Possiamo vivere più a lungo e in salute mangiando meglio? La domanda sembra banale e altrettanto banale e ovvia la risposta: sì, possiamo, o uno stile di vita sano, basato (anche) su un’alimentazione equilibrata non sarebbe alla base di tutte le strategie di prevenzione raccomandate da enti e istituzioni sanitarie. Ma possiamo ritardare gli effetti dell’invecchiamento mangiando, possiamo davvero rallentare le lancette del nostro orologio biologico, con la dieta? In sostanza, esistono le diete anti-aging?

La risposta è di certo più sfumata. Science, che oggi torna sul tema con una revisione dei principali studi condotti in materia, la riassume scrivendo così: in tema di diete anti-aging è necessario separare la realtà dalla fantasia. E i fatti, a dispetto del marketing, dicono che a oggi non esistono vere diete anti-invecchiamento di comprovata efficacia, specialmente fuori dalle condizioni (controllate) degli studi di laboratorio. Più in generale, scrivono Matt Kaeberlein della University of Washington e colleghi: “A oggi non esistono ancora interventi anti-invecchiamento clinicamente validati negli esseri umani”. Ma anche in questo caso, a scavare – e questo è quello che ha fatto il team di Kaeberlein, esperto negli studi sull’invecchiamento – le risposte sono più sfumate, e i risultati della ricerca contrastanti, seppur molto interessanti. “C’è qualche evidenza consistente sugli effetti anti-aging della restrizione calorica e delle diete correlate negli esseri umani, così come un piccolo gruppo di possibili composti geroprotettori, inclusa la metformina e la rapamicina”, si legge nel paper. Ma proviamo ad andare con ordine.

Il potenziale anti-aging delle diete a restrizione calorica

I ricercatori parlano di diete di restrizione calorica e diete correlate. Quando si parla di diete anti-anging, di regimi alimentari che hanno il potenziale di ritardare l’invecchiamento e allungare la durata della vita, ci si riferisce infatti soprattutto a regimi di restrizione calorica. Studi condotti su diversi modelli animali (roditori, nematodi, moscerini della frutta) hanno mostrato che interventi di riduzione dietetica – quindi che prevedano un qualche tipo di restrizione nutrizionale, non necessariamente e solo nelle calorie – possono allungare la vita e ritardare l’insorgenza di patologie correlate all’età, così come il declino cognitivo.

D’altronde, proseguono gli autori, anche qualche dato da studi clinici e osservazioni a livello epidemiologico – come quelle della popolazione di Okinawa, in Giappone, dove storicamente gli abitanti mangiano mediamente meno, vivono più a lungo e con meno patologie come cancro, malattie cardiovascolari – sembrano supportare l’idea che restrizioni dietetiche aiutino a vivere meglio e più a lungo. Ma nel calderone delle ricerche – non solo cliniche anche a livello preclinico – occorre fare dei distinguo importanti, perché non ci sono risultati uniformi, e non pochi sono i limiti messi in luce dalla revisione su ScienceLa restrizione calorica funziona (ma non sempre)

A raccontarlo a Wired è Alessandro Bitto, ricercatore italiano presso l’University of Washington, esperto di biologia della senescenza e tra i firmatari del paper. “In tema di diete anti-aging c’è molto interesse e diverse sono quelle derivate dalla restrizione calorica testate in ambito di ricerca e poi popolarizzate, anche grazie agli stessi ricercatori in alcuni casi – spiega – ma i risultati sono misti, soprattutto per l’outcome di longevità e anche per gli studi a livello preclinico”.

Alcune sembrano più promettenti di altre: sono i classici regimi di restrizione calorica (ma senza malnutrizione), quelle di digiuno intermittente e di diete mima-digiuno, con riduzione di calorie e classi di nutrienti, per esempio carboidrati, come avviene anche nelle chetogeniche. Meno forti, sempre in termini di potenzialità di allungare la durata della vita, sono le evidenze che arrivano da regimi di diete isocaloriche ma con restrizioni nelle assunzioni di proteine o amminoacidi, o nelle finestre temporali in cui è permesso mangiare (cosiddette diete a orario).

Una grande distinzione quindi è quella che separa gli interventi di restrizione calorica – con più evidenze – da tutti gli altri. Ma anche qui, precisano Bitto e colleghi, ci sono dei limiti alle evidenze disponibili. “In molti casi, nelle diete che propongono diversi schemi di digiuno, è difficile distinguere gli effetti di quel regime in particolare da quello di una semplice restrizione calorica – riprende lo scienziato – e questo perché parliamo di diete in cui in generale si consumano meno calorie nei gruppi sperimentali. Se non si mette a confronto una specifica dieta con una di stesso importo calorico, è difficile così distinguere gli effetti di quella sperimentale, sia a digiuno intermittente che a orario, da quella della semplice restrizione calorica”.

Ma anche affermare con certezza che la restrizione calorica funzioni sempre è azzardato: Bitto ricorda il caso di due studi di restrizione calorica condotti sui macachi che hanno prodotto risultati discordanti: in uno gli animali vivevano più a lungo, nell’altro no. C’erano differenze negli schermi di diete utilizzate, in grado di spiegare i diversi esiti, ma più in generale anche in ambito animale sono ancora troppe le variabili in grado di influenzare i risultati continua il ricercatore: “Ci sono lavori per esempio che mostrano come assetti genici diversi producano effetti diversi in caso di restrizione calorica, tanto nei lieviti che nei topi. E nell’essere umano, dove la diversità genetica rispetto agli animali da laboratorio è ben più ampia, i risultati di uno stesso regime dietetico potrebbero essere molto diversi”. Ed è per questo, continua, che banche di animali geneticamente diversi saranno essenziali per comprendere in che modo il genotipo influenzi le risposte alle diete anti-agingI limiti delle evidenze nell’essere umano.

A tutto questo si aggiunge l’enorme variabilità dell’ambiente in cui vive l’essere umano rispetto a quella degli animali di laboratorio, potenzialmente (e verosimilmente) in grado di influenzare le risposte alle diete, così come la maggior difficoltà di controllare la composizione nutrizionale del suo cibo, ricordano gli autori. Questo a sottolineare che, anche a voler prendere per buoni i risultati più incoraggianti, ci sono dei limiti alla traslabilità dei risultati osservati nei modelli animali nell’essere umano, in cui condurre studi controllati è senza dubbio più difficile.

Come garantire l’adesione a un programma dietetico per decenni? Come gestire le variabilità genetiche, e tutti gli altri fattori confondenti? Al punto che, prendendo coscienza di tutti i limiti nel campo e dei risultati misti che arrivano dalla ricerca, si legge nel paper: “Ci sono reali possibilità che qualsiasi tipo di dieta a restrizione calorica possa aumentare la durata della vita in alcune persone e accorciarla in altre”.Gli effetti benefici contro l’obesità.

Tutto questo però non significa, ancora una volta, che le diete anti-aging non funzionano e basta. Anzi. I risultati forse più interessanti son quelli che guardano agli effetti di alcune di queste diete anti-aging (come la chetogenica e la restrizione calorica) nel ridurre l’obesità, e nel migliorare i fattori di rischio associati ad alcune malattie, come la pressione e la tolleranza al glucosio. Promettenti ma che al tempo stesso non permettono di pronunciarsi liberamente sul reale potere delle diete anti-età, come riassume il team di Kaeberlein, perché parliamo di benefici che potrebbero essere legati solo alla prevenzione dell’obesità e di tutte le complicazioni a essa correlate.

Ma studiare le diete anti-età ha prodotto indubbi vantaggi nella ricerca: “Negli ultimi 15 anni abbiamo capito, soprattutto grazie agli studi su organismi modello più semplici, che esistono degli hallmarks, ovvero dei segni caratteristici, legati all’invecchiamento, che possono essere considerati quasi dei marcatori”, riprende Bitto.

Il riferimento del ricercatore è allo stato di infiammazione per esempio, alla lunghezza dei telomeri (le estremità dei cromosomi), alla presenza e all’attività delle cellule staminali, ma non solo. “Ci sono dei target molecolari, come quelli di mTOR (mechanistic target of rapamycin) o dell’FGF21 (fibroblast growth factor 21), che sono sensibili agli interventi di restrizione calorica e mediano gli effetti sulla durata della vita degli animali. L’idea ora è di validare queste vie molecolari – compresi i cosiddetti orologi molecolari, come la metilazione del dna, correlati all’età biologica – come dei marcatori dell’invecchiamento, e magari osservare come i vari interventi dietetici siano in grado di influenzarli”. E perché no, di usare questi marcatori come dei target su cui agire magari farmacologicamente un giorno.

 

Fonte: Galileo

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