Emozione e cognizione: le neuroscienze correggono Platone e Cartesio

Articolo del 03 Settembre 2021

Non hanno sempre goduto di buona reputazione. Troppo legate a una parte impulsiva e indomabile di noi, le emozioni sono state considerate di ostacolo alla felicità, alla conoscenza, alla vita. A dar retta a Platone l’anima è alla guida di un carro trainato da due cavalli: uno bianco, la ragione, che si dirige verso l’alto e il mondo delle idee, e un cavallo nero, gli istinti e le passioni che tirano giù verso il mondo sensibile. Il mito della biga alata ci parla degli impedimenti che i sensi procurano alla ragione e al pensiero logico razionale. Un’idea che dall’antichità è sopravvissuta fino all’età moderna, cavalcata anche dal cristianesimo. «È stato Spinoza, in un’Europa in cui il dualismo cartesiano era al suo culmine, il primo a dirci di non diffidare di quello che sentiamo e di quanto ci dice il corpo, conclusione in linea con quanto sappiamo oggi ma raggiunta con la sola riflessione filosofica. Non siamo affatto delle aurighe, non siamo timonieri alla guida di un barchino nel mare in tempesta. Noi siamo la barca», spiega Ilaria Gaspari, una laurea alla Scuola Normale di Pisa e un dottorato in filosofia alla Sorbona di Parigi.

Il suo ultimo libro s’intitola «Vita segreta delle emozioni» e segue, sempre per Einaudi, «Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita», sei ristampe in pochi mesi, tradotto in Francia, Spagna e Brasile con ottimi riscontri di pubblico e di critica. Molte le dottrine filosofiche che hanno invitato a «disfarsi del sentire per arrivare a uno stato di imperturbabilità, l’atarassia, e infine sentirsi liberi. Ma non lasciarsi dominare dalle passioni non significa affatto reprimerle ma conoscerle, viverle», spiega la filosofa. Di più. «Le emozioni contribuiscono a creare il nostro Sé e di conseguenza il nostro stato cosciente», aggiunge Daniela Perani, neuroscienziata dell’Università Vita-Salute San Raffaele e IRCCS San Raffaele di Milano che, con Ilaria Gaspari, dialogherà sul tema delle emozioni il 4 settembre al Festival della Mente di Sarzana. La neuroscienziata è co-organizzatrice di Emotions, un evento europeo itinerante dedicato a Rita Levi Montalcini alla scoperta delle emozioni, al via il prossimo ottobre.

Anche la scienza, in particolare la cosiddetta cognizione incarnata, dall’inglese «emobodied cognition», che studia il ruolo causale e costitutivo del corpo nei processi cognitivi, conferma che non esiste una razionalità pura slegata dagli impicci emotivi. Emozione e cognizione sono visceralmente connesse in un unico sistema affettivo-cognitivo dove le emozioni indirizzano e influenzano la ragione, la quale, a sua volta, interviene per modularle o silenziarle al bisogno. Le basi neurali di questi due sistemi bottom-up e top-down sono note e mettono in connessione aree distanti del cervello come il sistema limbico e la corteccia prefrontale. «L’allerta e la paura scattano immediatamente, ma queste reazioni ancestrali vengono ri-valutate da meccanismi corticali in un sistema integrato molto sofisticato che risente anche dell’esperienza individuale e che rende conto delle profonde differenze culturali nel sentire e nel manifestare le emozioni», spiega la neuroscienziata, che ricorda come dagli studi sul bilinguismo emerga che la lingua usata dai soggetti influenza le risposte date a quei dilemmi morali che impongono scelte emotive drammatiche. Inoltre, secondo studi condotti in ambito economico e sociale, le emozioni influenzano non solo le decisioni più legate all’appagamento di bisogni fondamentali ma anche pensieri e opinioni alte, come quelle sulla fiducia, sulla cooperazione, sulla colpa e sulla punizione.

Inoltre, «le strutture neurali implicate nella regolazione emotiva, l’amigdala, come il cingolo, l’ippocampo, i corpi mammillari, sono le stesse della formazione, consolidamento e recupero delle memorie. Da un lato, quindi, è chiaro che le emozioni modulano l’apprendimento e, dall’altro, le malattie neurodegenerative che danno deficit di memoria possono colpire anche le risposte emotive del paziente, la sua capacità di socializzare e di capire gli altri».

Le emozioni sono risposte corporee e mentali, rapide ma orchestrate e coordinate, in reazione a stimoli rilevanti. Non si può non citare, come fanno la filosofa e la scienziata, Antonio Damasio e il suo marcatore somatico, all’opera anche quando un’emozione transitoria induce uno stato d’umore che si installa e pervade tutto. Come quando, alla guida, sentiamo una notizia alla radio che ci fa arrabbiare e finisce per guastarci anche l’incontro di lavoro verso il quale ci stiamo dirigendo. Nelle emozioni – spiega Daniela Perani – «esistono livelli evolutivamente diversi: c’è la percezione della risposta vegetativa, delle modificazione fisiche, come l’accelerazione del battito e la vasodilatazione, e poi l’elaborazione cognitiva di questi aspetti». Le emozioni ci permettono di essere pronti e svolgono un’importante funzione sociale, che va oltre i confini delle specie. Si pensi al fatto che gli animali sono capaci di riconoscerle: i cani catturano all’istante anche le impercettibili smorfie sul volto dell’uomo.

La discriminazione di cui sono vittime le donne passa anche dalle emozioni. Mostrarle non è reato. Eppure, «lasciare che facciano capolino in un’espressione del volto o in un’incrinatura della voce per una donna significa automaticamente perdita di autorevolezza – dice Ilaria Gaspari -: è una debolezza imperdonabile». La filosofa ricorda che il termine francese emozione si impone nell’Ottocento e ha che fare con un turbamento dello stato di quiete, «quell’oscillazione interiore che un’emozione procura in modo immediato e indipendente dalla nostra volontà. L’idea del farsi travolgere dalle emozioni, presente anche nel termine greco πάσχειν (pàschein) e dal suo omologo latino pati, è un’ossessione per gli antichi che ambivano alla padronanza di sé».

Oggi sappiamo che imparare a gestirle è possibile. Non è facile. Dopotutto, un eccesso di governabilità sarebbe contrario alla loro funzione. Un vecchio consiglio sempre valido è quello di dormirci sopra: il tempo è efficacissimo nell’attenuare i nostri stati emotivi, come mostrano gli studi di affective forecasting che indagano come prevediamo di sentirci in futuro.

Infine, «ricordiamoci che un’emozione è all’origine della filosofia stessa per Aristotele: è lo stupore, la meraviglia, il senso di sgomento che spinge a farsi domande» dice Ilaria Gaspari. «Per Schopenhauer, è la coscienza della propria esistenza, alquanto sconvolgente, ad essere fonte di stupore. Purtroppo, con queste emozioni importanti abbiamo perso familiarità». Che fare? Iniziamo a «non sentirci minacciati dal mondo quando questo ci provoca turbamenti emotivi: siamo esseri dalle mille sfaccettature, spesso in contraddizione con noi stessi, certe condizioni sono fisiologiche, inseguire una presunta normalità è solo fonte di infelicità».

Dopodiché, se una vera e propria negoziazione tra passione e ragione non esiste, c’è però quella tra aree cerebrali distinte che possono «pesare» diversamente nei processi cognitivi e decisionali. Insomma, un po’ di fatica e di controllo ci vuole, perché come i cavalli di Platone anche i neuroni tirano in direzioni opposte.

 

Fonte: La Stampa

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