COVID-19 mette il turbo a Quota 100

Articolo del 01 Dicembre 2020

Se verranno confermati anche per il quarto trimestre 2020 i dati INPS relativi al numero di pensioni liquidate al 30 settembre, si assisterà anche quest’anno a un aumento dei pensionati. Considerando poi la fine del blocco dei licenziamenti intorno al marzo prossimo e la prosecuzione di Quota 100 a tutto il 2021, l’aumento – anche se probabilmente meno sostenuto – proseguirà pure nel 2021. Come se COVID-19 avesse appunto messo il turbo alle varie misure di pensionamento anticipato.

In un primo tempo infatti, anche sulla scorta dei risultati del 2019, si era pensato che nel 2020 il numero di coloro che avrebbero approfittato dei 62 anni con 38 di contributi, delle pensioni anticipate (con 42 anni e 10 mesi per i maschi, 1 anno in meno per le femmine), di APE sociale, della cosiddetta prestazione per i precoci (lavoratori con 41 anni di anzianità contributiva) e di Opzione Donna, sarebbe stato inferiore al 2019. Questo perché oltre l’85% dei potenziali richiedenti sono inquadrati nel “regime misto” e hanno cioè il 60% e più della pensione calcolata con il metodo contributivo, il che determina una riduzione permanente di oltre il 10% a 62 anni di età: in pratica, andando in pensione a 67 anni, si prenderebbe una pensione maggiore sia per effetto dei coefficienti di trasformazione sulla quota contributiva sia per il maggior numero di anni di contribuzioni versate. Insomma, semplificando, se lo stipendio è 100, la pensione normale è 74 (pensione netta su reddito netto), quella di Quota 100 poco più di 60, per sempre.

Facendo una proiezione a fine 2020 sulla base dei dati di flusso del terzo trimestre, al netto delle duplicazioni e delle “cancellate”, il numero totale dei pensionati passerebbe dai 16.035.165 di fine 2019 a 16.135.000, un numero molto elevato pari a circa 100.000 unità in più rispetto al 2019. Considerando poi che i primi mesi del 2021 non saranno certamente facili, è più che probabile un accesso importante ai provvedimenti di pensionamento anticipato, con un ulteriore aumento dei pensionati a circa 16.209.000, valore che ci riporta al 2015. Solo nel 2022, esauriti gli effetti di Quota 100 e – si spera – di COVID-19, si assisterà a una progressiva riduzione del numero delle prestazioni liquidate, il che contribuirà a ridurre naturalmente i pensionati attorno a 16.179.000 per poi arrivare, dopo il 2026, ai valori 2019.

Si consideri che lo scorso anno, nonostante Quota 100 e provvedimenti collegati, il numero dei pensionati è aumentato rispetto al 2018 solamente di circa 30.000 unità. E sarebbe aumentato ancora di più se non ci fosse stato l’effetto delle tante pensioni cancellate, considerando che all’1 gennaio 2020 erano ancora in pagamento 502mila pensioni INPS per il settore privato erogate nel 1980 o prima (circa 40 anni di durata) e 170mila erogate tra il 1981 e 1982; per il settore pubblico le vigenti erano rispettivamente 60mila e 50mila. Insomma, uno stock di quasi 800mila pensioni in pagamento da circa 40 anni: questo il motivo dell’elevato numero di cancellazioni rispetto alla mortalità italiana che, nel 2019, ha registrato 647.000 decessi (l’1,07% dell’intera popolazione).

Il numero di pensionati era in continua riduzione dal lontano 2008 con notevole beneficio del rapporto lavoratori attivi su pensionati e tale trend virtuoso è stato interrotto dai provvedimenti in materia previdenziale del governo gialloverde. Ad aggravare la situazione COVID-19, che ha dato il colpo di grazia ai tassi di occupazione (il numeratore) i quali, prima del virus, avevano toccato il record di tutti i tempi sia per l’occupazione totale, pari a 23.376.000 unità a fine anno, sia per quella femminile (il record era stato toccato in verità nel luglio 2019).

Secondo le stime effettuate lo scorso 20 marzo dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e a oggi confermate, ci sarà una contrazione dell’occupazione di circa 900mila lavoratori rispetto al dato di fine 2019. Oltre a perdite salariali e ai costi della cassa integrazione ordinaria e in deroga (con caysale COVID-19), ciò comporterà per il bilancio dell’INPS un duplice effetto negativo. Da un lato, diminuiranno le entrate contributive sia per la crescente disoccupazione sia per l’elevato numero di lavoratori che, rimasti senza stipendi e senza ammortizzatori sociali o con scarse prospettive di impiego nei prossimi mesi, preferiranno una pensione ridotta a un reddito prossimo allo zero; dall’altro, aumenteranno le spese per le pensioni. Il che potrebbe comportare un disavanzo nei conti INPS di quasi 30 miliardi rispetto ai circa 20 del 2019, peggiorando addirittura i 26,5 miliardi di deficit del 2014 (conseguenza del post-crisi del 2008/2013). A questo disavanzo si dovrebbe sommare il risultato negativo della gestione prestazioni temporanee per i lavoratori dipendenti del settore privato (GPT) che, fino allo scorso anno, presentava un attivo intorno ai 5 miliardi, utilizzati per compensare la gestione pensionistica dei lavoratori dipendenti.  È più che probabile che per quest’anno il bilancio della GPT, al netto dei trasferimenti da bilancio statale, possa sfiorare un deficit di 10 miliardi, considerando che a fine 2020 il costo per tutte le attività di sostegno al reddito (NASpI, DIS-COLL, CIG nelle varie forme e bonus) si dovrebbe attestare intorno ai 34 miliardi.

Di questa situazione soffrirebbero due indicatori fondamentali, cioè il rapporto spesa per pensioni sul PIL che passerebbe dal 12,88% del 2019 al 14,77% del 2020, e il rapporto attivi pensionati che da 1,46 attivi per ogni pensionato scenderebbe a 1,39. Sarebbe utile che governo, maggioranza e opposizione ragionassero su questi preoccupanti numeri al fine di porre in essere tutto ciò che serve (whatever it takes) per evitare una situazione economica drammatica. Le attività produttive nel terzo trimestre hanno data ampia dimostrazione di capacità e abnegazione, ci aspettiamo lo stesso atteggiamento dalla politica e dalle parti sociali.

 

Fonte: IL Punto. Pensioni e Lavoro

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS