Armi non convenzionali di lotta al Covid parte II – La diagnostica vocale

Articolo del 15 Dicembre 2020

Grazie a una sofisticata intelligenza artificiale la app Voicewise è in grado di stabilire, con un’ottima approssimazione, se un soggetto è affetto da Covid (e non solo) semplicemente analizzandone la voce e alcuni colpi di tosse. Il “tampone vocale”, è dichiarato essere più affidabile, più rispettoso della privacy, meno costoso del tampone molecolare. Eppure se ne parla poco.

Continuiamo la carrellata di sistemi, metodi, invenzioni legate alla lotta al Covid-19 poco noti ma che si sono rivelati o potrebbero rivelarsi particolarmente importanti e utili.

Oggi parleremo di Voicewise, un sistema di screening sanitario basato sull’analisi della voce, nato con scopi diversi (un po’ come il gruppo dei 100000 medici di cui abbiamo parlato in un precedente articolo) ma che, per certi versi, è stata “prestato” all’attuale emergenza sanitaria.

Abbiamo intervistato il prof. Giovanni Saggio, ideatore e sviluppatore di questo progetto.

Ci può raccontare cos’è Voicewise?

Voicewise è un algoritmo che replica sostanzialmente ciò che fa il medico quando appoggia l’orecchio sulla schiena del paziente e gli fa dire “trentatrè”, soltanto che lo fa in modo molto più raffinato di quanto possa fare un orecchio umano. Voicewise analizza infatti la voce di un soggetto attraverso più di 6300 parametri: se alcuni di questi hanno valori al di fuori di un certo intervallo standard siamo in presenza di una patologia, e Voicewise ci può anche dire quale. Ogni malattia infatti, altera alcune specifiche caratteristiche della voce, in modo molto spesso impercettibile anche per l’orecchio più raffinato. Un microfono invece, che è molto più “sensibile”, ci consente di raccogliere frequenze e informazioni che altrimenti verrebbero perse; sta poi a Voicewise analizzarle e individuare eventuali anomalie.

Quindi un software in grado di farci una diagnosi in tempi rapidissimi….

Attenzione, precisiamo subito che l’analisi della voce non è di per sé una diagnosi, è un referto. È un referto come quello delle analisi del sangue, anche se misura moltissimi valori ed ha molti altri vantaggi: si può fare da remoto, è istantaneo e non è invasivo. È poi il medico che deve fare la diagnosi. Nessun algoritmo e nessun tecnico può farla.

Quindi, in sostanza, questa app è in grado di dirci, semplicemente registrando la nostra voce, se siamo positivi al Covid-19 oppure no?

Il Covid è più facile da diagnosticare rispetto ad altre malattie. Si insinua nei polmoni e nelle vie aeree per cui è intuitivo che possa causare dei cambiamenti della voce e della tosse.

Riguardo al caso specifico del Covid, abbiamo analizzato campioni di voce provenienti da 3 tipi di persone: positivi, negativi, clinicamente guariti. Abbiamo avuto un’accuratezza tra l’87% e l’89%.

Tenendo conto che l’accuratezza del tampone molecolare, da studi scientifici, varia dal 40 all’86%, vuol dire che l’analisi della voce è più performante.

Come si fa un test?

Facciamo dire al paziente delle frasi codificate e i giorni della settimana, oppure facciamo sostenere le vocali. Inoltre gli facciamo fare dei colpi di tosse. Non sono necessarie grandi tecnologie, basta uno smartphone con un buon microfono.

E come fate a capire che, l’alterazione di alcuni parametri è sintomatica di una precisa malattia?

Per ogni malattia di quelle che a oggi abbiamo studiato, abbiamo registrato la voce di persone affette da quella patologia, le abbiamo fatta analizzare dal software, in modo da riuscire a trovare quali parametri vengono modificati dalla malattia nel mare magnum degli oltre seimila.

Se abbiamo un caso di sospetto Covid (ma questo potrebbe valere benissimo anche per altre malattie) confrontiamo i suoi valori su alcuni parametri specifici con quelli delle voci dei malati del nostro database.

Quando avremo analizzato un numero più ampio di dati e di voci, in futuro, potremo fare uno screening ad ampio spettro su tante diverse patologie. Proseguo con l’analogia delle analisi del sangue: quando nelle analisi del sangue uno dei parametri va fuori scala, il medico sa che questo potrebbe indicare una patologia oppure un’altra. Ma il medico lo sa oggi perché sulle analisi del sangue sono state investigate un numero enorme di patologie. Il problema non sta nel referto quindi ma nel saper leggere il referto.

Il fatto di fare una sorta di check-up istantaneo e non invasivo rende più semplice anche il controllarsi frequentemente?

Già, perché potremmo controllare il nostro stato di salute semplicemente parlando al telefono. Oggi i medici ci suggeriscono di fare almeno un controllo all’anno ma purtroppo non tutti lo facciamo. Dobbiamo andare in ospedale e per pigrizia, superficialità o per mille altri motivi spesso ce ne dimentichiamo. Se in ospedale cerchiamo di andare il meno possibile, al telefono invece ci stiamo tutti i giorni. Io immagino che in futuro, chi vorrà, potrà installare una app che permetterà al telefono di mandare informazioni relative alla propria voce a un database in cui la sua voce verrà confrontata con quella di persone che hanno una qualsiasi patologia. E questo ci permetterebbe di supportare una diagnosi molto precoce. E sappiamo benissimo che prima interveniamo su una patologia, meglio è.

Ormai stiamo entrando nell’era della diagnostica attraverso screening vocale, che speriamo possa presto affiancarsi allo screening per immagini, ormai ampiamente consolidato nella comunità medico-scientifica.

Questo tipo di screening ha innumerevoli vantaggi: c’è un gruppo di ricerca in Portogallo che monitora da remoto costantemente i pazienti affetti da SLA analizzandone la voce; a Madrid un altro gruppo fa l’analisi della voce per l’Alzheimer….Ora, l’Alzheimer ha delle caratteristiche precise, come il biascicamento, l’allungamento delle vocali…la SLA compromette il funzionamento di tutti i muscoli, compresi quelli preposti all’articolazione della voce: il software è in grado di riconoscere molto prima che risultino udibili all’orecchio umano alcune di queste caratteristiche. All’importanza di diagnosticare la malattia precocemente si aggiunge quella monitorarne il decorso, di valutare l’efficacia delle terapie quotidianamente e supportare la valutazione della somministrazione e del dosaggio dei farmaci, tutte cose difficili da fare con altri metodi. Ma progetti e start up sullo screening vocale stanno prendendo piede un po’ ovunque…

Eppure in Italia siamo stati i primi. Facciamo un passo indietro e ci racconti di come è nata l’idea di Voicewise.

L’idea nasce nel 2009. Stavo collaborando con alcuni medici indiani che lamentavano la difficoltà nel fare diagnosi precoci, rapide ed economiche su due malattie estremamente diffuse in India che fortunatamente da noi sono quasi assenti: la febbre gialla e la tubercolosi. Ci siamo concentrati inizialmente sullo studio di queste due patologie e abbiamo sviluppato un software per l’analisi vocale. Abbiamo poi scoperto che questo era in grado di fare “diagnosi” molto più accurate dell’uomo, con un attendibilità prossima al 100%.

Visti i buoni risultati abbiamo pensato di farne un brevetto, che è stato donato all’università Tor Vergata di Roma. Quindi abbiamo pensato di applicare l’algoritmo anche per la diagnosi di altre malattie: è iniziata una collaborazione con il policlinico Tor Vergata, in particolare con il dott. Antonio Pisani, esperto di fama internazionale sul Parkinson (l’anno scorso ha vinto il Bachmann-Strauss Prize for Excellence in Dystonia Research della M.J. Fox Foundation). Lavorando per oltre tre anni su persone affette da questa malattia, ci siamo accorti che, attraverso l’analisi della voce, siamo riusciti a riconoscere la presenza della patologia nel 95% dei soggettde novo, cioè i malati al primissimo stadio della malattia, che non hanno ancora ricevuto cure farmacologiche e che sono i più difficili da diagnosticare.

Abbiamo poi lavorato assieme al dottor Antonio Suppa della Sapienza di Roma sulla disfonia, e anche in questo caso l’accuratezza delle informazioni utili a fare diagnosi è stata del 98%.

E quali sono i prossimi passi che prevedete per Voicewise?

Le applicazioni dello screening vocale o più in generale audio sono innumerevoli: stiamo sviluppando un progetto con l’università di Firenze riguardo al problema della guida in stato di ebrezza: se l’auto ci chiedesse di pronunciare una frase prima di metterla in moto, Voicewise sarebbe in grado di riconoscere subito se il guidatore ha bevuto o no.

Per rimanere nell’ambito delle droghe, anche l’antidoping (le cui analisi sono molto costose) potrebbe beneficiare dello screening vocale: le sostanze dopanti cambiano il livello ormonale delle persone che le assumono, rendendo la voce o più maschile o più femminile, dipende dal tipo di sostanza. Anche in questo ambito possiamo intervenire e sappiamo farlo.

E poi se vogliamo parlare di cose un po’ più curiose anche la stagionatura del formaggio potrebbe essere valutata da Voicewise: gli esperti caseari infatti capiscono se un formaggio è stagionato o no in base al suono che la forma emette quando viene percossa. È una “professione” che sta scomparendo ma che la nostra app potrebbe fare.

E poi c’è il riconoscimento delle esigenze di un neonato in base al tipo di pianto: alcune mamme con l’orecchio particolarmente raffinato possono intuire il motivo per cui un neonato piange, ma una app può farlo meglio. Avevamo iniziato una sperimentazione in questo ambito con un ospedale di Milano, ma poi causa Covid ci siamo dovuti temporaneamente fermare.

Già, torniamo al Covid. Da quanto ho capito il “tampone vocale” è più preciso, più immediato, meno invasivo del tampone molecolare “tradizionale”…

Il responso è istantaneo: le informazioni arrivano in cloud e sono analizzate in tempo reale. La risposta va poi al medico e il tempo che occorre ad avere un responso è quello che serve al medico per leggere i dati e fare la diagnosi.

Inoltre il nostro “tampone vocale” è geolocalizzante: se una persona autorizza a fare localizzare il suo smartphone, possiamo mappare la diffusione del covid e individuare la presenza di focolai, cosa che con il tampone non si può fare. Oltre a ciò, rispetta totalmente la privacy: chi fa l’analisi dei dati non conosce il nome delle persone, vede solo un codice.

Bene. E allora perché non se ne parla? Perché non lo si propone come alternativa o supporto al tampone tradizionale?

Durante la prima ondata abbiamo scritto una lettera aperta alla ministra Pisano in cui parlavamo del nostro algoritmo, ma non abbiamo avuto risposta.

Eppure, oltre alla sua, ci sono molte voci autorevoli che stanno collaborando allo sviluppo di questo progetto: oltre al già citato Antonio Pisano leggo nomi di medici ed ospedali importanti, Voicewise è stato il primo spinoff autorizzato ad usare il logo dell’Università Torvergata, è in atto una collaborazione con Huawei Italia…Insomma, non siamo in presenza di un progetto improvvisato di imbonitori che vendono un qualche intruglio miracoloso…

Ci piacerebbe essere interpellati dalle istituzioni, ma per ora nessuno si è fatto sentire. Collaboriamo attivamente con alcuni ospedali ma lo screening vocale sanitario si potrebbe usare su più ampia scala. Purtroppo, in Italia ci sono molti progetti validi, ma spesso nessuno li conosce. C’è interesse per le ricerche di italiani all’estero, piace sempre parlare di fuga di cervelli, ma dei cervelli che rimangono si parla poco.

Il problema è sempre il solito, mancano interesse e fondi per lo sviluppo della ricerca: l’Italia investe in ricerca meno della metà della media dei paesi europei. E questo non ci permette di investire su figure professionali specifiche che si interfaccino con media e istituzioni. Questo lavoro, che richiede tempo, dedizione ed energia, all’interno di Voicewise lo faccio io, assieme ai miei colleghi e collaboratori. Ma noi dovremmo usare il nostro tempo per ricercare, non per parlare della ricerca. All’estero queste figure ci sono: l’università di Cambridge ad esempio contatta una volta a settimana la Rai per fare conoscere le attività di ricerca che vengono svolte là. La Rai, che ci ha invitati a parlare di Voicewise ad un programma televisivo, è venuta a sapere per caso del nostro progetto. Questi piccoli episodi fanno riflettere. Non c’è un soggetto, non c’è una struttura o un ufficio preposto a questo nella mia università e penso nemmeno nelle altre, qui in Italia.

 

Fonte:   Oggi Scienza

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