“In Europa auto elettrica più pulita dell’equivalente termica solo dopo 80mila chilometri di utilizzo”. Lo studio di Volvo

Articolo del 11 Novembre 2021

Lo dice uno studio del costruttore svedese, che ha messo a confronto i modelli a batteria e quelli a benzina di sua produzione. Tuttavia, se il pieno di energia viene fatto con corrente elettrica meno “pulita” di quella europea, il break even point con la termica non arriva prima di 115 mila km. Questo perché le elettriche arrivano sul mercato con un “debito” molto elevato di CO2 da recuperare rispetto alle termiche/ibride.

A gennaio scorso, Il Fatto Quotidiano aveva pubblicato un’inchiesta sull’auto elettrica, mettendo a confronto due modelli simili per dimensioni e prestazioni, uno ibrido e l’altro elettrico. Alla luce dei dati raccolti, che tenevano conto delle modalità di produzione dell’energia nelle differenti aree del mondo, nonché dell’impatto ambientale generato dalla produzione di una batteria, si concludeva che, se ricaricata in Europa (dove viene generata la corrente elettrica più “pulita” del mondo, frutto di un mix energetico che comprendere una buona quota di fonte rinnovabili), l’auto elettrica con batteria ‘made in China’ dovrebbe, rispetto a un’ibrida, percorrere poco meno di 80.000 km prima di cominciare ad avere un reale effetto positivo sull’ambiente in termini di risparmio delle emissioni di CO2. Mentre nel resto del mondo, in virtù delle modalità di produzione dell’elettricità meno virtuose rispetto all’Europa, i chilometraggi diventano estremamente più alti se non addirittura irraggiungibili, rendendo l’elettrica più inquinante di un’ibrida ma anche di una termica ad alta efficienza.

A distanza di mesi da quell’inchiesta, Volvo – il costruttore che ha preso maggiormente a cuore il valore della trasparenza circa le emissioni generate dalle sue auto nell’intero ciclo di vita del prodotto – ha pubblicato uno studio ufficiale che, sostanzialmente, arriva a conclusioni analoghe.

Lo studio della casa svedese mette a confronto tre modelli. Uno alimentato a benzina, la XC40, e due 100% elettrici: la XC40 Recharge e la C40 Recharge, versione coupé della XC40 Recharge, che beneficia di una migliore aerodinamica per via delle forme più sportiveggianti della carrozzeria.

Il report del costruttore tiene conto delle emissioni generate durante la fase produttiva – la spina nel fianco delle auto elettriche, che arrivano sul mercato con un “debito” molto elevato di CO2 da recuperare rispetto alle termiche/ibride, assai meno impattanti in fase di assemblaggio; la stessa Volvo sostiene: “La produzione e la raffinazione dei materiali, l’assemblaggio e la produzione di moduli batteria di una C40 Recharge si traducono in emissioni di gas serra di quasi il 70% superiori rispetto a quelle generate durante la costruzione di una XC40 a benzina” – e di quelle che derivano dall’utilizzo ricaricando con elettricità europea (il mix di fonti europeo per la produzione di elettricità, come detto, è il più pulito al mondo). In sostanza, i dati di Volvo indicano che la XC40 Recharge, cioè quella elettrica, deve percorrere circa 80 mila chilometri prima di iniziare a dare reali benefici in termini di risparmio di CO2 emessa rispetto alla XC40 termica.

Tuttavia, se ci si basa sul mix di fonti mondiale per la produzione di elettricità (che è meno green di quello europeo), allora il chilometraggio dopo cui l’auto elettrica ha un saldo di CO2 più sostenibile rispetto alla termica sale a 115.000 km. È bene specificare che il grafico Volvo riporta i valori di 77 mila e 110 mila km come break even points perché per la comparazione col modello termico viene fatta usando la C40 Recharge (anziché la XC40 Recharge): quest’ultima, tuttavia, come detto beneficia di una migliore aerodinamica in virtù delle differenti forme della carrozzeria. Infatti, su 200 mila km di vita stimata del prodotto, la C40 Recharge genera 2 tonnellate di CO2 in meno rispetto alla XC40 Recharge, pur avendo la medesima meccanica elettrica. Dopo tali soglie, con l’attuale mix energetico europeo, su un chilometraggio totale di 200 mila chilometri, l’elettrica consente di risparmiare 7 tonnellate di CO2 rispetto alla termica (9 sulla C40 Recharge). A tal proposito, vale la pena ricordare che l’automobilista europeo medio percorre circa 12 mila km l’anno.

L’inchiesta del Fatto Quotidiano concludeva che un veicolo elettrico avrà senso ambientale “solo quando l’auto e la sua batteria saranno costruite con energia quanto più possibile derivata da fonti rinnovabili, che dovranno quindi essere diffuse su larga scala. Ciò consentirà di avere soglie di pareggio chilometrico più abbordabili”. Un concetto, anche in questo caso, estremamente simile a quanto esprime Volvo: “Abbiamo bisogno che i governi e le aziende energetiche di tutto il mondo aumentino i loro investimenti nell’energia pulita e nelle relative infrastrutture di ricarica, in modo che le auto completamente elettriche possano davvero mantenere la loro promessa di una mobilità più pulita”, spiega in una nota ufficiale Håkan Samuelsson, numero uno della marca svedese.

Vale la pena sottolineare che tutto quanto sopra esposto vale per l’Europa o, al massimo, se si tiene conto del mix globale di fonti energetiche. Ma nel resto del mondo e specialmente in Cina, primo mercato automobilistico globale e primo per penetrazione di veicoli elettrici – e dove produrre 1 kWh di energia elettrica comporta l’emissione di una quantità di CO2 più che doppia rispetto a quanto avviene in Europa – i punti di pareggio chilometrico diventano di fatto irraggiungibili, col risultato che l’elettrica nel corso della sua vita finisce per inquinare più della termica (e dall’Asia arriva la maggior parte delle batterie delle vetture elettriche).

Purtroppo, gli ultimi appuntamenti internazionali, come il G20 o la Cop26, hanno messo in evidenza come i grandi inquinatori del mondo – fra cui la Cina – non abbiano grande urgenza di rendere più green la loro produzione energetica. Anzi. Tutto ciò, ancora una volta, dimostra come l’adozione affrettata dell’auto elettrica difficilmente comporterà benefici ambientali finché le politiche energetiche globali non cambieranno radicalmente.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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