Emergenza climatica. Anche la sanità “inquina”. Ecco come diminuire il suo impatto negativo

Articolo del 26 Ottobre 2021

Si calcola che il settore sanitario contribuisca per il 4-5% alle emissioni totali di gas serra in atmosfera. Un contributo non da poco, tanto che se fosse una Nazione occuperebbe il 5° posto (dopo Stati Uniti, Cina, Russia e India) nella classifica mondiale relativa alla quantità di CO2 immessa nell’ambiente. Senza un deciso cambio di rotta, le emissioni del settore sanitario continuerebbero ad aumentare, fino a raggiungere nel 2050 la fantastica cifra annuale di 6 miliardi di tonnellate di CO2.

Le dimensioni del problema
Il settore sanitario, il cui obiettivo è quello di promuovere e ristabilire la salute, concorre in modo non trascurabile ad alimentare una delle più gravi minacce che incombono sul benessere e la salute dell’uomo: la crisi climatica.

Si calcola che il settore sanitario contribuisca per il 4-5% alle emissioni totali di gas serra in atmosfera (1). Un contributo non da poco, tanto che se fosse una Nazione occuperebbe il 5° posto (dopo Stati Uniti, Cina, Russia e India) nella classifica mondiale relativa alla quantità di CO2 immessa nell’ambiente. Oltretutto, tali emissioni sono in costante crescita e anche se tutti i Paesi riuscissero a conseguire gli obiettivi sulla decarbonizzazione stabiliti dall’accordo di Parigi del 2015 (temperatura terrestre non superiore a 1,5°C rispetto al periodo preindustriale), senza un deciso cambio di rotta, le emissioni del settore sanitario continuerebbero ad aumentare, fino a raggiungere nel 2050 la fantastica cifra annuale di 6 miliardi di tonnellate di CO(2).

Tuttavia, nonostante la rilevanza del problema, l’attenzione che i medici e gli altri professionisti della salute riservano all’impronta ecologica delle attività sanitarie è tuttora piuttosto scarsa. Un vero peccato, anche perché il loro coinvolgimento potrebbe avere importanti ricadute su altri campi dell’economia; sia perché il settore sanitario rappresenta oltre il 10% del PIL mondiale, sia perché  grazie alla visibilità, alla fiducia e alla credibilità sociale di cui godono i sanitari, il loro impegno potrebbe essere emulato anche da altri professionisti.

Occorre agire quindi con molta determinazione e con la massima urgenza, ma come procedere?

Che cosa possiamo fare
I professionisti della salute, ad ogni livello di responsabilità, hanno molte opportunità per contribuire agli sforzi messi in atto dalla comunità per affrontare l’emergenza climatica. Ne ricordiamo alcune.

Ridurre le emissioni degli ospedali e delle strutture sanitarie: massimizzare l’efficienza energetica degli edifici, ottimizzare l’utilizzo degli spazi, sostituire le fonti di energia fossile con energie rinnovabili, promuovere la digitalizzazione e la telemedicina.

Ridurre convegni e incontri in presenza e sostituirli in parte con eventi online: durante la pandemia si è fatto ampio uso di piattaforme web che consentono eventi di formazione e incontri online con conseguente riduzione delle emissioni derivanti dagli spostamenti.

Contenere il volume e la tossicità dei rifiuti sanitari: limitare, compatibilmente con la sicurezza del paziente, l’impiego di dispositivi monouso (spesso dettato da esigenze commerciali più che sanitarie). Ridisegnare sistematicamente i dispositivi medici in una prospettiva di economia circolare. Utilizzare materiali riusabili, riciclabili e rinnovabili, con impatto minimo sull’ambiente.

Produrre e utilizzare i farmaci con minor impatto sull’ambiente: sostituire i potenti gas serra utilizzati come propellenti negli inalatori spray per l’asma. Eliminare i materiali tossici dai processi produttivi. Produrre confezioni con quantità minime. Curare lo smaltimento differenziato.

Eliminare gli sprechi e utilizzare prestazioni sanitarie efficaci: la riduzione del sovrautilizzo di prestazioni sanitarie inutili e perfino dannose ha ricevuto negli ultimi anni molta attenzione da parte della letteratura scientifica, tanto che l’OMS e l’OCSE la considerano una delle azioni prioritarie per il contenimento dell’impronta ecologica dei servizi sanitari (3). Peraltro, gli interventi che si muovono in questa direzione realizzano contemporaneamente un duplice obiettivo: migliorare la qualità delle cure e contenere le emissioni di gas clima-alteranti (4). Su questo tema vorremmo, quindi, spendere qualche parola in più.

L’appropriatezza delle cure
Certamente la medicina fa moltissime cose utili di cui medici e operatori sanitari sono giustamente orgogliosi. Difendere e finanziare adeguatamente il nostro Servizio Sanitario (che all’estero molti ci invidiano) è un dovere di tutti. Tuttavia le richieste di aiuto sono in costante crescita e le risorse destinate alla sanità sembrano non bastare mai.

Così, per far fronte ai bisogni di salute (pensiamo, per esempio, al problema mai risolto delle liste d’attesa), in genere si propone di assumere nuovo personale, di acquistare nuove attrezzature, di ampliare i servizi, insomma di aumentare le risorse, ma raramente si mettono in discussione l’utilità e l’efficacia delle prestazioni erogate. Eppure in una situazione di crisi la prima cosa da fare sarebbe proprio quella di rimuovere le prestazioni di scarso o nullo valore clinico (che peraltro contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas clima-alteranti) liberando risorse che potrebbero poi essere reinvestite in cure di riconosciuta efficacia. Sovrautilizzo di prestazioni inutili e sottoutilizzo di prestazioni efficaci sono infatti due facce della stessa medaglia o, se vogliamo, il paradosso con il quale la medicina sembra destinata a convivere.

Il problema, peraltro, non è di poco conto considerato che le prestazioni inutili, inappropriate e di scarso valore clinico, rappresentano fino a un terzo della spesa sanitaria complessiva (5) e si distribuiscono in ogni ambito della medicina. Ecco qualche esempio.

Esami preoperatori: tutti gli ospedali dispongono di servizi di pre-ricovero dove i pazienti sono sottoposti ad una serie standardizzata di esami, ancorché le più accreditate lineeguida disponibili ci informano che per la maggior parte degli interventi chirurgici non serve eseguire alcun esame di routine (test di laboratorio, ECG, radiografia del torace, ecc.).

Interventi sul ginocchio in artroscopia: se ne fanno più di 70.000 all’anno, benché nel caso delle lesioni osteoartritiche (una tra le indicazioni più comuni) l’intervento in artroscopia non sia più efficace della semplice terapia fisica.

Radiografie, TAC e Risonanza per il mal di schiena: sono pratiche diagnostiche molto richieste di routine benché la letteratura scientifica sia concorde nel ritenerle, salvo casi del tutto particolari, di nessuna utilità pratica, perché il mal di schiena si risolve entro 8-12 settimane. Parimenti, non sono necessarie molte altre indagini radiologiche effettuate di routine, che espongono le persone a radiazioni ionizzanti non giustificate secondo il Decreto Legislativo n.101 del 2020 (6).

Check-up: è stato ripetutamente dimostrato che non offrono alcun vantaggio per la salute; anzi, a causa della sovradiagnosi e del sovratrattamento si sono dimostrati dannosi per la salute.

PSA: molti studi hanno dimostrato che gli uomini che eseguono il PSA come test di screening per il cancro della prostata aumentano in modo significativo la loro probabilità di avere una diagnosi di cancro della prostata senza prolungare la sopravvivenza.

Screening ecografico della tiroide: nella Corea del Sud, dopo l’introduzione dello screening, le diagnosi di tumori della tiroide sono aumentate di oltre il 600%, tanto che oggi la Corea ha la più alta incidenza di tumori della tiroide del mondo, senza aver registrato alcuna variazione della mortalità specifica.

Antibiotici: nonostante l’allarme mondiale provocato dalle migliaia di morti dovuti a batteri super-resistenti, il 50% degli antibiotici è prescritto in modo inappropriato, come per esempio per la terapia delle infezioni delle vie aeree superiori o nel caso delle batteriurie senza sintomi. Senza contare l’uso indiscriminato di antibiotici negli allevamenti intensivi.

Ci fermiamo qui, ma gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo, evidenziando centinaia di interventi chirurgici, procedure sanitarie, test di laboratorio, indagini diagnostiche e farmaci che vengono impiegati in modo inappropriato e che oltre a rappresentare un intollerabile fonte di spreco, hanno importanti effetti iatrogeni e contribuiscono in modo rilevante alle emissioni di CO2. Si vedano a questo riguardo le campagne internazionali quali: Less is more lanciata da Jama Internal Medicine nel 2010; Too much Medicine promossa dal BMJ nel 2013 e Choosing Wisely avviata nel 2012, negli Stati Uniti e ripresa in Italia da Slow Medicine con la campagna Choosing Wisely Italy e 270 raccomandazioni pubblicate (7).

È tempo che i professionisti della salutefacciano sentire la loro voce
L’emergenza climatica richiede un forte impegno da parte di tutti, ma i medici e gli altri professionisti della salute occupano una posizione di privilegio nell’opera di sensibilizzazione delle persone e della società sui temi relativi ai cambiamenti climatici. I professionisti non solo dovrebbero adottare in ogni occasione utile decisioni cliniche efficaci e rispettose dell’ambiente ma, in considerazione del credito di cui godono nella comunità e dell’influenza che essi esercitano sulle singole persone in tema di salute, dovrebbero impegnarsi attivamente nella promozione di comportamenti ecologicamente virtuosi ed impegnarsi in attività di advocacy nei confronti dei decisori politici.

Per contribuire alla transizione ecologica molti cambiamenti possono essere attuati fin da subito facendo appello alla responsabilità dei singoli professionisti, ma ciò, seppur importante, non è sufficiente. Per raggiungere i risultati sperati alle pur lodevoli iniziative individuali deve affiancarsi l’opera (finora poco visibile) di FNOMCeO, di FNOPI, delle Società scientifiche e delle varie istituzioni del servizio sanitario a cui spetta un ruolo di guida e di supporto verso il cambiamento. A questo fine esse dovrebbero promuovere con urgenza specifiche campagne di sensibilizzazione sui cambiamenti climatici e le loro conseguenze sulla salute, indicando le principali aree d’intervento, le buone pratiche a cui richiamarsi e le iniziative da intraprendere per ridurre l’impronta ecologica dei servizi sanitari.

Siamo di fronte ad una grave emergenza. Occorre agire con tempestività e determinazione e in questo senso medici e altri professionisti della salute, in virtù del loro mandato professionale, devono far sentire forte e chiara la loro autorevole voce in difesa della salute dell’uomo e del pianeta.

 

Fonte: Quotidiano Sanità

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