8 marzo di scienza: le donne della ricerca sui vaccini anti Covid

Articolo del 08 Marzo 2021

In tempi di pandemia la sofferenza è generalizzata, ma non uniformemente distribuita. Pensando alla ricorrenza dell’8 marzo, fa tristezza notare come una metà del genere umano sia decisamente più colpita dell’altra. Tutte le statistiche sono concordi nel mettere in luce quanto grande sia l’impatto della pandemia sulle donne. Mentre i femminicidi e la violenza domestica sono sempre una desolante presenza nelle cronache quotidiane, le lavoratrici rappresentano la maggioranza di coloro che hanno perso il lavoro. Ma anche le signore che hanno continuato la loro attività in modalità smart working, o, se preferiamo, agile, hanno dovuto affrontare difficoltà superiori a quelle dei colleghi maschi.
Con le scuole chiuse e la popolazione studentesca a casa in DAD, è toccato per lo più alle mamme occuparsi dei figli, dedicando loro tempo e attenzione a detrimento dell’attività lavorativa. Nel gioco di incastri tra incombenze lavorative e domestiche, è stata irrimediabilmente compromessa la sfera personale perché, per fare fronte a tutto, moltissime sono state costrette ad allungare i loro orari, magari riducendo le ore di sonno.

Donne e ricerca: cosa ha cambiato la pandemia

In effetti, la percezione di vivere in un mondo senza orari, dove si dà per scontato che tutti siano sempre disponibili, è una lamentela comune a uomini e donne, ma sono le donne le più penalizzate dal multitasking tra casa e lavoro. È diffusa la sensazione che non si lavori da casa ma, piuttosto, si viva in ufficio. E in ambiti competitivi, come nel mondo della ricerca, la pandemia ha esacerbato situazioni di disparità già esistenti, andando a colpire specialmente le giovani mamme.
Nel diluvio di lavori scientifici dedicati al COVID, è stato notato da più parti che la percentuale di articoli con primo autore donna è minore rispetto alle medie. Anche la percentuale di domande di finanziamento con donne responsabili del gruppo di ricerca proponente è inferiore ai valori raggiunti in precedenza.

Le donne che hanno dato vita ai vaccini anti Covid-19

In questa situazione di sofferenza, solleva lo spirito notare che c’è un campo assolutamente vitale in questo momento della nostra storia che registra una decisa maggioranza femminile. Stiamo parlando della ricerca sui vaccini, dove le donne, spesso con storie di emigrazione alle spalle, hanno un ruolo determinante.
Ci sono donne, con le loro idee, le loro ricerche e la loro determinazione, dietro i vaccini sviluppati a tempo di record da case farmaceutiche grandi e piccole.
Partiamo da Katalin Kariko, una signora sessantenne nata in Ungheria ed emigrata avventurosamente negli Stati Uniti per lavorare sullo mRNA. Gli inizi sono stati difficili, con enormi problemi per trovare i finanziamenti, perché nessuno credeva nelle potenzialità dello mRNA, ma Katalin non ha mollato. Adesso è vicepresidente di BioNTech RNA Pharmaceuticals e c’è la sua ricerca alla base del vaccino sviluppato in collaborazione con Pfizer. Il suo contributo è talmente importante che sono in molti a pensare che il suo straordinario lavoro meriterebbe il premio Nobel.
Ovviamente, Katalin non ha lavorato da sola. La BioNTech è stata fondata da una coppia di scienziati di origine turca, figli di immigrati in Germania: lei è Özlem Türeci, un’immunologa che è membro del consiglio d’amministrazione e responsabile della ricerca, lui è Ugur Sahin, l’amministratore delegato dell’azienda. Grazie ai loro successi, che hanno portato alla creazione di anticorpi monoclonali contro il cancro all’esofago e ora al vaccino contro il Covid-19, sono una delle coppie più ricche della Germania.
Alla Pfizer, il capo della ricerca sui vaccini è Kathrin Jansen, una tedesca immigrata negli Stati Uniti che ha collaborato strettamente con Katalin Kariko e altre 650 persone, incontrate grazie a innumerevoli meeting via Zoom.
Katalin Kariko è stata inutilmente corteggiata da Moderna, il cui fondatore è rimasto folgorato dalle potenzialità dello mRNA. Il vaccino si è rivelato molto efficace grazie ai test clinici coordinati con grande successo da Lisa Jackson.
Anche dietro il vaccino sviluppato da AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford c’è una donna: Sarah Gilbert, professore di Vaccinologia a Oxford. Madre di famiglia cinquantenne, si è dedicata anima e corpo allo sviluppo del vaccino, iniziando a lavorare tutte le mattine alle 4.
La storia che trovo più coinvolgente è però quella di Nita Patel, la scienziata artefice del vaccino sviluppato da Novavax, una ditta che stava fallendo prima che il programma del governo americano per il finanziamento eccezionale dei vaccini le portasse nuova vita. Nita Patel è nata in un piccolo villaggio dell’India rurale e, quando era bambina, suo padre si ammalò di tubercolosi. Sopravvisse, ma le sue capacità di lavoro limitate fecero piombare la famiglia nella povertà e la piccola decise che sarebbe diventata medico per trovare il vaccino contro la tubercolosi. Emigrata negli Stati Uniti, Nita è diventata la punta di diamante di Novavax, dove ha sviluppato un vaccino innovativo, basato sull’utilizzo di larve di tarme, che è in fase di test e sembra promettente.
E la lista delle donne coinvolte nello sviluppo dei vaccini potrebbe continuare, perché sono proprio tante le ricercatrici che hanno dato un contributo importante in questo campo. Forse la presenza di donne di talento ne attira altre, a formare gruppi di ricerca coesi e produttivi. Certamente, è una prova che le donne hanno moltissimo da offrire alla società.

 

Fonte: Sapere Scienza

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS