Il rapporto tra animali di grandi e piccole dimensioni negli oceani si sta sbilanciando a favore dei secondi, non sappiamo ancora con quali conseguenze.

La biomassa degli oceani è sempre più sbilanciata a favore delle forme di vita più piccole.

La biomassa degli oceani è sempre più sbilanciata a favore delle forme di vita più piccole.

Non è difficile dimostrare quanto male l’attività umana stia facendo agli oceani del Pianeta – basta leggere una qualsiasi notizia che parla di inquinamento, pesca eccessiva, riscaldamento globale, microplastiche… Gli oceani, però, sono un ecosistema complesso, e gli effetti a lungo termine delle nostre azioni non sono sempre prevedibili o facili da identificare. Una dimostrazione la dà uno studio pubblicato su Science Advances che, per brevità, si potrebbe riassumere così: la nostra influenza sugli ecosistemi marini è talmente forte che stiamo sovvertendo una legge fondamentale della natura.

LO SPETTRO DI SHELDON. L’affermazione può suonare apocalittica (e un po’ lo è), ma è sostanzialmente corretta: per capirla bisogna però prima sapere che cos’è lo “spettro di Sheldon” (Sheldon spectrum). Il riferimento è a uno studio del 1972 firmato da R.W. Sheldon, che descrive un fenomeno relativo alla distribuzione della biomassa acquatica. Immaginate di dividere tutte le forme di vita degli oceani, dai batteri alle balene, in categorie in base alle loro dimensioni. Ogni categoria rappresenta un ordine di grandezza, per cui, per esempio, un delfino verrà messo nella categoria “da 1 a 10 metri” mentre una balena in quella successiva, “da 10 a 100”. Sheldon dimostrò che la concentrazione di biomassa negli oceani è sostanzialmente costante per tutti gli ordini di grandezza: in altre parole, se un animale è dieci volte più piccolo di un altro, allora ce ne saranno dieci volte tanti negli oceani.

Il team guidato da Ian Hatton del Max Planck Institute ha provato a mettere alla prova la validità di questa teoria, e a controllare come stanno le cose negli oceani attuali. I ricercatori hanno quindi costruito due modelli: uno che simulasse le condizioni di un oceano ideale, senza inquinamento e con la temperatura corretta, e uno che simulasse invece quelle degli oceani attuali, e che quindi tenesse conto, tra le altre cose, del prelievo forzato e massiccio di certe specie di pesci (con la pesca), dell’aumento delle temperature e del disturbo o della distruzione di molti habitat marini – tutti dati ottenuti da osservazioni dirette e indirette (per esempio con satelliti o sonar) e campionamenti di acqua di mare.

LA ROTTURA DELLO SPETTRO. Quello che hanno scoperto è che in condizioni ideali l’oceano rispecchia alla perfezione lo spettro di Sheldon, ma nella realtà l’equilibrio si sta rompendo: le forme di vita che appartengono alle categorie più piccole (batteri e similari) stanno aumentando di numero, mentre quelle più grosse diminuiscono; in particolare i “pesi massimi” (soprattutto le balene) hanno subito, negli ultimi due secoli, un calo di quasi il 90% della loro biomassa totale (anche se ora le cose vanno meglio). Quali sono gli effetti di questo sbilanciamento dell’equilibrio naturale? Ancora non possiamo saperlo, ma se dovessimo scommetterci diremmo che non sono positivi.

 

Fonte:  Focus

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