Solitamente la prima cosa che ci viene in mente quando sentiamo nominare il sistema immunitario sono le infezioni. Ma vi siete mai chiesti quale sia il peggior nemico dei tumori? Ebbene sì, è proprio il sistema immunitario, il quale accorre in nostro soccorso come un ottimo alleato.

Come il sistema immunitario riconosce le cellule tumorali

L’immunosorveglianza rappresenta il controllo esercitato dal sistema immunitario nei confronti dei tumori. Affinché le cellule tumorali vengano riconosciute da esso, è necessario che queste esprimano “antigeni tumorali”. Possiamo avere diversi casi:

  • I geni mutati (alla base della trasformazione neoplastica vi sono infatti delle mutazioni) possono dare origine a proteine specifiche per il tumore, che sono diverse dalle proteine normali, per cui vengono riconosciute dal sistema immunitario;
  • Iper-espressione di proteine cellulari normalmente espresse da pochi tipi di cellule e non accessibili al sistema immunitario. Quando si ha trasformazione neoplastica, a livello delle cellule tumorali si ha iper-espressione di queste proteine in associazione al MHC I (molecola necessaria per il riconoscimento da parte del sistema immunitario). Quindi le cellule tumorali vengono riconosciute dal sistema immunitario e distrutte;
  • Antigeni virali, in quanto vi sono tumori associati a infezioni da parte di virus. Quando la cellula viene infettata da un virus, essa esprime proteine virali che vengono riconosciute come no self dal sistema immunitario;
  • Antigeni (onco)fetali: sono antigeni che non vengono prodotti dall’adulto, ma solo dal feto. Alcuni tumori però, possono portare all’espressione di geni normalmente repressi, quindi questi antigeni verranno espressi anche dopo la nascita. Essi non sembrano avere molta importanza nell’immunosorveglianza, ma sono utili dal punto di vista diagnostico, in quanto possono essere indice dello sviluppo del tumore;
  • Infine, abbiamo delle alterazioni a carico di glicolipidi e glicoproteine di membrana. In questo caso non c’è una mutazione a carico del gene che codifica per la proteina, ma un’alterazione enzimatica, per cui la molecola viene modificata da enzimi. Si possono così ottenere antigeni che vengono riconosciuti dal sistema immunitario.

Evidenze che dimostrano l’esistenza dell’immunosorveglianza

Ovviamente sono necessarie delle evidenze che dimostrino l’esistenza dell’immunosorveglianza. Nell’uomo si è osservato che, in soggetti immunodeficienti, l’incidenza di alcuni tumori (in particolare quelli più rari) è più elevata. Questo dimostra che il sistema immunitario ci difende e protegge dai tumori (oltre a permetterci di colorarci la pelle).

Ma il tumore cosa fa per non farsi fregare dal suo acerrimo nemico?

È abbastanza furbo, per cui mette in atto diverse strategie per eludere la risposta immunitaria. Evito di elencarle tutte perché finirei direttamente per Capodanno, sappiate solo che tra queste abbiamo:

  • ridotta espressione degli antigeni di superficie che consentono il riconoscimento delle cellule tumorali da parte del sistema immunitario (quindi il riconoscimento non avviene);
  • produzione di proteine che sopprimono il sistema immunitario.

E poi, vi è il meccanismo più importante per questo articolo. I linfociti T possiedono dei recettori inibitori che hanno la funzione di inibire la risposta immunitaria. Tra questi recettori vi è il PD-1. Le cellule tumorali esprimono il PD-1L, ovvero il ligando di questo recettore.

In questo modo i linfociti T vengono bloccati, quindi la risposta immunitaria viene inibita. Una delle strategie adottate nella terapia antitumorale consiste nell’usare anticorpi che blocchino il PD-1 o il PD-1L.

Come contrastare l’effetto immunosoppressivo dei tumori

In uno studio condotto dai ricercatori del Weill Cornell Medicine e del New York-Presbyterian Hospital è stato scoperto un nuovo modo per contrastare l’effetto immunosoppressivo dei tumori.

Step e dettagli dello studio effettuato

I ricercatori hanno individuato una serie di fattori immunosoppressivi che possono essere secreti da cellule dette cellule del club (sì, hanno anche la tessera fedeltà per far parte del club) che rivestono le vie aeree polmonari. Ma a cosa servono precisamente questi fattori?

In un modello murino di cancro al polmone, è stato dimostrato che essi inibiscono le cellule immunosoppressive altamente potenti, chiamate cellule soppressorie di derivazione mieloide (MDSC). Queste vengono spesso reclutate dai tumori che necessitano del loro aiuto per eludere la risposta immunitaria.

L’inibizione di queste cellule MDSC, volutamente indotta dai ricercatori, ha determinato un aumento del numero di cellule T antitumorali nella sede del tumore e ha migliorato l’efficacia dell’immunoterapia PD-1 approvata dalla FDA (vi ricordate del PD-1 vero? Ve l’ho nominato prima, ora vi interrogo).

Grazie a questi fattori, secreti dalle cellule del club, i tumori non riescono quindi a sfuggire alla risposta immunitaria. Per cui, potrebbero essere utilizzati in un trattamento antitumorale.

Questa ricerca fa parte degli svariati tentativi effettuati negli ultimi decenni, volti a sfruttare il sistema immunitario contro i tumori. Questi sforzi hanno prodotto trattamenti antitumorali come quelli basati sugli inibitori del checkpoint immunitario (ICI), i quali annullano in parte gli effetti immunosoppressivi.

Negli ultimi anni gli oncologi hanno osservato anche che, le radiazioni ionizzanti, possono annullare ulteriormente la soppressione immunitaria migliorando l’efficacia degli ICI.

Ma precisamente come agiscono le radiazioni?

Sempre utilizzando un modello murino di carcinoma polmonare non a piccole cellule, i ricercatori hanno osservato che, il picco dell’effetto indotto dalle radiazioni, veniva raggiunto in corrispondenza di una dose moderata delle stesse. Questo era associato a un aumento del 40% dei topi trattati con ICI che sono sopravvissuti senza tumore fino alla fine del periodo di osservazione (due mesi).

I ricercatori hanno poi scoperto che, queste radiazioni, agiscono attivando e stimolando la proliferazione delle cellule del club residenti nei polmoni, che sono implicate nella protezione e riparazione dei rivestimenti sensibili delle vie aeree, riducendo così (in parte) l’infiammazione.

Osserviamo un picco di stimolazione di queste cellule in corrispondenza di una particolare dose di radiazioni (ovvero di una dose moderata) perché una dose più bassa non stresserebbe abbastanza le cellule, mentre una dose più alta le ucciderebbe.

Una volta attivate che fanno le cellule del club? 

Queste cellule secernono diverse molecole e si potrebbe sostituire la radiazione con un “cocktail club” (non vi azzardate ad andare in un locale chiedendo questo cocktail perché vi cacciano all’istante) contenente otto di queste molecole, ottenendo lo stesso risultato di miglioramento dell’ICI.

Si è visto anche che questo effetto immuno-ripristinante, dato dalle molecole prodotte dalle cellule del club, deriva dall’azione inibitoria che esse esercitano nei confronti delle cellule MDSC. Queste ultime sono state considerate a lungo un ostacolo al miglioramento dell’efficacia delle immunoterapie contro il cancro.

Ma questi risultati sono stati ottenuti in modelli sperimentali, quindi come hanno fatto i ricercatori a traslarli nell’uomo?

Per confermare la rilevanza di questi risultati di laboratorio anche nei tumori umani, è stato esaminato il siero campionato da pazienti con cancro del polmone, in uno studio clinico di radioterapia + ICI, condotto dal Dr. Altorki e colleghi della Weill Cornell Medicine.

I ricercatori hanno visto che i livelli di una molecola chiave del cocktail club, ovvero la CC10, erano significativamente elevati nella maggior parte dei pazienti che sono migliorati dopo il trattamento. Non era invece presente in nessuno dei pazienti senza alcun miglioramento, suggerendo quindi che CC10 può aiutare i pazienti a migliorare.

Conclusione

Le ricerche non finiscono qui e l’obiettivo primario dei ricercatori è quello di determinare quali delle molecole presenti nel cocktail club siano maggiormente coinvolte nell’inibizione delle MDSC. Quindi, quali molecole potranno essere utilizzate per migliorare i trattamenti contro il cancro. Si spera anche che questi risultati possano essere estesi non solo ai pazienti affetti da carcinoma polmonare, ma anche a coloro che sono affetti da altri tumori.

Credere nella scienza e riporre in essa la propria fiducia rappresenta il primo passo verso un futuro migliore.

 

Fonte: Missione Scienza

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