Protesi come braccia, per sentire oggetti e percepire il movimento

Articolo del 06 Settembre 2021

La sedicesima edizione dei giochi paralimpici si è appena conclusa, e l’Italia porta a casa 14 ori e una sessantina medaglie totali. Fra i trionfi più in vista quello della scherma di Beatrice (Bebe) Vio, una ragazza di 24 anni che ha subito l’amputazione di entrambe le gambe e gli avambracci all’età di 11 anni a causa di una meningite fulminante. La campionessa fa uso di protesi transradiali (con innesto al di sotto del gomito) che però non le consentono di sentire il tatto, la pressione o il movimento, oltre a quello che lei può percepire attraverso la presa rigida con il suo arto residuo. Una nuova tecnologia sviluppata al laboratorio di integrazione bionica della Cleveland Clinic e descritta in un articolo su Science Reports consente invece di realizzare le prime protesi degli arti superiori che coniugano pensiero, controllo del movimento e percezione sensoriale dello stesso, ovvero tutti quei processi che avvengono in modo naturale e automatico in una persona senza amputazioni.

“Beatrice Vio usa mani convenzionali transradiali mioelettriche per la vita quotidiana, e una protesi speciale per la scherma. La sua mano si apre e si chiude con un segnale mioelettrico raccolto da elettrodi di superficie sui muscoli dell’avambraccio” spiega a Galileo Paul Marasco, neuroscienziato della Cleveland Clinic a capo del laboratorio dove sono state studiate le nuove protesi e primo autore dello studio. “Quando tira di scherma, usa un braccio che monta il suo fioretto direttamente su una presa speciale, senza controllo del movimento o feedback sensoriale, ma che lascia il gomito più libero di muoversi di una tipica presa transradiale”.

Protesi a confronto

Le principali difficoltà legate alle protesi attualmente diffuse sono la mancanza di un controllo naturale e fine del movimento, e la mancanza di sensazioni, sia tattili che di movimento. La percezione di dove si trovano i nostri arti nello spazio e di cosa stanno facendo è così fondamentale e naturale che è facile darla per scontata, ma senza di essa gli amputati devono guardare le loro mani per tutto il tempo mentre le usano, anche solo per sapere dove sono e se stanno ancora tenendo un oggetto. Il nuovo studio dimostra che essere in grado di sentire, così come avere un controllo intuitivo e naturale di più articolazioni e movimenti, aiuta i pazienti ad agire in modo più naturale, con un miglioramento significativo sia in termini di qualità della vita quotidiana che di prestazioni sportive.

Le protesi ideate dagli scienziati e dagli ingegneri della Cleveland Clinic – e testate su due pazienti cui era stato amputato il braccio in un caso, e anche la spalla nel secondo – incorporano un nuovo sistema robotico che si interfaccia con la pelle e con i muscoli rinnervati chirurgicamente per fornire ai pazienti una sensazione naturale di tocco e movimento.

“La parte più innovativa dello studio non sono le braccia bioniche – prosegue Marasco – ma la metrica che abbiamo sviluppato per dimostrare che si integrano efficacemente con il cervello. Prima d’ora, non era stato possibile dimostrare che questi dispositivi funzionano meglio di un braccio protesico tradizionale. Questi nuovi risultati aiuteranno a dimostrare ai medici e ai finanziatori che le tecnologie avanzate forniscono effettivamente miglioramenti funzionali e, quindi, che vale la pena attuare uno sforzo perché essi siano resi più disponibili”.

Ritrovare la percezione del tatto

Gli aspetti caratterizzanti del nuovo braccio bionico, dunque, sono la possibilità di fornire un feedback tattile innato e la percezione del movimento. Diversamente da quanto avviene con una normale protesi e nel caso in cui nessuno dei muscoli adibiti a muovere una particolare articolazione rimanga dopo l’amputazione, il nuovo sistema garantisce un controllo intuitivo del movimento innescato semplicemente pensando di muovere le articolazioni robotiche. Inoltre, tutti i diversi sistemi lavorano di concerto in un unico arto, funzionando come un corpo armonico in grado di muoversi e comportarsi in modo naturale.

“Il nostro studio dimostra che quando il tatto e la sensazione di movimento sono naturali e concordano con ciò che la persona vede accadere alle sue braccia – dice Marasco – questo le consente di sentire l’arto protesico come parte di sé, allo stesso modo di una persona con arti intatti: questo meccanismo si chiama embodiment”.

I nuovi arti hanno la sensazione del tatto in sei punti diversi, e la sensazione di movimento con un solo grado di libertà (apertura/chiusura della mano), mentre non hanno un feedback di tatto continuo su tutte le superfici come la pelle, né un feedback di movimento in ogni articolazione, e infine contano meno articolazioni di una mano intatta.

Una tecnologia accessibile?

Per utilizzare le protesi ideate dalla Cleveland Clinic bisogna passare attraverso un intervento chirurgico di reinnervazione mirata disponibile per quasi tutti gli amputati, poiché utilizza i nervi e la pelle che ogni paziente già ha. Si tratta, fra l’altro, di uno standard comune di cura per trattare una condizione dolorosa post-amputazione chiamata neuroma, a cui sarebbe necessario applicare solo piccole modifiche per garantire il controllo e il potenziale feedback. Tale trattamento, inoltre, può anche essere eseguito molti anni dopo il momento dell’amputazione, e non ci sono ragioni per cui qualunque paziente non possa potenzialmente accedervi in futuro, dicono gli scienziati. Tutte le protesi però, per definizione, sono personalizzate in una certa misura, e possono rappresentare una spesa sostanziale per l’utente se non sono coperte dall’assistenza sanitaria.

“Penso che offrire braccia più capaci, e che quindi hanno più probabilità di essere indossate poiché permettono agli utenti di tornare in modo più soddisfacente e funzionale ai loro stili di vita, dovrebbe costituire un forte incentivo a coprire qualsiasi aumento dei costi per i fornitori di assistenza sanitaria”.

 

Fonte: Galileo

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