Perché la crisi energetica colpisce forte i paesi europei. Quali conseguenze?

Articolo del 05 Ottobre 2021

L’impennata dei prezzi del gas può mettere alle strette milioni di famiglie e imprese europee. Cosa sta succedendo e perché è così grave per Bruxelles.

L’Eurogruppo è un organo informale che riunisce i ministri delle Finanze dei 19 paesi dell’area euro, alla vigilia della riunione a 27 con gli altri colleghi Ue. Sul suo tavolo approdano soprattutto dossier tecnici sulle politiche economiche di Bruxelles. Quello che ha dominato l’incontro del 4 ottobre, in Lussemburgo, è sembrato un po’ meno usuale: la cosiddetta crisi energetica, l’impennata dei prezzi del gas naturale che minaccia di far esplodere in inverno i prezzi di elettricità e riscaldamento in tutta Europa.

I ministri europei sono allarmati prima di tutto dall’impatto sulle bollette dei cittadini, con rincari che rischiano di mettere alle strette ampie fasce di consumatori e, in alcuni casi, le stesse aziende che forniscono il servizio. Ma l’emergenza può ripercuotersi anche sui budget nazionali che dovranno essere sottoposti alla Commissione entro il 15 ottobre, minandone le attese di crescita, oltre a contribuire alla fiammata inflazionistica già in corso sull’economia Ue.

Cosa sta succedendo con il gas naturale? Perché crescono i prezzi?

I prezzi del gas naturale sono schizzati all’insù in Europa, con picchi di 100 euro per Megawattora (MWh) in Europa: un prezzo mai raggiunto prima e quasi quintuplicato dall’inizio del 2021. L’aumento, come scritto sopra, sta provocando il timore che l’inflazione si scarichi sulle bollette dei consumatori e delle aziende, a maggior ragione con l’arrivo dei mesi più freddi dell’anno.

La crisi che affligge il mercato europeo dipende, a sua volta, da una congiuntura particolarmente sfavorevole a livello globale. «Tutto quello che poteva far alzare i prezzi, sta succedendo adesso» spiega Simone Tagliapietra, ricercatore del think tank europeo Bruegel. Nel dettaglio, la ripresa delle attività economiche dopo i mesi di lockdown più rigidi ha provocato uno sbilanciamento fra una domanda in impennata e un’offerta incapace di soddisfarne i bisogni.

Sul versante della domanda, spiega Tagliapietra, la richiesta di gas naturale è sotto pressione perché «si sta assistendo a una ripresa economica sotto i precedenti e questo ha fatto crescere la domanda in modo molto netto. Paesi come Brasile, Cina e India hanno più bisogno che mai di gas naturale».

Sul versante dell’offerta, le disponibilità effettive di materia prima si trova a essere compressa sia dall’impennata di domanda da parte dei singoli paesi, sia dal rinvio (o dalla rinuncia) in tempi di pandemia a investimenti che avrebbero potuto rinforzarne l’output complessivo.

Insomma: sempre più paesi scalpitano per aggiudicarsi una risorsa che non è stata alimentata come si sarebbe potuto a causa del Covid-19, perdendo mesi preziosi per ampliare le linee produttive e prevenire carenze come quella sofferta oggi. L’esito è che i paesi produttori, dal Qatar alla Russia, possono permettersi di ritoccare al rialzo i prezzi e «vendere al migliore offerente», spiega Tagliapietra.

La crisi è ancora più aspra per l’economia europea, stretta in una tenaglia fra il suo utilizzo effettivo di gas naturale e una capacità produttiva sempre più ridotta. Secondo dati Eurostat, il braccio statistico della Ue, la risorsa incide per quasi un quarto dell’energia utilizzata (23,1%) ma la generazione di gas naturale «made in Europe» si è contratta del 49,4% fra 2009 e 2019. L’Olanda, uno fra i paesi centrali per il settore, ha confermato che sospenderà entro il 2022 le attività del suo stabilimento di Groningen, arrivato a sfiorare negli anni ’70 del secolo scorso una produzione di 90 miliardi di metri cubi di gas.

Il gap fra consumi e produzione lascia l’Europa in balìa delle fluttuazioni di prezzo del gas importato, una condizione che può diventare ancora più problematica se si somma ad altri fattori sfavorevoli. È esattamente quello che è successo nel 2021, con un insieme di elementi che non hanno fatto altro che aggravare la situazione: una domanda spinta da un inverno più lungo e freddo delle attese e un’estate rovente nel 2021, con l’aumento dei consumi per riscaldamento e condizionatori in fasi diverse dell’anno; la crescita dei costi per l’emissione di CO2, con il suo effetto leva sull’uscita dal carbone; una produzione deludente di energia eolica, dovuta a un’estate meno ventosa delle attese nei paesi Ue che hanno investito con più decisione sul segmento. Una specie di «tempesta perfetta», come la chiama Tagliapietra, dove tutto sembra spingere perché i prezzi salgano e e penalizzino proprio il mercato europeo.

Più ci si avvicina all’inverno e più la preoccupazione sale, perché si teme che le riserve possano essere inadeguate. Il gas attualmente stoccato in Europa, secondo il portale Aggregated gas storage inventory, corrisponda al 75% rispetto alla capacità complessiva. Un anno fa si viaggiava a circa il 20% in più.

E l’Italia quanto sarà colpita?

L’Italia potrebbe essere colpita con più irruenza della media, perché dipende dal gas naturale in misura ancora maggiore rispetto agli standard continentali. Secondo dati dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) il gas naturale incide per valori «poco inferiori al 40%» sul mix di energia primaria: un valore pari a quasi il doppio rispetto agli standard europei.

Da qui l’allarme per una crescita drastica delle bollette, quantificata inizialmente dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani in un balzo di oltre il 40% delle bollette dell’elettricità (e del 30% di quelle del gas). Il decreto d’urgenza approvato dal governo ha permesso di mitigare, ma non evitare del tutto l’exploit di costi sulle spalle di famiglie e imprese. Arera, l’autorità di regolazione per energia, reti e ambienti, stima che l’aumento nell’ultimo trimestre dell’anno sarà pari “solo” al 29,8% per la bolletta dell’elettricità e al 14,4% per quella del gas.

Si parla della Russia… Che ruolo gioca?

La Russia è fra i principali fornitori del gas per l’Europa, con un’incidenza del 40% sulle importazioni complessive. Oggi sta rispettando i suoi contratti, ma non sembra particolarmente incline a fare sforzi per soddisfare una domanda europea in crescita e schiacciata dalla crescita esorbitante dei prezzi. Anzi. Ad agosto 2021, secondo l’emittente statunitense Cnbc, il flusso di gas naturale nella gasdotto Russia-Europa Yamal è sceso da 49 milioni di metri cubi a luglio a 20 milioni di metri cubi a metà agosto. Un ulteriore tonfo rispetto alla media di 81 milioni di metri cubi al giorno.

Oggi non si sta mostrando collaborativa rispetto alle forniture che potrebbe garantire all’Europa. In una nota, l’Agenzia internazionale dell’energia (International energy agency) ha dichiarato che «la Russia potrebbe fare di più per aumentare la disponibilità di gas in Europa e assicurare che lo stoccaggio sia riempito fino a livelli adeguati per l’inverno in arrivo». Questa, ha aggiunto l’agenzia, «è un’opportunità per la Russia di sottolineare le sue credenziali come un fornitore affidabile per il mercato europeo».

Il Cremlino potrebbe avere altri piani. L’atteggiamento di Mosca viene letto come una forma di pressione per incassare il via libera dell’authority tedesca Bundesnetzagentur all Nord Stream 2, il progetto di un gasdotto che dovrebbe saldare Russia e Germania, trasportando gas naturale senza passare per l’Ucraina.

La linea, frutto di un investimento da 11 miliardi di dollari della russa Gazprom, ha scatenato più di una controversia rispetto all’attuale politica energetica della Ue (che ha dichiarato «non necessario» il collegamento) e attirato pesanti critiche degli Usa, convinti che il gasdotto aumenti la dipendenza dell’Europa dal gas russo. La Bundesnetzagentur ha quattro mesi di tempo, a partire dall’8 settembre 2021, per completare le ispezioni e rilasciare o meno una certificazione. Una bozza del verdetto sarà poi sottoposta alla Commissione europea.

E la Ue come vuole reagire alla crisi energetica?

L’Eurogruppo del 4 ottobre è ruotato proprio intorno alla crisi energetica, in un clima di allarme che dà la misura di quanto l’emergenza sia condivisa fra gli stati membri. Francia e Spagna, con l’appoggio dell’Italia, hanno chiesto la creazione di riserve strategiche di gas per coordinare gli acquisti e di scollegare il prezzo dell’elettricità da quello del gas. Nel primo caso si parlerebbe di una regia centralizzata per gli acquisti di gas, simile a quella sperimentata con l’approvvigionamento di vaccini durante la crisi del Covid-19. Entro la fine di ottobre la presidente della Comissione, Ursula von der Leyen, avanzerà una proposta d’insieme per la Ue, attingendo anche alle proposte che stanno emergendo fra i singoli stati membri.

Alcuni Paesi, però, hanno cercato di spingersi oltre e toccare anche la composizione del mix energetico della Ue. La stessa Francia ha chiesto di rimettere sul tavolo la produzione nucleare, con il pressing del ministro Bruno le Maire perché l’ipotesi torni in primo piano fra i 27. Il nucleare, ha detto, è «una delle risposte chiave che possiamo dare a questa situazione» e potrebbe essere decisivo per «avere successo nella lotta al cambiamento climatico». Una linea appoggiata anche dal vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovksis, che ha definito «importante» la scelta di riconoscere il «ruolo del nucleare come energia a basse emissioni di carbonio nel mix energetico complessivo e nel nostro sforzo di decarbonizzazione».

 

Fonte: 24+ de IlSole24Ore

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS