In arrivo la seconda generazione di vaccini anti-COVID

Articolo del 01 Febbraio 2021

I primi vaccini contro il virus SARS-CoV-2 ad essere approvati dalle autorità sanitarie sono stati quelli di Pfitzer/BioNTech, Moderna e Oxford/AstraZeneca, ma ce ne sono molti altri – più di duecento – in varie fasi di sviluppo, alcuni dei quali usano tecniche più innovative e potrebbero presentare maggiori vantaggi sia dal punto di vista dell’efficacia, sia della produzione e della distribuzione. Ecco una selezione dei candidati più promettenti.

Sei mesi fa, quando l’emisfero settentrionale era ancora alle prese con la prima ondata della pandemia da coronavirus, tutti gli occhi erano puntati sui vaccini contro COVID-19 giunti alle ultime fasi delle sperimentazioni cliniche. Adesso, a un anno dallo scoppio della pandemia, tre vaccini anti-COVID hanno ricevuto l’autorizzazione all’uso d’emergenza negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in altri paesi.

Due dei vaccini, sviluppati da rispettivamente da Pfitzer e BioNTech e da Moderna, impiegano una nuova tecnica genetica, e sono detti vaccini a mRNA. Il terzo è un vaccino più convenzionale sviluppato dall’Università di Oxford con AstraZeneca, che usa un virus degli scimpanzé per somministrare il DNA per uno specifico componente di SARS-CoV-2, il virus che causa COVID. (Russia, Cina e India hanno lanciato propri vaccini, che però, con qualche eccezione, non sono stati autorizzati in ampia misura in altri paesi.)

Ma per quanto importanti, questi vaccini probabilmente non basteranno da soli a mettere fine alla pandemia. Per fortuna, ci sono centinaia di altri vaccini anti-COVID in via di sviluppo – fra cui molti che usano nuovi meccanismi d’azione – che potrebbero dimostrarsi efficaci, più economici e più facili da distribuire.

“Ritengo che questo virus cambierà, e che i vaccini che abbiamo appena approvato non saranno tanto efficaci quanto pensiamo ora”, dice Danny Altmann. Si sono già evolute parecchie nuove varianti di SARS-CoV-2, fra cui quelle identificate per la prima volta nel Regno Unito e in Sud Africa, che si trasmettono molto più facilmente (anche se non sono più letali, almeno per ora).

Anche Gregory Poland, esperto di vaccini della Mayo Clinic, dice che è troppo presto per pensare di aver sconfitto il virus. Fa notare che finora nessun vaccino contro un coronavirus era mai stato oggetto di un programma pubblico di vaccinazione. E i vaccini a mRNA come quelli di Pfitzer e Moderna – propagandati da molti come il futuro della scienza dei vaccini – finora non erano mai arrivati sul mercato.

“Non sappiamo quante cose non sappiamo ancora. Non abbiamo idea delle sorprese che potrebbe darci un virus della cui esistenza siamo al corrente da appena un anno”, dice Poland, uno degli autori di un’ampia rassegna dei candidati vaccini contro COVID pubblicata su “Lancet” lo scorso ottobre. “E la storia della scienza dei vaccini, di cui io stesso faccio parte da quattro decenni, è lastricata di cose che credevamo di sapere.”

Che cosa succede se qualcuno che è stato vaccinato contrae ugualmente COVID? La malattia avrà un decorso ancora peggiore, secondo un fenomeno chiamato potenziamento anticorpo-dipendente? Oppure, in uno scenario meno drammatico, che succede se il vaccino impedisce alle persone immunizzate di ammalarsi ma non di contagiare gli altri?

Quest’ultima situazione potrebbe peggiorare la pandemia se i soggetti vaccinati si ritengono innocui e al sicuro e diventano portatori asintomatici. Inoltre, nel mondo le persone mostrano un’ampia gamma di immunità naturale al virus, e dunque potrebbe esservi un’analoga varietà nelle risposte al vaccino. “Potrebbero esserci un sacco di trappole pronte a scattare”, dice Poland.

Per di più, i vaccini di Pfitzer e Moderna presentano difficoltà logistiche che ne complicano la diffusione a livello globale. Quello di Pfitzer deve essere conservato a -70 °C – al di sotto della temperatura media dell’Antartide – in congelatori che costano molte migliaia di dollari. Il vaccino di Moderna si può conservare a -15 °C, ma comunque, data la necessità di disporre di congelatori, ha ben poche probabilità di raggiungere le zone rurali remote dell’India e dell’Africa, o le baraccopoli povere e sovrappopolate del Sud America. Finché i vaccini restano delicati, costosi e difficili da distribuire, la pandemia continuerà.

Ma la questione di gran lunga più importante, dice Altmann, è la durata: per quanto tempo si rimane immuni dopo la vaccinazione. Se un vaccino conferisce l’immunità soltanto per qualche mese, invece che per molti anni, in sei mesi faremo ben pochi progressi. E a quel punto potremmo trovarci di fronte a forme più virulente della malattia che imperversano in giro per il mondo.

La buona notizia però è che i ricercatori stanno sviluppando vaccini “di seconda generazione”, lavorando in molti casi con tecniche nuove. “Abbiamo l’imbarazzo della scelta”, dice Altmann. “Una cosa di cui senz’altro la maggior parte della gente non si è resa conto è che, un po’ in sordina, negli ultimi 15 anni la scienza dei vaccini è progredita molto, sviluppando una serie di tecnologie incredibilmente raffinate.”

Ci sono quasi 240 nuovi candidati vaccini in corso di sviluppo, che attendono dietro le quinte il momento di salire alla ribalta. Eccone alcuni fra i più promettenti.

RNA ad auto-amplificazione
(Imperial College di Londra)

Simile a quelli a mRNA già approvati, questo vaccino inserisce materiale genetico proveniente dal virus direttamente nelle cellule umane, spingendo il corpo a fabbricare la famigerata proteina spike che ricopre la superfice del virus SARS-CoV-2. E come nel caso dei vaccini a RNA, quello progettato dall’Imperial College di Londra somministra solo del materiale genetico, non il virus vero e proprio, e quindi è improbabile che passa esacerbare la malattia se qualcuno viene contagiato dopo la vaccinazione.

La particolarità di questo vaccino è che è stato modificato in modo che le cellule stesse del corpo diventino fabbriche che continuano autonomamente a produrre la proteina spike, il che vuol dire che non è necessaria una seconda iniezione di richiamo. In più, a quanto pare, questo RNA “ad auto-amplificazione” può essere prodotto in grandissime quantità a basso costo. “Sono davvero entusiasta del fatto che [questo approccio] potrebbe risultare simile ai vaccini di Pfitzer e Modena ma ancora migliore”, dice Altman, che non è stato direttamente coinvolto nello sviluppo di questo candidato.

Subunità della proteina
(Novavax)

I ricercatori della start-up Novavax, con sede nel Maryland, hanno puntato a somministrare la proteina spike vera e propria (e non un virus intero o del materiale genetico). Hanno realizzato il vaccino modificando con l’ingegneria genetica le cellule di una falena, che così producono grandi quantità della proteina spike in bioreattori a basso costo. In più, il vaccino si conserva a temperature comprese tra i 2 e gli 8 gradi Celsius – la temperatura dei normali frigoriferi – e quindi è assai più pratico da distribuire.

In questo approccio, il trucco è l’aggiunta di un agente adiuvante – un additivo che rafforza la risposta del sistema immunitario – ottenuto a partire dalla saponina, un composto derivato dalla corteccia di un albero sudamericano, Quillaja saponaria. “La tecnologia delle proteine ingegnerizzate è già stata provata e verificata in passato; semplicemente, per produrle ci vuole un po’ più di tempo che per l’RNA”, spiega Gregory Glen, a capo della sezione ricerca e sviluppo di Novavax.

Nanoparticelle proteiche specificamente progettate
(Institute for Protein Design, Università del Washington)

Come quelli di Novavax, i ricercatori dell’Università del Washington hanno scelto come arma la somministrazione di proteine derivate da SARS-CoV-2. Ma invece di iniettare la proteina spike intera si sono concentrati sul “tallone d’Achille” del virus: il dominio di legame al recettore (RBD), la parte della proteina spike che si fonde più direttamente con le cellule umane.

Neil King, biochimico dell’Institute of Protein Design di quell’università, ha realizzato un vaccino che viene somministrato sotto forma di nanoparticelle sferiche, che hanno la forma di pallone da calcio. Proteine RBD, fabbricate per sintesi, sono legate in una disposizione regolare alla superficie delle nanoparticelle.

Questa forma mette il vaccino in grado di evocare risposte anticorpali almeno 10 volte più forti di quelli che usano l’intera proteina spike naturale, dice King. “Non ci limitiamo a prendere proteine già esistenti e a modificarle un po’; stiamo facendo proteine del tutto nuove, perché facciano esattamente quello che vogliamo noi”, osserva. Il vaccino è attualmente oggetto dei primi studi clinici (quelli di fase I) su volontari umani. Se avrà successo, potrebbe arrivare al pubblico nel corso di quest’anno.

Altri vaccini in arrivo

Questi sono solo alcuni dei candidati vaccini su cui si sta lavorando. Altri vaccini che potrebbero contribuire a rallentare la pandemia, fra cui quello sviluppato da Sinovac Biotech in Cina, adottano scelte più convenzionali, come l’uso di un virus inattivato (la tecnica che ha contribuito a debellare la polio ed è tuttora usata in molti vaccini antinfluenzali). Resta da vedere quanto bene possano funzionare tutti questi approcci. Ma i tanti sforzi in corso sono una buona ragione per sperare che la fine di questo incubo sia in vista.

E quando finirà, gli scienziati avranno molti strumenti già pronti per quando saremo colpiti dalla prossima pandemia.

e, dice Altmann, è la durata: per quanto tempo si rimane immuni dopo la vaccinazione. Se un vaccino conferisce l’immunità soltanto per qualche mese, invece che per molti anni, in sei mesi faremo ben pochi progressi. E a quel punto potremmo trovarci di fronte a forme più virulente della malattia che imperversano in giro per il mondo.

 

FonteLe Scienze

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