Ad appartenere a questo gruppo sanguigno, che ancora non si sa come sia comparso sulla Terra, è solo il 15% della popolazione mondiale. Ha un ruolo importante quando occorre effettuare una trasfusione perché è compatibile con tutti i tipi di sangue. Giuseppe Sconocchia dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr di Roma ne illustra le caratteristiche.

È il gruppo sanguigno della famiglia reale britannica (inclusa la 96enne regina Elisabetta) e la più alta percentuale di RH negativi si registra, secondo recenti studi, soprattutto nelle monarchie. Riscontrato solo nel 15% della popolazione mondiale, il gruppo sanguigno 0 Rh negativo rappresenta un vero e proprio unicum attorno a cui gravitano fake news, studi antropologici, leggende e importanti mitologie come quella riguardante gli Annukaki – gli antichi dei sumeri che dal cielo scesero per colonizzare la Terra – al punto da definirlo il “sangue degli alieni”. Risulta infatti essere il sangue più “puro” in assoluto, poiché negativo al test Rhesus ovvero al nesso genetico tra uomo e scimmia, e ancora si cerca di individuarne l’origine e come sia apparso sulla Terra.

“La prima descrizione dei tre principali gruppi sanguigni AB0 risale ai primi anni del secolo scorso. Sia i singoli gruppi che la loro combinazione contribuiscono a formare un sistema di 4 gruppi sanguigni maggiori: A, B, AB e 0. I gruppi A, B e AB hanno capacità antigenica e quindi possono stimolare la produzione di anticorpi in condizione di incompatibilità. Al contrario, il gruppo 0 manca di attività antigenica e quindi non stimola la produzione di anticorpi”, spiega Giuseppe Sconocchia, direttore ad interim dell’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift) del Cnr  di Roma. “Il sistema di compatibilità AB0 è stato utilizzato come indicazione alla trasfusione per 40 anni, pur non essendo scevro da complicazioni cliniche anche importanti in un sottogruppo di riceventi. Il quadro fu chiarito nel 1937 da Levine e Stetson, quando dimostrarono che una donna, dopo aver partorito un neonato con eritroblastosi fetale e aver subito una trasfusione di sangue dal marito, produceva un siero capace di reagire con i globuli rossi del marito e con l’80% degli individui AB0 compatibili, suggerendo l’esistenza di un sistema antigenico addizionale”.

Tutto ciò fino a quando, nel 1940, Landsteiner e Weiner identificarono il famoso fattore Rh. “A tal fine immunizzarono dei conigli con i globuli rossi di Macacus rhesus (Macaca mulatta) e dimostrarono che il loro siero reagiva con i globuli rossi dell’85% dei campioni umani. Ulteriori studi dimostrarono l’esistenza del gruppo Rh, il quale rappresenta il gruppo sanguigno  più complesso in assoluto poiché è composto da almeno 45 antigeni. Quello più antigenico è l’antigene D, la cui presenza o assenza  definisce rispettivamente  i gruppi Rh+ e Rh-”, precisa il ricercatore  del Cnr-Ift.

La scoperta del fattore Rh ha quindi permesso di migliorare  la qualità e l’efficacia trasfusionale dei globuli rossi. Pertanto, a oggi, è possibile identificare 8 gruppi sanguigni: A,B,AB,0 (Rh+) e A,B,AB,0 (Rh-): “I  soggetti Rh+ differiscono dai soggetti Rh- perché non producono anticorpi anti-Rh. Da ciò si deduce che le reazioni avverse sperimentate durante il periodo pre-Rh coinvolgevano prevalentemente i soggetti AB0 compatibili Rh-, cioè quel 15% che non reagiva al siero anti-Rh”, chiarisce Sconocchia. “Ovviamente, questa spiegazione è una semplificazione di una realtà complessa qual è quella delle reazioni trasfusionali avverse. Fatto sta che la compatibilità A, B, AB, 0  e Rh è il metodo più utilizzato per l’indicazione alla trasfusione dei globuli rossi. Inoltre, l’identificazione del fattore Rh sulla selezione dei donatori e riceventi di globuli rossi ha comportato  sicuramente un’ottimizzazione della selezione dei donatori e riceventi specialmente tra quelli Rh-. Posta la compatibilità AB0, i soggetti A,B,AB,0 compatibili  Rh+(85%)  possono ricevere i globuli rossi da donatori Rh+ e Rh- ma donano soltanto agli Rh+; mentre i soggetti A,B,AB,0 compatibili Rh- (15%) ricevono i globuli rossi soltanto da soggetti Rh- ma possono donarli agli Rh+”.

Per quanto riguarda la rarità del gruppo 0- e la sua compatibilità si evince quindi l’importanza della popolazione di gruppo 0-. “Tale ruolo però è limitato dalla presenza del fattore Rh. Ne consegue che, nell’ambito della compatibilità AB0, un soggetto 0 Rh+ non può donare i propri globuli rossi a un ricevente Rh- per cui quest’ultimo produrrà anticorpi anti Rh. Questo significa che il donatore migliore (universale) è soltanto il soggetto 0 Rh-, ma allo stesso tempo rappresenta il peggior ricevente perché compatibile soltanto con donatori 0 Rh-”, sottolinea Sconocchia.

Purtroppo si stima che soltanto il 7% della popolazione italiana manchi del fattore Rh ed è necessaria la consapevolezza del ruolo svolto dai donatori. “Il donatore 0 Rh- assume un ruolo d’importanza unica in almeno 3 casi. Nel primo, i globuli rossi 0 Rh- sono fondamentali in situazioni di emergenza, quando è estremamente difficile stabilire il gruppo  sanguigno del ricevente, come può essere quello di un qualsiasi fenomeno traumatico che causa emorragie tali da mettere a repentaglio la vita del traumatizzato. In questi casi, si possono trasfondere direttamente i globuli rossi 0 Rh-, senza aver fatto i test di compatibilità”, conclude il ricercatore. “Nel secondo, il gruppo 0 Rh- assume un ruolo fondamentale quando ci si trovi a dover trasfondere un neonato, poiché nelle prime settimane/mesi dopo la nascita possiede sia gli anticorpi della madre che il proprio gruppo sanguigno: nel caso in cui dovesse avere una necessità trasfusionale, si potrebbero utilizzare i globuli rossi 0 Rh- in quanto compatibili sia con il gruppo sanguigno della madre che con quello del neonato stesso. Il terzo caso, molto importante, riguarda proprio il donatore 0 Rh- in qualità di ricevente: paradossalmente, il donatore universale avrà necessità di trasfondere esclusivamente globuli rossi di gruppo 0 Rh-, estremamente raro. Per tali motivi è importante che ogni potenziale donatore 0 Rh- sia consapevole dell’importanza della donazione per salvaguardare la salute del prossimo ma anche per se stesso”.

 

Fonte: Almanacco della Scienza

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