Sulla sopravvivenza a lungo termine della nostra specie sulla Terra pendono due spade di Damocle che l’uomo stesso ha contribuito a creare: il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Queste due catastrofi o sfide, a seconda di come si veda il bicchiere, sono interdipendenti e si amplificano a vicenda, dunque non possono essere viste come due problemi da considerare separatamente.

Uno studio pubblicato su Science alla vigilia della Giornata Mondiale della Terra evidenzia le connessioni tra crisi climatica ed estinzioni di massa, e propone soluzioni per affrontare entrambi i problemi mitigando le loro conseguenze sociali.

Un appello per la Terra

Il lavoro firmato da 18 esperti da tutto il mondo è frutto di una collaborazione tra due organizzazioni delle Nazioni Unite: l’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), l’organismo intergovernativo incaricato di valutare lo stato della biodiversità globale, e l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che si occupa invece della valutazione dei cambiamenti climatici.

Sessantadue tra gli scienziati che collaborano ai due gruppi si sono incontrati in un workshop virtuale a dicembre 2020, e i risultati del loro lavoro sono stati pubblicati ora, si diceva, alla vigilia dell’Earth Day, la Giornata della Terra 2023, dedicata quest’anno al tema Invest in Our Planet (Investire nel nostro Pianeta). L’invito è dedicare tempo, risorse ed energie ad affrontare concretamente la crisi climatica ed altre situazioni critiche – come la perdita di biodiversità – che riguardano il pianeta Terra.

Circolo vizioso

Le attività umane, si legge nel lavoro, hanno alterato il 75% della superficie terrestre e il 66% dei mari della Terra: abbiamo perso circa l’80% della biomassa dei mammiferi e il 50% della biomassa vegetale e il numero di specie a rischio estinzione non è mai stato così alto dalla comparsa dell’uomo sul Pianeta.

Il riscaldamento globale e la distruzione degli habitat – due elementi già di per sé connessi, pensiamo alla devastazione delle foreste – non solo causano direttamente la perdita di specie, ma riducono anche la capacità degli organismi viventi, del suolo e dei sedimenti di sequestrare anidride carbonica, aggravando ulteriormente le emissioni di CO2 e dunque il riscaldamento globale.

Trappole climatiche

Anche la capacità di piante e animali di migrare cambiando profondità, quota o latitudini per cercare temperature più sopportabili non è senza limiti.

I coralli possono per esempio cambiare habitat molto lentamente e nel corso di generazioni, il che implica che i reef più grandi e antichi potrebbero scomparire del tutto, con il rialzo delle temperature oceaniche.

E anche le specie che si muovono con più agio e migrano incontreranno limiti alla loro capacità di colonizzazione (le cime delle montagne, le coste, le profondità massime che possono sopportare).

Le soluzioni

Per agire e appunto, “investire nel nostro Pianeta” occorre muoversi su più fronti contemporaneamente: «Una massiccia riduzione delle emissioni serra e il target massimo di +1,5 °C rimangono in cima alla lista di priorità», dice Hans-Otto Pörtner, che ha coordinato lo studio e firmato vari rapporti dell’IPCC. «Inoltre occorre proteggere o recuperare almeno il 30% delle terre, delle acque dolci e dei mari per prevenire le maggiori perdite di biodiversità e preservare il funzionamento degli ecosistemi naturali».

«Ciò in cambio ci aiuterà a combattere il riscaldamento globale. Per esempio, il recupero estensivo di appena il 15% delle zone convertite per lo sfruttamento del suolo sarebbe sufficiente a prevenire il 60% degli eventi di estinzione attesi e a rimuovere e fissare a lungo termine fino a 300 gigatonnellate di CO2 dall’atmosfera; si tratta di quasi il 12% di tutto il carbonio emesso dall’alba dell’era industriale».

Fare rete

Serve anche una migliore gestione delle aree protette, da non considerare rifugi isolati di biodiversità ma parte di una rete interconnessa e mondiale di regioni a basso impatto antropico che formino un corridoio migratorio per diverse specie a rischio.

Le aree più sfruttate per la produzione di cibo andrebbero gestite in chiave sostenibile, prediligendo le soluzioni che permettono una maggiore fissazione del carbonio nelle biomasse e nel suolo, e creando habitat che attirino le specie fondamentali per i raccolti, per esempio gli insetti impollinatori.

Ci vuole collaborazione

Anche le istituzioni che si occupano di crisi climatica e tutela della biodiversità sono invitate a collaborare più intensamente: «Difficilmente raggiungeremo gli obiettivi su clima, biodiversità globale e sostenibilità per il 2030 e 2050 se non cooperiamo con maggiore assiduità», dice Pörtner.

 

Fonte: Focus

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS