Vaccino AstraZeneca, cosa sappiamo finora sulla sua efficacia e sulla sicurezza

Articolo del 15 Marzo 2021

Prima i problemi sui trial clinici, poi le autorizzazioni per classi di età continuamente aggiornate, infine i dubbi sulla sicurezza di alcuni lotti.
La fiducia nei vaccini sta aumentando quasi ovunque nel mondo, secondo la rilevazione ( dell’Imperial College di Londra, che da mesi monitora la propensione dei cittadini di 15 paesi a vaccinarsi. Gli ultimi dati, relativi al periodo compreso tra novembre 2020 e febbraio 2021, indicano infatti che il 58% degli oltre 13.000 interpellati (un migliaio dei quali italiani) è pronto a vaccinarsi: un dato molto migliore rispetto all’autunno, e una media che non mostra che in 11 paesi c’è stato un aumento almeno di 9 punti, e che in 7 paesi il balzo è stato addirittura di 20 punti.
Anche Francia, Singapore e Giappone, che restano tra i più scettici, sono oggi rispettivamente al 40, 48 e 48% rispetto al 25, 36 e 39% di novembre. Inoltre non ci sono particolari timori per gli effetti collaterali, che preoccupano meno di una persona su due (attorno a 6 su 10 nei tre paesi scettici).
A fronte di questo, però, secondo l’ultimo rapporto GIMBE, i vaccini AstraZeneca utilizzati sono meno del 30% di quelli disponibili, in Italia. Come mai? Quanto è dovuto a strozzature logistiche, e quanto a sfiducia in questo specifico vaccino? Perché questo preparato attira diffidenza, anche se assicura esiti sovrapponibili a quelli degli altri due, e a quelli di un vaccino che dovrebbe arrivare a giorni, e verso il quale c’è grande apertura, quello di Johnson & Johnson-Jannsen? Quanto sono fondate le preoccupazioni?
Per capire come stanno esattamente le cose, è indispensabile separare i diversi aspetti: un conto è la reputazione dell’azienda, che lei stessa, coadiuvata talvolta dagli esperti di Oxford, ha fatto di tutto per demolire, e un altro conto sono i numeri oggi disponibili, di certo più completi e convincenti rispetto a qualche mese fa.

Il peggio di Big Pharma

Da quando si è capito che la strada scelta da AstraZeneca e dai virologi dell’Università di Oxford, con il supporto dell’IRBM di Pomezia, poteva essere quella giusta, l’azienda ha tenuto una serie di comportamenti che hanno attirato le critiche e la perplessità di gran parte della comunità scientifica e dell’opinione pubblica.
Ha scelto di studiare il suo vaccino su tre campioni di persone reclutate in Gran Bretagna, Sud Africa e Brasile, ma ha utilizzato protocolli in parte diversi, pretendendo poi di mettere insieme i dati. Ha modificato il dosaggio, dando luogo a una grande confusione su quelli ottimali e sull’intervallo da consigliare tra prima dose e richiamo, e tenendo un comportamento eticamente discutibile con chi partecipava al trial, mai avvisato del cambiamento avvenuto.
A fronte di specifiche richieste delle agenzie regolatorie, non ha mai acconsentito a condurre nuovi studi su altre popolazioni, progettati e portati a termine in modo più chiaro (e questo le è costato il no da parte dell’FDA).
Ha stipulato accordi con un’azienda cinese al centro, negli anni scorsi, di gravi casi di malpractice nella produzione di vaccini. Ha seguito il governo Johnson nel suo azzardo di vaccinare più persone possibili con una sola dose, decisione che ancora oggi divide e che, quando è stata presa, non aveva alcun supporto di dati.
Nel frattempo, ha lanciato una sperimentazione con il vaccino russo Sputnik V, e un’altra con quello Pfizer, prima di completare la conoscenza del suo.
Ha poi modificato l’entità delle spedizioni all’Unione Europea, con la quale aveva sottoscritto specifici contratti, salvo poi inviare vaccini prodotti in Europa ad altri paesi, come lo stop imposto da Mario Draghi alla partita australiana ha fatto emergere.
Alle condotte aziendali, che hanno restituito all’opinione pubblica l’impressione di un’azienda opaca, si è sommato poi l’affanno delle agenzie regolatorie.
Come la maggior parte dei paesi è costretta a inseguire Sars-CoV 2, così queste ultime spesso sono state costrette a correre dietro ai dati che di volta in volta venivano resi pubblici, e ad adattare le proprie indicazioni di conseguenza, e modificando i protocolli iniziali.
È il prezzo che si paga per procedimenti di revisione accelerati, nei quali le analisi dei dati vanno di pari passo con la produzione degli stessi. Ma l’opinione pubblica non conosce i dettagli di processi estremamente articolati. E ciò che percepisce è una ulteriore confusione che genera diffidenza, e che lascia dietro di sé il pensiero che ci siano verità nascoste, non di segno positivo.
Inoltre in alcuni paesi come la Francia e la Germania è molto sentita la questione degli effetti collaterali: non sono diversi da quelli emersi con i vaccini di Moderna e di Pfizer-BionTech, anche se sono probabilmente più frequenti, e si risolvono entro poche ore, ma hanno avuto maggiore visibilità, anche per prese di posizione da parte di esponenti del personale medico soprattutto francese, che hanno avuto grande visibilità.
In Svezia, due regioni hanno deciso di sospendere temporaneamente l’utilizzo dopo che circa un quarto del personale medico vaccinato con questo prodotto ha avuto manifestazioni simil-influenzali e in Normandia ci sono stati medici che si sono rifiutati di farsi vaccinare, chiedendo un prodotto Pfizer o Moderna.

Il paradosso dei numeri

Tutto ciò contrasta con i numeri che, paradossalmente, sono dalla parte di questo vaccino per quanto riguarda l’efficacia, mentre negli ultimi giorni sono emersi dubbi sulla sicurezza di alcuni lotti, via via che aumenta l’immunizzazione di milioni di persone – in primis gli abitanti della Gran Bretagna – i dati provenienti dalla popolazione reale (di real life) confermano la grande efficacia del prodotto di Astra Zeneca, anche per quelle popolazioni originariamente non incluse negli studi clinici.
È di pochissimi giorni fa la pubblicazione, su MedRXiv e quindi in attesa di revisione – dei dati forse più attesi: quelli su ricoveri e decessi nella popolazione over 70 – 7,5 milioni di vaccinati – usciti poche settimane dopo quelli relativi alla popolazione dell’intera Scozia, altri 5,4 milioni di persone, ai quali si sono aggiunte affermazioni – per ora non supportate da dati – sull’efficacia contro la variante brasiliana.
Nel primo caso i numeri contengono un confronto molto interessante, quello di una dose di AstraZeneca con una o due dosi del vaccino di Pfizer/BionTech negli anziani, e la prima valutazione dell’efficacia contro la cosiddetta variante inglese, ormai prevalente. I numeri relativi agli over 65 sono più che confortanti: con Pfizer, negli over 80 l’efficacia è del 70% a un mese dalla prima dose, e diventa dell’89% due settimane dopo la seconda.
Ciò conferma, tra l’altro, la necessità di fare anche il richiamo, per i vaccini a RNA.Per gli over 70, con Pfizer dopo un mese si raggiunge il 61%. Con AstraZeneca si ottiene un risultato simile (60%) che, però, sale al 73% dopo 35 giorni dalla prima dose.
L’effetto protettivo è particolarmente spiccato nei confronti dell’aggravamento della malattia: chi è stato vaccinato con una dose di Pfizer ha una riduzione addizionale del 43% del rischio di essere ricoverato d’urgenza e un addizionale 51% di riduzione del rischio di morte; con Astra Zeneca per ora è noto il rischio di ricovero, che cala di un addizionale 37%, mentre per quello di morte bisognerà attendere. In media, una dose di vaccino (quale che sia) negli over 70 previene l’80% dei ricoveri, e l’85% dei decessi.
Ecco perché le agenzie regolatorie stanno innalzando i limiti di età (lo hanno già fatto quelle di Germania, Francia, Austria e Italia): oggi sono disponibili dati che non c’erano prima, visto che le sperimentazioni si fermavano ai soggetti che avevano 55 anni.
L’altra ottima notizia è che si vede una “chiara protezione” anche nei confronti della variante inglese. Pochi giorni prima erano stati pubblicati, sempre come preprint, su Lancet, i dati scozzesi che avevano anch’essi mostrato un calo dei ricoveri dell’85% a un mese dalla vaccinazione con Pfizer, valore che saliva al 94% nel caso di AstraZeneca, e che era confermato anche analizzando solo la popolazione degli ultraottantenni.
Per quanto riguarda le varianti, è stato ancora MeRXiv a pubblicare i dati su quella sudafricana. In questo caso è stato condotto uno studio in doppio cieco contro placebo, con due dosi distanziate di un mese, su oltre 2.000 persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni.
Il risultato è che il vaccino è poco efficace contro le forme lievi di Covid dovute alla variante sudafricana, anche se l’efficacia del vaccino contro le forme gravi non è stata determinata. Ma quel vaccino non viene più proposto in Sud Africa.
Notizie migliori sono arrivate dall’Università di Oxford sulla temutissima variante brasiliana, capace di reinfettare anche chi ha già avuto il Covid e contro la quale il vaccino cinese di Sinovac è inefficace: secondo quanto dichiarato per ora alla Reuters, il vaccino di AstraZeneca sarebbe ancora attivo e capace di bloccare la malattia. Non sono stati forniti numeri, che dovrebbero essere resi noti entro la fine di marzo.
Le ultime raccomandazioni dell’OMS contengono la maggior parte di questi dati (sono state stilate dopo un aggiornamento dell’8 febbraio) e sottolineano le lacune ancora esistenti (cioè quali sono le popolazioni per le quali non esistono studi come, per esempio, le donne in gravidanza o le persone colpite da malattie autoimmuni).
In Italia AIFA deve ancora pubblicare il bollettino della Farmacovigilanza relativo al mesi di febbraio, e quindi con i primi dati sulle reazioni avverse (il primo, relativo a gennaio, era riferito solo a Moderna e Pfizer-BionTech).
Al netto delle tante domande che attendono risposte che arriveranno nei prossimi mesi, un dato, su tutti, conferma l’efficacia del vaccino AZD1222: l’RT in Gran Bretagna è crollato ed è ora a 0,7-0,9 e ogni giorno il numero di infetti scende del 3-5%.

Cosa sappiamo sulla sicurezza

Per quanto concerne la sicurezza, invece, le cose si sono complicate nelle ultime ore. In base ai dati dell’EMA, ottenuti dagli oltre 23.000 partecipanti agli studi, e non quindi alle vaccinazioni fatte da allora, gli effetti collaterali colpiscono circa un vaccinato su due, e si risolvono entro 24-48 ore.
Nel dossier sono citati tensione (63,7%) e dolore (54,2%) nel sito di iniezione, mal di testa (52,6%), malessere (44%), affaticamento (53,1%), dolore muscolare (44,2%), brividi (31,9%), dolore alle articolazioni (26,4%) innalzamento della temperatura (33,6%) e febbre oltre i 38°C (7,9%) e nausea (21,9%).
In base alla classificazione della stessa EMA, le reazioni molto comuni (cioè presenti come minimo in una persona su 10) sono quelle gastrointestinali, quelle muscoloscheletriche, quelle del sito di iniezione e quelle sul sistema nervoso, mentre le altre sono poco o pochissimo comuni.Per quanto riguarda i dati italiani, è presto per esprimersi.
L’ultimo rapporto AIFA contiene infatti dati solo su pochi vaccinati, il 3% del totale, e riporta un tasso di 326 eventi ogni 100.000, contro i 769 di Pfizer e i 333 di Moderna, e non emergono per ora specificità legate a questo vaccino.
Non sono comunque emerse, per ora, criticità diverse da quelle attese, né ci sono stati decessi attribuibili a (nessun tipo di) vaccino.Anche se non c’è alcuna indicazione in tal senso, grazie al passaparola e al consiglio di qualche medico molti di coloro che stanno per essere vaccinati assumono paracetamolo, per limitare l’infiammazione. Le reazioni sono peggiori con la prima inoculazione, e più sfumate con il richiamo.
Fin qui l’andamento generale. Ma alcuni lotti sono stati sospesi per indagare su possibili effetti gravi, e questo ha scatenato una reazione di allarme generalizzato in Europa.
Scrive AIFA: «A seguito della segnalazione di alcuni eventi avversi gravi sopraggiunti in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi appartenenti al lotto ABV2856, AIFA ha deciso, in via precauzionale, di emettere un divieto di utilizzo di tale lotto su tutto il territorio nazionale e si riserva di prendere ulteriori provvedimenti, ove necessario, anche in stretto coordinamento con l’EMA, agenzia del farmaco europea».
La decisione di AIFA arriva dopo altre sospensioni decise dalle agenzie nazionali di Danimarca e Austria, seguite da Estonia, Lituania, Lettonia e Lussemburgo per un altro lotto, l’ABV5300, arrivato in 17 paesi.
Il caso austriaco è relativo al decesso di una donna per trombocitopenia: una grave reazione di cui sono stati segnalati 22 casi in Europa (su 3 milioni di vaccini), e già emersa con gli altri vaccini, cui sono attribuibili una quindicina di decessi negli USA, anche se mancano prove definitive del nesso.
Il rischio di trombocitopenia è molto diverso dai motivi che hanno indotto, qualche giorno fa, la Svezia a sospendere l’uso di questo vaccino: in quel caso si è voluto approfondire i dati relativi alle reazioni più lievi. La Svezia, pur essendo il paese di AstraZeneca, al momento non ha esteso le indicazioni agli over 65.Per lo stesso tipo di preoccupazione anche in Francia sta aumentando lo scetticismo.

Fonte: 24+ de IlSole24Ore

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