Come il cervello riesce a renderci lettori formidabili in breve tempo

Articolo del 23 Gennaio 2022

Alcune persone sono capaci di «processare» in media 240 parole al minuto e i più rapidi 350. Un processo affascinante che può richiedere tempi di apprendimento diversi.

Nessun bambino ha bisogno di istruzioni per imparare a camminare o iniziare a parlare. Leggere invece è un processo che si apprende a scuola, a volte con fatica: quasi tutto ciò che facciamo richiede di saper interpretare segni scritti, ma decodificarli è un’abilità che ha del miracoloso. Come riesce il cervello a renderci in breve tempo lettori formidabili, capaci di leggere in media 240 parole al minuto (ma i più rapidi arrivano a 350)? È la domanda che si è posto Davide Crepaldi, docente di neuroscienze Cognitive alla Scuola internazionale di studi superiori avanzati di Trieste (Sissa): per rispondere l’esperto ha «smontato la macchinetta» che abbiamo in testa come se fosse una bici, descrivendo tutti i meccanismi noti nel libro «Neuropsicologia della lettura» (Carocci). «L’uomo nasce con strutture cerebrali pronte a imparare a parlare, basta essere esposti al parlato: i l linguaggio orale è un oggetto biologico emerso da un processo di selezione naturale attraverso mutazioni genetiche iniziate molto tempo fa, abbiamo insomma un hardware plasmato per comprenderlo e produrlo» spiega Crepaldi.

I passaggi dalla lettura al significato

«Non accade lo stesso con la lettura, che è comparsa molto tardi nell’evoluzione. Non esistono perciò strutture cerebrali dedicate alla lettura in senso stretto, ma circuiti che ben si adattano allo scopo e che reclutiamo quando impariamo a leggere, è la cosiddetta teoria del riciclaggio neuronale, che è stata estesa anche all’aritmetica». Così, per esempio, abbiamo disegnato i simboli linguistici in modo che fossero facilmente analizzabili dal sistema visivo che riconosce soprattutto le linee orientate: il corollario è che non tutto può diventare linguaggio scritto. Quali sono i passaggi con cui riusciamo a leggere una parola e a darle un significato? «Il primo è il riconoscimento visivo, ovvero i passi che portano dal momento in cui la parola compare agli occhi a quello in cui il cervello la riconosce come familiare, ma senza darle un significato: uno stadio che, è dimostrato, possono raggiungere anche altri primati, come i babbuini», racconta Crepaldi.

Memoria semantica

«Il secondo passo è la comprensione della parola, una fase in cui recuperiamo nel cervello informazioni che definiscono l’oggetto a cui il termine che abbiamo visto è associato. Si chiama memoria semantica e può essere abbinata a emozioni (le parole bacio o malattia evocano sensazioni ben diverse quando le leggiamo, ndr) o a concetti astratti: in questo caso le parole assumono un senso in relazione alle altre che tipicamente le accompagnano. Il significato che diamo alle parole non è quindi un monolite, può cambiare a seconda delle esperienze. Il terzo passo è la lettura ad alta voce, un passaggio per nulla banale in cui i meccanismi di elaborazione neurale e cognitiva cambiano di qualità». Il grafema diventa fonema in tempi brevissimi (meno di 100 millisecondi) e con un sistema «a cascata» in cui il cervello, spesso pur non avendo ancora capito al cento per cento quale parola stia vedendo, passa l’informazione alle strutture che producono le parole e «legge». «Tutte queste parti del viaggio cerebrale, dalla parola scritta a quella letta, sono indipendenti e quindi si possono sviluppare o compromettere in tempi e modi diversi: significa che non ha senso aspettarsi un percorso di apprendimento lineare e omogeneo per tutti i bambini. Occorre pazienza, perché imparare a leggere è un processo molto complesso» conclude Crepaldi.

Leggere su computer e telefoni o su carta

Leggere su computer e telefoni o su carta è uguale? Davide Crepaldi, che al confronto ha dedicato un capitolo del suo libro chiarisce: «Il sistema è lo stesso dal punto di vista dell’architettura cognitiva, variano le interazioni con le altre funzioni cognitive, come memoria e attenzione». Online siamo distratti da banner e testi secondari: non distrarsi costa fatica, così su schermo velocità di lettura e comprensione approfondita del testo diminuiscono. «La carta si presta meglio al “framing” spaziale, il fenomeno per cui i ricordi si appoggiano al contesto spazio-temporale in cui li abbiamo acquisiti: ci ricordiamo l’immagine della pagina e così via, online questo si perde», aggiunge. «L’esperienza di lettura con un supporto cartaceo è più ricca perché coinvolge altri sensi. Apprendiamo informazioni da uno schermo o dalla carta, ma sono esperienze differenti».

 

Fonte: Corriere della Sera

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