapie intensive e semi intensive non possono essere l’unica arma “letale” del sistema …. Dobbiamo mettere lo “scarpone a terra”, stare sui territori, avere un approccio di prossimità e di comunità, avere dei servizi proattivi. Tanta prevenzione e tanta “self care” supportata anche da un sano sviluppo degli strumenti digitali al servizio della salute

Leggendo il Covid 19 in una logica di “disease management” è possibile configurare una “piramide del rischio” (derivata dal modello di “Kaiser Permanet”, California, USA) in cui il 70-80% dei casi sono asintomatici, un 15-20% sono sintomatici e un 3-5% sono acuti. Se i pazienti acuti vanno trattati in terapie intensive e semi intensive, come facciamo a mantenere gli altri pazienti con le loro capacità psicofisiche in più a lungo possibile in un’area di “self care”? Qui entra in campo il ripensamento delle strutture intermedie da “dedicare” e i nuovi ruoli da affidare a Unità Speciali di Assistenza, ai MMG e PLS, agli specialisti territoriali, etc.

E’ nei territori che si gioca la battaglia contro il virus o i virus e contro le malattie croniche. Usiamo l’occasione e i fondi disponibili del Recovery Found e del MES come una opportunità per darci una nuova più efficiente, efficace e appropriata sanità pubblica come driver di cambiamento di tutto il sistema paese. La sanità deve essere al centro del cambiamento in quanto “bene comune”.

 

Fonte:  QuotidianoSanità.it