Non aveva alternative, David Bennet: morire o accettare un tipo di trapianto mai eseguito prima. Ha scelto la seconda opzione e oggi questo cinquantasettenne americano è diventato il primo uomo al mondo con un cuore di maiale geneticamente modificato.

Condizioni disperate

A tre giorni dall’intervento, eseguito dai medici dell’University of Maryland Medical Center a Baltimora, sta bene, respira da solo e spera di continuare a vivere la sua vita, anche se è prematuro, al momento, fare previsioni. I medici hanno ottenuto uno speciale permesso dalle autorità regolatorie americane per mettere in pratica questa nuova procedura proprio per il fatto che il paziente, altrimenti, non avrebbe avuto possibilità di sopravvivere: nelle sei settimane precedenti il trapianto, non era cosciente ed era collegato a macchinari che lo tenevano in vita, dopo che gli era stata diagnosticata una malattia cardiaca terminale. In quelle condizioni, i medici non procedono a un classico trapianto con organo di donatore, date le scarse chance di sopravvivenza del paziente, e hanno così proposto l’impiego di uno xenotrapianto (appunto con un organo da animale).

La tecnica usata

«È un primo passo verso la soluzione del problema della scarsità di organi», ha commentato Bartley Griffith, uno dei chirurghi che hanno eseguito l’intervento. Da tempo i ricercatori stanno percorrendo la strada della manipolazione genetica degli organi di maiale (l’animale più vicino all’uomo per caratteristiche del suo sistema immunitario, tant’è vero che già da tempo si usano valvole cardiache di maiale da trapiantare nell’uomo), manipolazione oggi resa più semplice grazie alla nuova tecnica del «taglia e cuci del Dna» (CRISPR, ne abbiamo parlato QUI, ndr) che permette di eliminare quei geni, propri del maiale, capaci di innescare nel paziente ricevente un rigetto. Già nell’ottobre scorso chirurghi della New York University Langone, guidati da Robert Montgomery, avevano collegato un rene di maiale, geneticamente modificato, a una paziente con una gravissima malformazione renale e tenuta artificialmente in vita. Dopo l’intervento il rene ha cominciato a funzionare, senza segni di rigetto: i medici hanno monitorato la funzionalità renale per 54 ore prima di staccare la spina alla donna già cerebralmente morta.

 

Fonte: Corriere della Sera

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS