Con lo sviluppo della medicina è cambiato profondamente il modo in cui noi stessi concepiamo la salute e l’assistenza sanitaria, così che qualità della vita e benessere assumono sempre maggiore importanza. Il libro di Nicole Ticchi, chimica farmaceutica e comunicatrice scientifica, ci ricorda però con dati e studi approfonditi che non possiamo preoccuparci della nostra salute senza occuparci della salute del nostro ambiente: non possiamo più considerarle come due cose distinte. Per riuscire a farlo, bisogna ampliare il nostro sguardo su quello che abbiamo intorno, e arricchirlo col contributo di molte discipline diverse.

L’analisi di Ticchi prende in considerazione “la sostenibilità della ricerca farmaceutica”, come spiega il sottotitolo; ci fa entrare all’interno dei laboratori di ricerca, ci guida negli ospedali, ci fornisce sia dati che riguardano inquinamento, sprechi e modalità di lavoro spesso obsolete, sia dati sulla messa a punto di nuovi farmaci, sulla loro distribuzione in Paesi diversi, sui costi e i guadagni delle industrie.

La ricerca costa, e si stima che per ogni dollaro speso in ricerca e sviluppo in media venga restituito meno di un dollaro come ritorno economico. Servono sempre nuovi dati sulla sperimentazione e sull’efficacia di nuove molecole ma l’accesso alle informazioni che derivano dagli studi clinici è fortemente limitato dalla privacy; sarebbe necessario rendere disponibile tutta l’informazione già esistente, elaborando nuove modalità di comunicazione per utilizzare al meglio dati già acquisiti. L’efficacia di un trattamento, infatti, deve essere misurata nella pratica e sul campo, e si può valutare solo elaborando i risultati emersi da situazioni reali, considerando il tipo di beneficio ottenuto dai pazienti a cui esso è stato rivolto. Ma, come tutti leggiamo sui bugiardini, i farmaci hanno anche effetti indesiderati, intesi come misura della probabilità e della gravità del danno alla salute da essi provocata. Bisogna quindi che chi li produce sia in possesso di tutti i dati che riguardano la sicurezza e l’efficacia del farmaco; ed anche raccogliere dati su questi aspetti ha un costo non indifferente.

Dopo queste considerazioni, Ticchi affronta il problema meno noto dei danni ambientali provocati sia dalla produzione che dal consumo dei farmaci, riportando come accurate attività di monitoraggio abbiano finalmente indotto la legislazione farmaceutica a imporre test di approfondimento e limitazioni nello smaltimento di sostanze con effetti pericolosi per l’ambiente. Infatti molti prodotti possono avere azioni a lungo termine come persistenza, bioaccumulo, tossicità, e sono state trovate nelle acque sostanze che anche a concentrazioni molto basse hanno provocato cambiamenti importanti, per esempio nella fertilità di specie animali. Sono stati di recente individuati dei quadri normativi che riguardano le procedure organizzative e i criteri con cui condurre le ricerche di laboratorio (GPL, Good Laboratory Practice), le buone norme di fabbricazione di farmaci (GMP, Good Manufacturing Practice) e le buone pratiche in clinica (GPC Good Clinical Practice). Per portare a termine tutto il processo di sviluppo di un farmaco è oggi necessario adeguarsi a queste norme, con i relativi costi (importanti) che riguardano risorse umane, materie prime e tempi di realizzazione.

Ma stimare l’impatto ambientale della ricerca farmaceutica non è affatto facile, e riguarda soprattutto l’uso e lo smaltimento dei rifiuti: litri di solventi organici, la plastica con cui sono fatti gli strumenti che devono essere usati una sola volta, le sostanze che dopo essere state fatte opportunamente reagire diventano inutilizzabili. In ogni laboratorio o centro di ricerca ci sono contenitori di raccolta per scarti organici, acquosi, solidi, radioattivi, speciali, e tutti devono essere portati via (con trasporto su strada) fino alla loro destinazione finale.

Una vera sensazione di sgomento si prova nel rendesi conto dell’inquinamento provocato dai rifiuti ospedalieri, dove le acque reflue contengono una grande varietà di sostanze usate a scopo medico, in piccola parte usate dall’organismo ed in parte eliminate dai pazienti con le feci e le urine. C’è inquinamento microbiologico, e inquinamento provocato dai metalli pesanti usati nelle chemioterapie come il platino, e si è calcolato che le acque effluenti dagli ospedali hanno una tossicità intrinseca dalle cinque alle quindici volte superiore rispetto alle acque di scarico urbane. Ma anche fuori dall’ospedale le persone assumono farmaci, e anche loro introducono involontariamente nell’ambiente sostanze che alterano la composizione delle acque di scarico, con danni possibili alla salute altrui, valutati per quanto possibile da studi tossicologici. Non ci sono ancora dati a sufficienza per sapere cosa avviene a lunghissimo termine, quando i farmaci si accumulano nell’ambiente, anche perché il loro consumo terapeutico in questi ultimi tempi è fortemente aumentato ed il loro effetto negativo non è stato ancora abbastanza studiato.

Gli indicatori e le risorse scientifiche rivolte a misurare la sostenibilità ambientale non riguardano soltanto la presenza di sostanze dannose alla salute umana. Siamo in un periodo di riscaldamento globale, di consumi energetici, di carbon footprint. La CO2 è il gas che contribuisce per il 30% al riscaldamento globale, seguita da metano, ossidi di azoto o altri; il carbon footprint è una misura che esprime il totale delle emissioni di gas a effetto serra per ogni processo. Vari studi hanno permesso di individuare aziende farmaceutiche che producono CO2 in eccesso, e le emissioni calcolate in rapporto ai milioni di dollari di ricavo sono state, in America, del 55% più elevate rispetto al settore automobilistico. Sono situazioni difficili da modificare, ma bisogna provare a farlo: Ticchi ci invita a riflettere sulla quantità di dati sempre più accurata che riguardano le emissioni in atmosfera, dove vengono scaricati gas e vapori invisibili, di cui non ci accorgiamo ma che invadono l’ambiente di tutti.

Anche i trasporti delle materie prime, dei semilavorati, dei prodotti finiti inquinano e consumano energia; importa dunque valutare i notevoli costi ambientali dei consumi energetici necessari a conservare e a trasportare i prodotti a temperature bassissime, a far funzionare apparecchi, cappe aspiranti, condizionatori, provvedendo anche a tutto quello che garantisce la sicurezza dei prodotti e la salute dei ricercatori.

Il problema dei costi della sostenibilità è assolutamente attuale, e si tratta non solo di soldi ma anche di costi etici che riguardano in particolare quello che succede in Cina, in India, in Africa, nelle popolazioni povere e soggette a malattie che la loro economia non consente di curare adeguatamente.

L’ultimo capitolo del volume, dal titolo suggestivo: Insomma, facciamo qualcosa, rileva che l’impatto della salute sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale viene finalmente preso in seria considerazione in molte realtà di ricerca, dove si comincia a capire che la nostra salute dipende completamente dal clima e dalla presenza degli altri organismi con cui condividiamo il pianeta. Si sviluppano associazioni e iniziative come la Health Care Climate Challenge, a cui hanno aderito 190 istituzioni di 31 paesi, per affrontare i problemi del cambiamento climatico e investigare su cosa è necessario fare in modo diverso per tentare di risolverli. A livello industriale si tenta di sviluppare una Green Chemistry, negli ospedali One Health rappresenta un modo virtuoso per promuovere la salute delle popolazioni e dei luoghi di vita e di lavoro.

C’è ancora molto da fare, conclude Ticchi, e per ottenere risultati, servono contributi di discipline diverse, servono economisti, urbanisti, demografi e sociologi che sviluppino conoscenze efficaci per studiare la relazione tra ambiente, clima e salute e proporre innovazione. Ma il cambiamento deve riuscire a coinvolgere tutti, anche nelle semplici azioni di vita quotidiana, promuovendo una crescita di consapevolezza in tutti i vari livelli della società. Le soluzioni nascono sia dalle risposte che la scienza sta cercando di dare sia dalla capacità di ognuno di far entrare queste risposte nel sapere comune e nella propria vita.

 

Fonte: Galileo

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