L’amministratore delegato di Tesla e fondatore di SpaceX durante il monologo al Saturday Night Live ha dichiarato di essere una persona autistica. Scherzando sul tono monocorde con il quale pronuncia i discorsi.

“Stanotte passerò alla storia come la prima persona con la sindrome di Asperger a presentare il Saturday Night Live. O almeno la prima ad ammetterlo”. A parlare, durante il celebre programma comico americano del canale Nbc, è Elon Musk, l’amministratore delegato di Tesla e fondatore di SpaceX che a 49 anni è uno degli uomini più ricchi del pianeta. “Quando parlo spesso devo aggiungere ‘dico sul serio’ alla fine di una frase, perché ho una scarsa variazione nell’intonazione della voce e stanotte molte volte non incrocerò lo sguardo con i membri del cast. So che dico o posto cose strane, ma è così che funziona il mio cervello. A chiunque abbia offeso, voglio solo dire che ho reinventato le auto elettriche e manderò le persone su Marte in un razzo. Pensavate pure che sarei stato un tipo normale e rilassato?” Qualcuno ha voluto sottolineare che Musk non è stato davvero il primo ad ammettere di essere Asperger perché c’è stato nel 2003 l’attore Dan Aykroyd.

Cos’è la sindrome di Asperger

Ma, al di là di chi abbia il primato, cosa significa essere Asperger? Il nome deriva dal pediatra austriaco Hans Asperger che nel 1944 identificò una categoria di bambini che condividevano determinati comportamenti: “mancanza di empatia, scarsa capacità di stringere amicizie, discorsi unilaterali, intenso assorbimento di un particolare interesse, movimenti maldestri”. Inoltre, Asperger osservò che questi bambini potevano parlare all’infinito dei loro argomenti preferiti e li soprannominò “piccoli professori”. Nel 1994, nell’edizione 4 del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana, conosciuto come Dsm, la sindrome di Asperger rientrò così nei disturbi pervasivi dello sviluppo. E, ben presto, divenne nota come “autismo ad alto funzionamento”. “Ma in realtà – spiega Giovanni Valeri, neuropsichiatra infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – la diagnosi specifica di Asperger a partire dal 2013, con la pubblicazione dell’ultima edizione del Dsm, non esiste più. Il termine, però, è rimasto in uso e si riferisce alle persone autistiche che non hanno disabilità intellettiva e linguistica. Il Dsm 5, cioè l’ultima edizione del Dsm, ha infatti unificato tutte le varie forme di autismo in un’unica diagnosi, cioè quella di disturbo dello spettro autistico. Questo significa che all’interno di una stessa diagnosi rientrano sia le forme più gravi sia le forme più lievi e più vicine alla cosiddetta neurotipicità, cioè alle persone non autistiche”.

Rientrare nello spettro

L’autismo, infatti, è una condizione che ha a che fare con lo sviluppo del cervello – motivo per cui si utilizza il termine “neurodiversità” – e non ha senso dire che è una malattia da cui si può guarire perché dura tutta la vita. Non esistono e non esisteranno mai due persone autistiche che abbiano le stesse caratteristiche: per questo si parla di “spettro dell’autismo” e, anzi, molti esperti hanno iniziato a declinare il sostantivo al plurale parlando di “autismi”. C’è da dire, però, che soprattutto attraverso l’immaginario cinematografico, dalla fine degli anni Ottanta, l’autismo è stato legato all’interpretazione di Dustin Hoffman in Rain man ed è stato considerato un tratto esclusivamente associato alla genialità e al talento fuori dal comune. In questo modo sono state rimosse dal nostro immaginario tutte quelle forme in cui l’autismo presenta co-occorenze gravi e disabilità a livello linguistico e intellettivo che, invece, esistono e che richiedono un adeguato supporto. Ma, se a un estremo si possono incontrare un Einstein o uno Steve Jobs, e all’altro estremo ci sono soggetti gravemente disabili, c’è poi tutto il restante spazio dello spettro. Proprio per questo, l’autismo va considerato nella sua dimensione di pluralità ed è necessario che lo sguardo sia rivolto alla singola persona e alle sue peculiarità.

Non deficit, ma diversità

Nonostante il cambio nelle definizioni ufficiali stabilite dal Dsm, molte persone diagnosticate Asperger, come appunto Elon Musk o Greta Thunberg, continuano comunque a usare questa dicitura per riferirsi alla loro condizione. Ma, sebbene Hans Asperger parlasse di “mancanza di empatia o scarsa capacità di stringere amicizia”, oggi grazie alla ricerca scientifica e alle diverse voci della comunità autistica – per esempio il blog Neuropeculiar o Bradipi in Antartide o il libro Eccentrico, saggio autobiografico sull’autismo, scritto da Fabrizio Acanfora – sappiamo che l’autismo è una differente organizzazione di alcune aree del sistema nervoso che determina quindi differenze comportamentali, sensoriali, cognitive ed emotive. Non siamo di fronte a mancanza di empatia o a deficit sociali e disinteresse verso gli altri, ma solamente a un modo diverso di percepire la realtà. Diverso, però, non è sinonimo di difettoso: come sottolineato da Temple Grandin, asperger, professoressa di zoologia alla Colorado State University, il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente. E l’unico modo per comprendere realmente una persona neurodiversa è ascoltarla.

 

Fonte: La Repubblica

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